Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 21-09-2011) 13-12-2011, n. 46192 Reato continuato e concorso formale Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte d’Appello di Taranto, con sentenza dell’8 giugno 2010, in riforma della sentenza assolutoria emessa dal Tribunale di Taranto il 20 novembre 2006, ha condannato P.B. alla pena di anni due di reclusione per il reato di cui all’art. 81 cpv., art. 609 bis e ter c.p., riconoscendo la circostanza attenuante di cui all’art. 609 bis ultimo comma c.p. prevalente sulla aggravante contestata, per avere costretto C.F., di anni undici, a subire atti sessuali consistiti nel toccarla ripetutamente nelle parti intime e nel baciarla sui capelli, durante le ore in cui la stessa si trovava in casa con la figlia di esso imputato, fatti accertati in Taranto dal gennaio al marzo 2000.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’imputato, tramite il proprio difensore, chiedendone l’annullamento per il seguente motivo:

Violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e) per mancanza o manifesta illogicità della motivazione in relazione agli artt. 125, 192 e 530 c.p.p., in quanto i giudici di appello avrebbero affermato la responsabilità del ricorrente senza esaminare tutti gli elementi a disposizione e senza dare conto della interpretazione degli stessi in un percorso argomentativo logico; anzi, la Corte di appello si sarebbe limitata ad estrapolare una minima parte della articolata motivazione della sentenza di primo grado e non avrebbe per nulla verificato le dichiarazioni della minore persona offesa che i giudici di primo grado avevano ritenuto contraddittorie, incoerenti, imprecise. In particolare i giudici di appello non avrebbero fornito corrette spiegazioni in ordine alle incongruenze relative alla datazione degli episodi, indicati dalla minore come avvenuti tra il gennaio ed il marzo 2000, ma facendo riferimento a circostanze familiari (luogo di insegnamento della moglie dell’imputato e nascita non ancora avvenuta della figlia più piccola) smentite da altre ben più solide acquisizioni probatorie, nei avrebbero tenuto conto che la stessa mamma e sorella della persona offesa non avevano denunciato l’accaduto perchè non avevano creduto alla versione della minore, essendo poi costrette a ciò, dall’attivazione di ufficio delle indagini.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato.

La giurisprudenza di legittimità ha affermato il principio che "in tema di motivazione della sentenza di condanna pronunciata in appello in riforma di sentenza assolutoria di primo grado, il giudice ha l’obbligo di confutare in modo specifico e completo le argomentazioni della decisione di assoluzione", come anche "di valutare le ulteriori argomentazioni non sviluppate in tale decisione ma comunque dedotte dall’imputato dopo la stessa e prima della sentenza di secondo grado, pronunciandosi altresì sui motivi di impugnazione relativi a violazioni di legge intervenute nel giudizio di primo grado in danno dell’imputato e da questi non dedotte per carenza di interesse, nonchè sulle richieste subordinate avanzate dall’imputato stesso in sede di discussione nel giudizio di primo grado". (Cfr. Sez. 6, n. 22120 del 29/4/2009, Tatone e altri Rv. 243946). Pertanto nella sentenza di condanna che ribalta la decisione assolutoria di primo grado devono essere confutate in via specifica le ragioni poste a sostegno della decisione assolutoria di primo grado, "dimostrando puntualmente l’insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti ivi contenuti", questo perchè la motivazione, sovrapponendosi a quella della sentenza riformata, deve dare compiuta ragione delle scelte operate e "della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati" (Cfr., per tutte, Sez. 5, n. 42033 del 17/10/2008, Pappalardo, Rv. 242330).

2. Orbene, la sentenza impugnata incorre in tale vizio di motivazione, in quanto non ha provveduto a scardinare gli elementi analiticamente vagliati nella decisione del giudice di prime cure, sostituendo a quella valutazione la propria, attraverso una ricostruzione pur diversa, ma di perfetta tenuta logica. Di contro, i giudici di appello hanno ritenuto attendibili le dichiarazioni della minore richiamando una sola testimonianza, senza "smantellare", con argomenti convincenti, le perplessità che il Tribunale aveva sollevato in relazione ad aspetti di contraddittorietà intrinseca della testimonianza della minore stessa e di incongruenze nel narrato, sia nel riscontro con altre testimonianze, sia in relazione ad altri elementi probatori.

I giudici di appello si sono limitati ad omettere ogni analisi su tali punti e, nella troppo sintetica motivazione, non hanno dedicato alcuno spazio alle discrasie circa la "datazione" degli episodi di molestia sessuale subiti dalla persona offesa, ampiamente analizzate, invece, nella decisione di primo grado.

Dei conseguenza, per le vistose carenze argomentative, la sentenza impugnata non riesce a sostituirsi a quella assolutoria, fondando il giudizio di responsabilità penale del ricorrente e deve pertanto essere annullata con rinvio alla Corte di appello di Lecce per un nuovo esame sul fatto.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Lecce. Così deciso in Roma, il 21 settembre 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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