Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 04-07-2012, n. 11159 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 6-11-2003 il Giudice del lavoro del Tribunale di Frosinone, in accoglimento della domanda proposta da E. S. nei confronti della s.p.a. Poste Italiane, dichiarava la nullità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato per "esigenze eccezionali" ex art. 8 c.c.n.l. 1994 come integrato dall’acc. 25-9-97, per il periodo 6-10-1999/31-12-1999, con la conseguente sussistenza tra le parti di un rapporto a tempo indeterminato dalla data dell’assunzione e condannava la società al ripristino del rapporto e al pagamento delle retribuzioni medio tempore maturate oltre accessori.
La società proponeva appello avverso la detta sentenza, chiedendone la riforma con il rigetto della domanda.
L’ E. si costituiva e resisteva al gravame.
La Corte d’Appello di Roma, con sentenza depositata il 24-3-2009, in parziale accoglimento dell’appello, limitava la condanna della società al pagamento, a titolo risarcitorio, di un importo pari alle retribuzioni maturate dalla costituzione in mora (6-12-2000) nei limiti del triennio decorrente dalla cessazione di fatto del rapporto di lavoro e quindi fino al 31-12-2002, oltre interessi e rivalutazione.
Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con due motivi, al quale ha, poi, resistito l’ E. con controricorso proponendo ricorso incidentale condizionato con un unico motivo.
Anche l’ E. ha proposto autonomo ricorso con tre motivi, al quale la società ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

Preliminarmente vanno riuniti i ricorsi avverso la stessa sentenza ex art. 335 c.p.c..
Con il primo motivo del ricorso n. 8911/2010, denunciando violazione della L. n. 56 del 1987, art. 23, dell’art. 8 c.c.n.l. 26-11-1994, nonchè degli accordi 25-9-97 e succ. in relazione agli artt. 1362 e ss. c.c., la società censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che le parti collettive abbiano fissato un termine ultimo (30-4-1998) alla possibilità di stipulare contratti a termine per "esigenze eccezionali" connesse alla ristrutturazione e riorganizzazione in atto, sostenendo la erroneità dell’interpretazione accolta dalla Corte di merito e la natura meramente ricognitiva degli accordi attuativi dell’accordo 25-9-97.
Con il secondo motivo la società lamenta che la sentenza impugnata sul punto è incorsa nel vizio di insufficienza della motivazione.
Su entrambi i motivi, strettamente connessi, osserva il Collegio che la Corte di merito, ha attribuito rilievo decisivo alla considerazione che il contratto in esame è stato stipulato, per esigenze eccezionali … – ai sensi dell’art. 8 del c.c.n.l. del 1994, come integrato dall’accordo aziendale 25 settembre 1997 – in data successiva al 30 aprile 1998.
Tale considerazione – in base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al c.c.n.l. del 2001 ed al D.Lgs. n. 368 del 2001) – è sufficiente a sostenere l’impugnata decisione, in relazione alla nullità del termine apposto al contratto de quo.
Al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, è stato precisato che "l’attribuzione alla contrattazione collettiva, della L. n. 56 del 1987, ex art. 23, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato" (v. Cass. 4-8-2008 n. 21063, v. anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass, 26-7-2004 n. 14011). "Ne risulta, quindi, una sorta di "delega in bianco" a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato" (v., fra le altre, Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).
In tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v.
fra le altre Cass. 23-8-2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).
In particolare, quindi, come questa Corte ha costantemente affermato e come va anche qui ribadito, "in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962 n. 230, art. 1" (v., fra le altre, Cass. 1-10-2007 n. 20608; Cass. 28-11-2008 n. 28450; Cass. 4-8-2008 n. 21062; Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit).
In applicazione di tale principio va quindi respinto il ricorso (n. 8911/2010) della società, (che peraltro non investe in alcun modo il capo del risarcimento del danno e delle conseguenze economiche della nullità del termine), così restando assorbito il ricorso incidentale condizionato dell’ E..
Parimenti va, poi, respinto il ricorso n. 8920/2010, con il quale il l’ E. censura, sotto vari profili, la determinazione del quantum del risarcimento del danno nei soli limiti del periodo che va dalla messa in mora (6-12-2000) fino al compimento del triennio (31- 12-2002) dalla cessazione del rapporto a termine.
Al riguardo, infatti, va rilevato che, alla luce dello ius superveniens (L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 5, 6 e 7) – a prescindere dalla correttezza o meno della statuizione impugnata in base alla disciplina previgente -, le censure risultano infondate in considerazione del divieto di reformatio in peius, non potendo comunque il ricorrente incidentale ottenere, in base alla nuova disciplina, più di quanto gli è stato già riconosciuto dalla Corte di Appello.
Infine, in ragione della soccombenza reciproca, vanno compensate le spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, rigetta sia il ricorso n. 8911/2010 sia quello n. 8920/2010, dichiarando assorbito quello incidentale condizionato; compensa le spese del presente giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 10 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2012

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