Cass. civ. Sez. I, Sent., 04-07-2012, n. 11155 Contenzioso tributario Procedure concorsuali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto notificato nel giugno 2005 il curatore del fallimento della Green Summer s.r.l., dichiarato il 5 novembre 2001, citò in giudizio dinanzi al Tribunale di Fermo i sigg.ri V.N., S. G. e V.F., che avevano ricoperto la carica di amministratore di detta società, la prima dal 18 novembre 1993 al 16 dicembre 1999, il secondo da quest’ultima data sino al 10 luglio 2000 ed il terzo fino al 2 marzo 2001. Il curatore imputò a detti amministratori di non essersi doverosamente adoperati per fronteggiare le perdite accusate dalla società sin dalla chiusura dell’esercizio 1998 e di aver compiuto nuove operazioni quando il capitale era ormai completamente azzerato. Ne chiese perciò la condanna al risarcimento del danno cagionato alla società ed ai creditori sociali.

Il tribunale, avendo ravvisato gli estremi della responsabilità degli amministratori invocata dalla curatela attrice, condannò la sig.ra V.N. al pagamento di Euro 44.440,50, il sig. S.G. al pagamento di Euro 34.345,63 ed il sig. V. F. al pagamento di Euro 1.169,82, oltre agli interessi ed alle spese di causa.

La decisione fu impugnata sia dal curatore del fallimento, che insistette perchè i convenuti fossero condannati in solido e, comunque, per somme maggiori, sia dal sig. S., che chiese fosse accertata l’assenza di ogni sua responsabilità.

La Corte d’appello di Ancona, con sentenza depositata in cancelleria il 21 maggio 2010, accolse il gravame del sig. S., che fu perciò assolto dalla domanda, ed accolse in parte anche il gravame della curatela fallimentare, in cui favore condannò il sig. V.F. al pagamento della maggior somma di Euro, 85.559,50, lasciando invece ferma la condanna pronunciata dal primo giudice a carico della sig.ra V.N..

A fondamento di tale decisione la corte anconetana, premesso che l’ultimo bilancio reso pubblico dalla società poi fallita si riferiva all’esercizio 1999 ed appariva essere stato redatto correttamente a seguito delle rettifiche fatte apportare dall’amministratore sig. S. alle risultanze non veritiere del bilancio precedente, escluse che al medesimo sig. S., rimasto in carica per soli pochi mesi, potessero essere addossate colpe risalenti alla gestione pregressa. Quanto alla posizione dell’amministratore successivo, il sig. V.F., la corte considerò che, non essendo state rinvenute dal curatore le scritture contabili della società, certamente invece esistenti sino alla datai in cui era stato redatto il bilancio relativo all’esercizio 1999, vi fossero le condizioni perchè la condanna al risarcimento del danno da lui dovuto fosse parametrata alla differenza tra l’attivo ed il passivo accertati in sede fallimentare, dovendosi poi però detrarre dall’importo così calcolato il quantum della condanna inflitta alla sig.ra V.N., in difetto di responsabilità solidale tra amministratori succedutisi l’un l’altro in tempi diversi.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il sig. V.F., deducendo due motivi di censura.

Hanno resistito, con separati controricorsi, il curatore del fallimento ed il sig. S..
Motivi della decisione

1. Occorre premettere che, quantunque notificato anche ai sigg.ri V.N. e S.G., il ricorso proposto dal sig. V.F. contiene censure rivolte soltanto al capo dell’impugnata sentenza che ha ad oggetto la condanna del ricorrente nei confronti del fallimento della società Green Summer, senza in alcun modo toccare le statuizioni riguardanti gli altri intimati. Non sussistendo alcuna situazione di litisconsorzio necessario tra i predetti soggetti, appare perciò evidente che i sigg.ri V. N. e S.G., per i quali la sentenza pronunciata dalla corte d’appello è da ritenersi ormai coperta da giudicato, non hanno titolo per esser parti di un giudizio di legittimità che non li riguarda. Il ricorso rivolto nei loro confronti è, perciò, inammissibile.

La mancanza di ogni effettiva utilità processuale del controricorso depositato dal sig. S. suggerisce, nondimeno, di compensare le spese del giudizio di legittimità che lo riguardano.

2. E’ certamente ammissibile, e va quindi esaminato nel merito, il ricorso proposto nei confronti della curatela del fallimento, che consta di due motivi: il primo volto a denunciare la mancata pronuncia del giudice d’appello su un’eccezione di prescrizione del diritto al risarcimento del danno fatto valere dalla curatela, il secondo teso a denunciare vizi della motivazione dell’impugnata sentenza in ordine alla liquidazione del danno.

2.1. La doglianza riferita al mancato esame, ad opera della corte territoriale, dell’eccezione di prescrizione sollevata sin dal primo grado dalla difesa dell’odierno ricorrente non è fondata.

