Cass. civ. Sez. I, Sent., 04-07-2012, n. 11148 Indennità di espropriazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1 – Con sentenza depositata il 25.11.2004 il Trib. Di Marsala dichiarava il difetto di giurisdizione in merito alla domanda proposta da P.M. e gli altri odierni ricorrenti relativamente alla richiesta di declaratoria di nullità, per vizi procedimentali, dei provvedimenti alla determinazione dell’indennità di espropriazione del loro fondo, interessato dai lavori di realizzazione del Liceo Scientifico Ruggeri di Marsala e, accogliendo, quanto alla pretesa risarcitoria avanzata dai predetti, l’eccezione di prescrizione sollevata dalle amministrazioni convenute, la rigettava.

La Corte di appello di Palermo, con la sentenza indicata in epigrafe, disposta consulenza tecnica d’ufficio, rigettava l’appello proposto dai pro-prietari avverso la decisione del tribunale e, pronunciando in unico grado, dichiarava inammissibile la domande intesa alla determinazione delle indennità di espropriazione, rigettando quella inerente all’indennità di occupazione.

Veniva preliminarmente ritenuto, così interpretandosi le domande degli appellanti, che gli stessi avessero inteso sia riproporre l’azione risarcitoria, sia avanzare 1’istanza indennitaria davanti alla Corte, per altro competente a conoscerla in unico grado.

Sotto il primo profilo, esclusa l’applicabilità retroattiva del D.Lgs. n. 327 del 2001, art. 43, si affermava, alla luce della giurisprudenza della Corte Eurpea dei diritti dell’uomo e del vigente quadro normativo, che l’istituto dell’occupazione appropriativa non poteva considerarsi con la prima incompatibile, essendo basato su regole accessibili precise e prevedibili, tali da consentire una tutela efficace.

Con riferimento al caso di specie, anche sulla base della giurisprudenza di questa Corte, si riteneva che il dies a quo per il calcolo del periodo di prescrizione dell’azione risarcitoria non potesse decorrere prima del 3 novembre 1988, data di entrata in vigore della L. n. 458 del 1988, il cui art. 3 ha recepito, la figura dell’accessione invertita.

Rilevato altresì che nella presente vicenda sussistesse una valida dichiarazione di pubblica utilità, e rilevato che l’irreversibile trasformazione del fondo si era verificata prima del 3 novembre 1988, si affermava che tale dato dovesse costituite un imprescindibile punto di riferimento per il calcolo della prescrizione, che, a fronte di una domanda proposta nel settembre dell’anno 1999, e in assenza di validi atti interruttivi, la prescrizione stessa era stata correttamente rilevata da parte del tribunale.

Veniva altresì rilevata l’inammissibilità della richiesta concernente l’indennità di esproprio, non essendo stato emesso il relativo decreto e, quanto all’indennità di occupazione, rilevato che durante il relativo periodo il fondo ricadeva in zona destinata ad attrezzature per scuola media superiore e ambulatori", tale da farne ritenere la natura non edificabile, si riteneva che la stessa, essendo stata determinata sulla base di una valutazione dell’area come edificatoria, non potesse comportare una stima superiore.

Si richiamava, infine, il giudizio di congruità espresso dal consulente tecnico d’ufficio in relazione al valore attribuito alle fabbriche insistenti sul fondo appreso.

Per la Cassazione di tale decisione propongono ricorso V. G. e gli altri comproprietari, deducendo sette motivi, illustrati da memoria. Resistono con controricorso il Comune di Marsala e la Provincia Regionale di Trapani, che produce memoria.
Motivi della decisione

2 – Con il primo si denuncia violazione degli artt. 117 e 42 e 111 Cost.; della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo; del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 43 e 55, e degli artt. 112, 132 e 161 c.p.c., per aver omesso la Corte di appello disatteso le critiche rivolte alla figura dell’espropriazione acquisitiva.

2.1 – Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 43 e 55, per aver escluso l’applicabilità della prima norma, erroneamente ritenuta non retroattiva.

2.3 – Le censure che precedono, avuto riguardo alla loro connessione, possono essere congiuntamente esaminate.

