Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 21-09-2011) 13-12-2011, n. 46193 Reato continuato e concorso formale Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza emessa in data 19 ottobre 2010 ha confermato la decisione del Tribunale di Pisa del 21 dicembre 2009 che aveva condannato M.J., alla pena di anni cinque e mesi sei di reclusione per i delitti di cui all’art. 81 cpv, artt. 572 e 609 bis c.p., artt. 582 585, 576, 577 e art. 61 c.p., n. 2, per maltrattamenti in famiglia e violenza sessuale nei confronti della moglie M.S.A.M. e lesioni personali cagionate alla stessa, fatti commessi in (OMISSIS) dal (OMISSIS).

Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’imputato chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi:

1. Mancanza, contraddittorietà, manifesta illogicità della motivazione in ordine alla mancata assoluzione dai reati di cui agli artt. 572 e 609 bis c.p., in quanto, come già segnalato con l’atto di appello, le dichiarazioni della persona offesa erano generiche, inverosimili e contradditene, nonchè prive di riscontro, soprattutto in riferimento all’episodio della violenza sessuale consumata alla presenza del bambino addormentato. Inoltre la testimonianza della donna in dibattimento aveva mostrato la sua inattendibilità, mentre la Corte di appello aveva motivato il riscontro alle dichiarazioni della donna solo richiamando le testimonianze delle assistenti sociali, le quali avevano semplicemente riferito fatti appresi dalla stessa persona offesa. I giudici avrebbero ritenuto la testimonianza del figlio minore, da un lato, non credibile (assolvendo l’imputato dai maltrattamenti contestati nel bambino), dall’altro credibile (quanto al riscontro delle violenze subite dalla madre), in maniera del tutto illogica, atteso che l’attendibilità di un teste o sussiste per l’intera sua dichiarazione ovvero non sussiste.

2. Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione alle fattispecie di cui agli artt. 572 e 609 bis c.p., poichè dalle acquisizioni probatorie mancherebbe il legame di soggezione della donna nei confronti del marito, che dovrebbe invece caratterizzare l’ipotesi di maltrattamenti in famiglia, in quanto la stessa poteva allontanarsi dalla casa familiare. Inoltre mancherebbe nell’imputato il dolo unitario di vessazione nei confronti della persona offesa.

3. Violazione della legge penale in relazione all’art. 15 c.p., in quanto il reato di cui all’art. 572 c.p., deve essere dichiarato assorbito in quello di cui all’art. 609 bis per il principio di specialità, attesa l’unitarietà del dolo e la condotta violenta contestata all’art. 572 c.p., che non integrerebbe un quid pluris rispetto al presupposto della violenza addebitata in relazione al reato di cui all’art. 609 bis c.p..
Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato.

Quanto alla censura relativa alla manifesta illogicità della motivazione, le argomentazioni avanzate mirano a proporre una diversa lettura delle risultanze processuali, inammissibile nel giudizio di legittimità.

In particolare, il giudizio di attendibilità della persona offesa e dei testimoni attiene al merito ed il controllo qui operato attiene unicamente al profilo della logicità e non contraddittorietà della motivazione e la mera prospettazione di una diversa valutazione, più favorevole al ricorrente, delle emergenze processuali non costituisce vizio che comporti controllo di legittimità (Sez. 5, Sentenza n. 7569 del 11/6/1999, Jovino, Rv. 213638). Resta perciò esclusa la possibilità di sindacare le scelte che il giudice di merito ha operato sulla rilevanza ed attendibilità delle fonti di prova, a meno che le stesse non siano il frutto di affermazioni apodittiche o illogiche. (Cfr. Sez. 3, n. 40542 del 6/11/2007, Marrazzo e altro, Rv. 238016).

Orbene, il giudizio di attendibilità sia della M.A.M., persona offesa, che del figlio minore Leonardo, testimone dei maltrattamenti compiuti in danno della madre, è stato espresso dai giudici dei due gradi del giudizio di merito, con conseguente integrazione della struttura motivazionale delle due sentenze.

Infatti, come è stato più volte affermato da questa Corte (cfr.

Sez. 4, n. 15227 dell’11/4/2008, Baretti, Rv. 239735; Sez. 6, n. 1307 del 14/1/2003, Delvai, Rv. 223061), quando le sentenze di primo e secondo grado concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente e forma con essa un unico complessivo corpo argomentativo.