Lo stesso ricorrente riferisce, infatti, che detta eccezione era stata rigettata dal tribunale: ragion per la quale, se avesse voluto sottoporla anche all’esame del giudice del gravame, egli avrebbe dovuto proporre al riguardo un apposito motivo drappello. Non risulta che, invece, ciò sia stato fatto, giacchè è lo stesso ricorrente a precisare di essersi limitato a riproporre l’eccezione di prescrizione non già nel proprio atto d’appello bensì solo nella comparsa conclusionale di secondo grado (ed in una successiva memoria). La corte territoriale non era stata quindi ritualmente investita della questione ed il silenzio che ha serbato sul punto non inficia perciò l’impugnata sentenza.

2.2. E’ invece fondato, nei termini di cui si dirà, il motivo di ricorso dedotto a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La motivazione con la quale la corte d’appello ha liquidato il danno che l’odierno ricorrente deve risarcire, per non avere correttamente adempiuto i suoi doveri di amministratore della società poi fallita, appare gravemente carente sul piano logico.

La corte d’appello non ha evidenziato in modo ben chiaro quali siano gli atti o le omissioni dell’amministratore da cui è stata fatta discendere la sua responsabilità, ma dal contesto complessivo della motivazione dell’impugnata sentenza sembra potersi ricavare che tale responsabilità sia da ricondurre alla violazione del divieto di nuove operazioni dopo il verificarsi di una causa di scioglimento della società – causa di scioglimento costituita, nella specie, dalla perdita integrale del capitale sociale – sancito dall’art. 2449 c.c., comma 1, nel testo vigente al tempo dei fatti di causa. La stessa corte d’appello non ha mancato di ricordare come, secondo la più recente giurisprudenza di legittimità, in simili casi il danno imputabile agli organi della società fallita non può essere automaticamente identificato nella differenza tra attivo e passivo accertato in sede concorsuale; ha però sottolineato come, nondimeno, tale giurisprudenza ammetta la possibilità di rifarsi a quel criterio, in via equitativa, quando non soccorrano elementi sufficienti per una più precisa individuazione del pregiudizio cagionato alla società dalle nuove operazioni vietate e sempre che, ovviamente, ricorrano le condizioni previste dall’art. 1226 c.c. (si vedano al riguardo, in particolare, Cass. 8 febbraio 2005, n. 2538, e Cass. 15 febbraio 2005, n. 3032).

Muovendo da queste premesse, di per sè corrette, la corte anconetana ha in concreto ravvisato la possibilità di utilizzare il suddetto criterio di liquidazione del danno per differenza tra l’attivo ed il passivo accertati in sede fallimentare in base al rilievo che il curatore non ha rinvenuto la contabilità dell’impresa. Che tale contabilità esistesse, almeno sino a quando fu redatto il bilancio relativo all’esercizio 1999, è stato logicamente desunto dal fatto stesso che quel bilancio era stato possibile redigerlo e che in esso si era proceduto a rettificare le poste non veridiche del bilancio precedente. L’impossibilità di una compiuta ricostruzione della contabilità è stata, perciò, ravvisata non per i periodi di tempo in cui la società era stata gestita dalla sig.ra V.N. e dal sig. S., bensì soltanto per la frazione di tempo riferibile all’amministrazione del sig. V.F..

Unicamente per quest’ultimo, di conseguenza, è stato utilizzato in via equitativa il suddetto criterio di liquidazione del danno per differenza, ma dal risarcimento che sarebbe così risultato a carico del medesimo sig. V.F. è stato poi sottratto l’importo della condanna pronunciata già in primo grado (ma questa volta non su base equitativa) nei confronti della precedente amministratrice sig.ra V.N..

Ora, se è vero che anche di recente questa corte, nel ribadire che compete al curatore il quale eserciti l’azione di responsabilità contro gli organi di una società fallita dare la prova dell’esistenza del danno e del nesso di causalità, ha ammesso la possibilità di un’inversione dell’onere della prova quando la mancanza o l’irregolare tenuta delle scritture contabili rendano quella prova impossibile, perchè in tal caso la citata condotta, integrando la violazione di specifici obblighi di legge in capo agli amministratori, è di per sè idonea a tradursì in. un pregiudizio per il patrimonio della società (si vedano Cass. 4 aprile 2011, n. 7606, e Cass. 11 marzo 2011, n. 5876), occorre nondimeno considerare come, nel caso in esame, non è certamente dalla mancata tenuta delle scritture contabili che la stessa corte d’appello ha fatto discendere il danno per il quale ha condannato l’odierno ricorrente al risarcimento. Basta infatti rilevare che in nessun punto dell’impugnata sentenza si imputa al sig. V.F. la colpa di aver smarrito o distrutto la contabilità che in precedenza esisteva e sulla base della quale era stato redatto l’ultimo bilancio. Nè in tal senso potrebbe essere inteso il fugace riferimento alla "vicinanza delle condotte del V.F. all’apertura della procedura concorsuale" (pag. 6 dell’impugnata sentenza), posto che nell’incipit della stessa sentenza si da conto del fatto che il fallimento fu dichiarato il 5 novembre 2001 e che il sig. V.F. cessò dalla carica di amministratore il 2 marzo 2001: segno che prima del sopravvenuto fallimento la società ebbe almeno un altro amministratore, al quale altrettanto ragionevolmente si potrebbe addebitare, in via ipotetica, la responsabilità per il mancato rinvenimento delle scritture contabili.