Non si ritiene che la generalizzata critica alla figura dell’espropriazione acquisitiva possa essere condivisa. La Corte Costituzionale, infatti, con la nota sentenza 349 del 2007, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis, in quanto detta norma, non prevedendo un ristoro integrale del danno subito per effetto dell’occupazione acquisitiva da parte della pubblica amministrazione, corrispondente al valore di mercato del bene occupato, è in contrasto con gli obblighi internazionali sanciti dall’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU e per ciò stesso viola l’art. 117 Cost., comma 1. La Corte europea, infatti, con specifico riferimento alla disciplina dell’occupazione illegittima, ha ritenuto che la liquidazione del danno stabilita in misura superiore all’indennità di espropriazione, ma in una percentuale non apprezzabilmente significativa, non permette di escludere la violazione del diritto di proprietà, così come è garantito dalla norma convenzionale; ed ha da tempo affermato espressamente che il risarcimento del danno deve essere integrale e comprensivo di rivalutazione monetaria a far tempo dal provvedimento illegittimo. Anche alla luce "delle conferenti norme costituzionali, principalmente dell’art. 42, non si può fare a meno di osservare che il giusto equilibrio tra interesse pubblico ed interesse privato non può ritenersi soddisfatto da una disciplina che permette alla pubblica amministrazione di acquisire un bene in difformità dallo schema legale, e di conservare l’opera pubblica realizzata, senza che almeno il danno cagionato, corrispondente al valore di mercato del bene, sia integralmente risarcito".

Pertanto, a seguito di detta declaratoria di incostituzionalità, è stato ripristinato l’originario criterio di stima dell’indennizzo dovuto al proprietario che ha subito l’occupazione acquisitiva, corrispondente al valore venale pieno dell’immobile espropriato (L. n. 2359 del 1865, art. 39): sì da raggiungere, secondo la Corte Costituzionale, "la sua massima estensione consentita" in luogo del "massimo di contributo di riparazione che nell’ambito degli scopi di generale interesserà pubblica amministrazione può garantire all’espropriato" nell’ipotesi di trasferimento coattivo in cui sia osservata la sequenza procedimentale stabilita dalla legge.

L’applicazione di questo criterio è stata del resto ribadita dalla L. n. 244 del 2007, art. 2, il cui comma 89, sub e) ha modificato il T.U. sulle espropriazioni per p.u. appr. con D.P.R. n. 327 del 2001, art. 55, disponendo che "nel caso di utilizzazione di un suolo edificabile per scopi di p.u., in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio alla data del 30 settembre 1996, il risarcimento del danno è liquidato in misura pari al valore venale del bene", – per cui il giudice di rinvio dovrà determinare il controvalore della porzione edificabile del terreno attenendosi a questo principio (cfr. Cass., 4 febbraio 2008, n. 2602).

E’ stato, inoltre, efficacemente osservato che la norma europea, nell’interpretazione datane dalla Corte di Strasburgo, è diretta a proteggere la proprietà, escludendo che il bene del privato possa essere acquisito dalla P.A. per ragioni diverse dalla pubblica utilità e senza un ristoro effettivo e congruo ristoro, ora, comunque, rapportato alla integralità del valore venale del bene stesso, a seguito e per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 349/07 demolitoria del criterio di liquidazione riduttiva del risarcimento da accessione invertita, di cui alla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis mentre prescinde dal nomen iuris e dalle modalità di tutela adottate dall’ordinamento purchè non comportino sostanziale perdita o menomazione di tale tutela (Cass., 5 settembre 2008, n. 22407).

Esclusa, quindi, una generale difformità dell’istituto in esame dalle norme e dalla stessa giurisprudenza comunitaria, rimane da esaminare la questione sotto il profilo del termine di prescrizione dell’azione risarcitoria. Al riguardo questa Corte, con riferimento al criterio in concreto adottato dalla Corte distrettuale, ha escluso il contrasto con il precetto europeo della prescrittibilità quinquennale del diritto risarcitorio del proprietario del fondo asservito alle finalità dell’opera pubblica, perchè analoga disciplina prescrittiva (nel bilanciamento con le esigenze di certezza delle situazioni giuridiche) è prevista per qualsiasi illecito lesivo di diritti soggettivi, anche di rango costituzionale, precisando che, con il riferimento alla data di emersione nella giurisprudenza e della prima esplicita ricezione normativa (nella citata L. n. 458 del 1988) della costruzione della illegittima occupazione appropriativa come illecito istantaneo, si verifica una situazione del tutto analoga a quella cui ha avuto riguardo la sentenza CEDU "Carbonara, Ventura contro Italia". In tal caso la Corte di Strasburgo – premesso che l’art. 1 Prot. add. CEDU esige, innanzitutto e soprattutto, che una ingerenza di una pubblica autorità nell’esercizio dei diritti del privato debba essere "legale" e che il "principio di legalità" postuli l’esistenza di norme di diritto interno sufficientemente accessibili, chiare e "prevedibili" – ha ritenuto appunto non conforme al riferito criterio di legalità consentire all’Autorità di sottrarsi all’obbligo risarcitorio derivante dall’illegittima occupazione acquisitiva del fondo altrui avvalendosi di una prescrizione (del correlativo diritto del proprietario) maturata in un contesto temporale in cui non era normativamente percepibile la decorrenza della stessa (cfr la citata Cass. n. 22407 del 2008).