Peraltro, i giudici di appello non hanno recepito acriticamente quanto espresso in primo grado, ma hanno elaborato con piena autonomia una "nuova valutazione" di merito, la quale risulta argomentata alla luce delle contestazioni mosse con l’atto di appello e nel rispetto dei principi della giurisprudenza in materia di attendibilità delle persone offese nei reati sessuali, la quale ha affermato che l’attendibilità deve essere valutata in senso globale, "tenendo conto di tutte le dichiarazioni e circostanze del caso concreto e di tutti gli elementi acquisiti al processo" (Così, Sez. 3, n. 21640 dell’8/6/2010, P., Rv. 247644). Un tranquillizzante elemento di riscontro dei maltrattamenti fisici subiti dalla donna è stato risposto dai giudici nella documentazione medica attestante le lesioni patite dalla stessa; inoltre – essendo la famiglia di etnia rom, ed in passato residente in un campo nomadi, seguita dal servizi sociali, in quanto assegnataria dal 2007 di un appartamento concesso dal Comune – anche le testimonianze delle assistenti sociali rappresentano un ulteriore forte elemento di riscontro, poichè le stesse ebbero a raccogliere le spontanee dichiarazioni rese dalla donna circa l’aggressività fisica e sessuale infertale dal marito, per sottrarsi alla quale la donna fu costretta a trovare rifugio in una località protetta, insieme al suo bimbo, garantita dal "programma di protezione" alla quale era stata ammessa. Quanto alla valutazione di attendibilità del minore, un bambino di sei anni, testimone di alcuni episodi di violenza e maltrattamento, risultano infondate le censure avanzate sulla motivazione della decisione di merito, con cui è stata lamentata l’erronea valutazione circa la sua attendibilità, per "frammentazione" delle dichiarazioni dello stesso. I giudici di appello hanno infatti confermato il giudizio già espresso in primo grado, quanto alla accertata presenza nel bambino di disturbi psicologici e tentennamenti linguistici, connessi al clima di violenza familiare nel quale il minore si era trovato a vivere, pur ritenendo non pienamente provata, anche grazie alle veritiere dichiarazioni della moglie che non aveva stigmatizzato il comportamento tenuto dal marito nei confronti del figlio, l’ipotesi accusatoria che vedeva anche il minore vittima delle violenze del padre; in particolare detto minore, pur non essendo stato sottoposto a perizia sul grado di maturità psico-fisica, è stato ritenuto attendibile nel nucleo essenziale di quanto riferito circa le violenze subite dalla madre ad opera del padre, anche in quanto la dottoressa Raspolo, nominata ausiliario per l’audizione del minore, aveva ritenuto coerente la rappresentazione dei fatti aggressivi come riferiti, dando giustificazione psicologica degli elementi di fantasticheria ed inverosimiglianza, evidenziati nelle dichiarazioni rese dallo stesso, al ruolo che il bimbo si era attributo quale eroe salvatore della propria mamma, considerazioni che i giudici di merito avevano ritenuto proprio confermative del disagio psicologico del minore, causato dal fatto che lo stesso avesse vissuto il clima di maltrattamenti da parte del genitore sull’altro. Questo Collegio ritiene tale valutazione di merito logica ed in corretta linea con quanto la scienza psicologica afferente l’età evolutiva ha posto in evidenza quanto alle possibili conseguenze sullo sviluppo psicologico dei bambini in tenera età i quali si trovino a vivere in una famiglia nella quale avvengono episodi continui di wife-beating. 2.

Risultano del pari infondati il secondo ed il terzo motivo di ricorso. E’ ben nota non solo la diversa oggettività giuridica, ma la diversità delle condotte che caratterizzano gli atti violenti nel delitto di maltrattamenti in famiglia, da quelli che connotano l’atto sessuale violento nel reato di violenza sessuale; la giurisprudenza ha precisato che il delitto di maltrattamenti può ritenersi assorbito da quello di violenza sessuale solo quando vi è piena coincidenza tra le condotte, "nel senso che gli atti lesivi siano finalizzati esclusivamente alla realizzazione della violenza sessuale e siano strumentali alla stessa, mentre in caso di autonomia anche parziale delle condotte, comprendenti anche atti ripetuti di percosse gratuite e ingiurie non circoscritte alla violenza o alla minaccia strumentale necessaria alla realizzazione della violenza, vi è concorso tra il reato di violenza sessuale continuata e quello di maltrattamenti" (così, Sez. 3, n. 45459 del 22/10/2008, P.G. in proc. D.G., Rv. 241670) e, nel caso di specie, deve ritenersi escluso qualsiasi rapporto di specialità tra fattispecie (come posto in luce esaustivamente nella parte motiva della decisione impugnata).

Inoltre il fatto che la donna abbia poi trovato rifugio in una casa protetta, attraverso gli strumenti apprestati dall’ordinamento proprio per sottrarre la vittima di maltrattamento familiare dalle violenze e sopraffazioni non vale ad escludere l’esistenza del reato di cui all’art. 572 c.p., ma semmai a segnalare la cessazione della permanenza della condotta delittuosa di maltrattamenti e vessazioni da parte del marito. Nè può trovare accoglimento l’obiezione circa la mancanza di un dolo unitario nelle condotte poste in essere dal marito: infatti se è vero che il dolo del reato di maltrattamenti non può confondersi con la coscienza e volontà di ogni singolo atto violento, tuttavia la giurisprudenza di legittimità (cfr, per tutte, Sez. 6, n. 2800 dell’8/2/1995, Santoro, Rv. 200809) ha chiarito che non è necessaria "la programmatica e preventiva finalizzazione di ogni episodio al raggiungimento del risultato, che è quello di sottoporre la parte lesa ad un intollerabile regime di vita attraverso violenze fisiche e morali", potendo il dolo realizzarsi "in modo graduale, costituendo il dato unificatore di ciascuna delle condotte oggettive" e che l’elemento soggettivo del reato di maltrattamenti deve essere valutata dal giudice di merito, il quale, nel caso di specie, ha fornito una motivazione del proprio convincimento priva di vizi logici e ancorata ai dati probatori acquisiti nel corso del processo. Il ricorso deve pertanto essere rigettato ed il ricorrente deve essere condannato, ai sensi del disposto di cui all’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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