Orbene, se il mancato ritrovamento delle scritture contabili dell’impresa fallita non è imputato all’amministratore sig. V.F., neppure del resto risultando che un simile addebito gli fosse stato mosso nell’atto di citazione, esso potrebbe assumere rilievo soltanto come argomento per spiegare la difficoltà in cui il curatore del fallimento si è trovato nel fornire la prova del danno che altri atti di mala gestio, imputati all’amministratore medesimo, hanno eventualmente cagionato al patrimonio della società:

cioè al fine di giustificare il ricorso ad un criterio di liquidazione equitativa del danno. Ma la motivazione dell’impugnata sentenza non sembra muovere in tale direzione, nè si fa carico di chiarire come mai, invece, il tribunale avesse individuato elementi idonei a consentire una puntuale ricostruzione degli effetti degli atti compiuti da ciascuno degli amministratori convenuti in giudizio con l’azione di responsabilità.

In realtà, la corte territoriale sembra far discendere in modo quasi automatico dal mancato ritrovamento delle suaccennate scritture contabili la conseguenza che l’amministratore sig. V. debba rispondere dell’intera differenza tra l’attivo ed il passivo accertati in sede fallimentare. Ma un siffatto automatismo non si concilia con il principio di diritto affermato da questa corte (cfr.

ancora Cass. 2538/05, cit.) secondo cui il giudice del merito deve non solo indicare le ragioni che non hanno permesso l’accertamento degli specifici effetti pregiudizievoli riconducibili alla condotta dei convenuti in responsabilità, ma anche la plausibilità logica del ricorso a detto criterio, facendo riferimento alle circostanze del caso concreto.

Il ricorso al criterio differenziale di liquidazione del danno di cui s’è detto, pertanto, avrebbe potuto essere giustificato solo a condizione che la corte avesse, anzitutto, individuato le operazioni compiute dall’odierno ricorrente in violazione del divieto legale;

che, in secondo luogo, avesse chiarito per quale ragione il mancato rinvenimento delle scritture contabili abbia reso impossibile (o estremamente difficile) individuare e provare da parte della curatela attrice gli effetti negativi che quelle operazioni hanno avuto sul patrimonio sociale; ed infine che, avuto riguardo alla natura ed alle caratteristiche di siffatte operazioni, avesse giustificato la plausibilità dell’assunto secondo cui il pregiudizio da esse arrecato sia rapportabile alla differenza tra l’attivo ed il passivo fallimentare.

Nulla di tutto ciò è dato invece ritrovare nella motivazione della sentenza impugnata, che neppure spiega come mai colui il quale ha gestito la società in un breve periodo, ormai relativamente prossimo alla dichiarazione di fallimento, sia chiamato a rispondere di un danno da sbilancio patrimoniale che è verosimile si sia accumulato negli anni antecedenti; nè come mai egli finisca per rispondere per un importo sensibilmente superiore rispetto ad una precedente amministratrice, che quella medesima società ha gestito per diversi anni, alla quale è espressamente imputato di aver mascherato i risultati negativi della gestione redigendo un bilancio non veridico e la cui condanna è stata commisurata agli effetti patrimoniali specificamente derivanti dagli atti da essa compiuti in violazione del divieto di nuove operazioni dopo la perdita dal capitale sociale.

3. L’accoglimento del motivo di ricorso dianzi esaminato comporta la necessità di cassare la sentenza impugnata e di rinviare la causa alla Corte d’appello di Ancona (in diversa composizione) affinchè proceda alla corretta individuazione dei danni causalmente riferibili agli atti di mala gestio societaria imputati al sig. V. F. ed alla liquidazione degli stessi. Al medesimo giudice di rinvio si demanda di provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.

La corte:

1. dichiara inammissibile il ricorso per come proposto nei confronti dei sigg.ri V.N. e S.G., compensando le spese processuali relative a quest’ultimo;

2. rigetta il primo motivo del ricorso proposto nei confronti della curatela del fallimento della Green Summer s.r.l. ed accoglie il secondo motivo del medesimo ricorso;

3. cassa l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Ancona, in diversa composizione, demandandole di provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità riferite alle parti tre le quali la causa prosegue.

Così deciso in Roma, il 9 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2012

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