Con riferimento alla situazione giuridica così delineatasi, il riferimento al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 43 non può condividersi, sia perchè in contrasto con il principio, più volte affermato da questa Corte, circa la non retroattività di tale norma (cfr., per tutte, Cass., 5 settembre 2005, n. 18239), sia perchè non pertinente, non risultando adottato alcun provvedimento avente efficacia sanante.

3 – Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 2359 del 1865, artt. 3 e 13; degli artt. 112, 132 e 116 c.p.c., dell’art. 111 Cost., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione, rispettivamente, all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, osservandosi che la fissazione dei termini, ai sensi della L. n. 2359 del 1865, citato art. 13, per le opere comprese nel cd. "primo stralcio", non può ritenersi estesa all’area complessivamente considerata, anche per opere da realizzarsi con successivi "stralci", così realizzandosi la sostanziale compromissione di un diritto costituzionalmente tutelato.

3.1 – Il motivo è fondato. La previsione dei termini di inizio di inizio e di completamento dell’opera pubblica rende la dichiarazione di pubblica utilità idonea a sottoporre la proprietà privata alla procedura ablatoria, ragion per cui la loro carenza priva l’amministrazione del potere di disporre sia l’espropriazione dell’area occorrente per la realizzazione dell’opera che la sua occupazione d’urgenza (Cass., Sez. un., 19 aprile 2007, n. 9323).

Non è chi non veda come la fissazione dei termini debba essere correlata all’opera pubblica concretamente prevista, altrimenti, con la possibilità di acquisire un terreno di proporzioni maggiori rispetto all’opera prevista, si verificherebbe, come nella specie, una sostanziale elusione del precetto in esame, con sacrificio della posizione del proprietario, in funzione di opere la cui realizzazione, per "stralci" ancora incerti nell’"an" e nel "quando", non può certamente ritenersi compresa nei termini inerenti all’opera da eseguirsi. Limitatamente all’area cui non sono riferibili i termini indicati, ed acquisita in maniera esorbitante, deve ritenersi la totale carenza della potestà espropriativa, con conseguente applicabilità, versandosi in tema di occupazione (non usurpativa, ma) sine titulo, del termine prescrizionale della relativa azione risarcitoria, salva la facoltà di domandare la restituzione di quella parte del bene.

3.2 – Rimane assorbito la quarta censura, relativa alla medesima questione.

4 – Il quinto motivo, con il quale si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 132 e 161 c.p.c., dell’art. 111 Cost.

degli artt. 2943 e 2944 c.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, è infondato, in quanto, con riferimento alla lettera in data 4 febbraio 1998, proveniente dal Dirigente del 9 settore tecnico della Provincia, correttamente la corte territoriale ha escluso la ricorrenza di una atto interruttivo, essendosi meramente affermato che risultavano già integralmente corrisposte le indennità di espropriazione e di occupazione. Non risultano dedotti, con nel rispetto de principio di autosufficienza del ricorso, elementi validi per contraddire tale assunto.

5 – Del pari infondato è il sesto motivo, con il quale sembra che venga sostenuta la tesi dell’applicabilità dei principi indennitari anche nell’ipotesi di espropriazione acquìsitiva, che, per le ragioni sopra esposte, determina responsabilità aquiliana della pubblica amministrazione e da luogo all’azione risarcitoria, nei limiti già indicati, da parte del proprietario del bene.

6 – Del tutto inammissibile, infine, è il settimo motivo con il quale si deduce violazione dell’art. 112 c.p.c., con un generico richiamo a un dedotto vizio di ultrapetizione, cui non si associa alcuna specifica allegazione, in evidente violazione del principio di autosufficienza del ricorso.

7 – La sentenza impugnata, in conclusione, va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di appello di Palermo che, in diversa composizione, applicherà il principio indicato, provvedendo, altresì, al regolamento delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo del ricorso, assorbito il quarto.

Rigetta il secondo, il quinto ed il sesto motivo, dichiara inammissibile il settimo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Palermo, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 14 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2012

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