Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 21-09-2011) 13-12-2011, n. 46191 Reato continuato e concorso formaleViolenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Catania, in data 13 aprile 2010, ha confermato la sentenza del Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Siracusa del 13 giugno 2002, che ha condannato M.P. alla pena di quattro anni di reclusione, oltre pene accessorie, per il reato di cui all’art. 81 cpv., art. 609 bis c.p., comma 2, n. 1, per avere, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, abusando delle condizioni di inferiorità psichica di D. G., indotto la stessa a subire toccamenti al seno, a seguirlo all’interno della scuola elementare dei cui locali aveva disponibilità, svolgendo le funzioni di bidello, ed a congiungersi carnalmente con lui, dopo averla immobilizzata su un banco, fatti accertati in Feria, nel dicembre del 2000 ed il 5 gennaio 2001.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’imputato chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi:

1. Violazione di legge penale e manifesta illogicità di motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in relazione agli artt. 192 e 194 c.p.p. Viene contestata la valutazione di attendibilità della persona offesa, nonostante la contraddittorietà intrinseca delle sue dichiarazioni ed anche con quelle rese dalla di lei suocera. Inoltre i giudici non avrebbero considerato che la asserita violenza non è stata documentata e la inverosimiglianza della stessa, che sarebbe stata perpetrata "in equilibrio" sopra un banco della scuola. Nè si comprende come mai la persona offesa non avesse urlato per chiedere aiuto. Il giudice non avrebbe tenuto conto della conflittualità esistente tra nuora e suocera, che in seguito avrebbe all’allontanamento della donna dal nucleo familiare, nè avrebbe valutato che dalle certificazioni mediche acquisite emergeva il carattere influenzatine della personalità della D.. La sentenza è poi carente nella motivazione laddove non ha indicato da quali circostanze di fatto abbia tratto la prova del mancato consenso della persona offesa all’atto sessuale.

2. Violazione di legge penale sostanziale e mancanza o manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in quanto la sentenza di appello contiene poche scarne frasi e non ha fornito convincente risposta alle deduzioni difensive avanzate con l’atto di appello.
Motivi della decisione

1. Va premesso che questa Corte ha affermato il principio di diritto in base al quale, quando le sentenze di primo e secondo grado concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo (Così, tra le altre, Sez. 2, n. 5606 dell’8/2/2007, Conversa e altro, Rv. 236181; Sez 1, n. 8868 dell’8/8/2000, Sangiorgi, Rv.

216906; Sez. 2, n. 11220 del 5/12/1997, Ambrosino, Rv. 209145). Tale integrazione tra le due motivazioni si verifica allorchè i giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione di primo grado, in risposta ai quali è consentita anche la motivazione per relationem (Cfr. la parte motiva della sentenza Sez. 3, n. 10163 del 12/3/2002, Lombardozzi, Rv. 221116), sempre che tale rinvio non comporti una sottrazione alle puntuali censure prospettate in sede di impugnazione.

Inoltre in sede di legittimità è preclusa una rilettura degli elementi di fatto posti a base della decisione o l’adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione dei fatti (Sez. 6, n. 22256 del 2006, Bosco, Rv. 234148): quando il giudice di merito abbia esposto le motivazioni della propria decisione in coerenza con i dati risultanti dal processo non è ammessa una diversa ricostruzione in fatto della vicenda oggetto del giudizio da parte dei giudici di legittimità. 2. In riferimento alle censure di manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione, sia in relazione alle condizioni di inferiorità psico-fisica della persona offesa, che relativamente a tutti i profili dell’attendibilità ed all’aspetto del possibile consenso della stessa, va osservato che i giudici di appello, che pure hanno fatto riferimento alle esaustive argomentazioni sviluppate nel dettaglio nella sentenza di primo grado, hanno fornito una valutazione autonoma, ritenendo che il racconto della D. non presentasse elementi di inverosimiglianza: il fatto che la stessa fosse stata indotta ad entrare nella scuola richiamata dall’imputato e la consumazione del rapporto sessuale sul banco, risultano perfettamente compatibili, il primo fatto, con la facile influenzabilità della donna, dovuta alla sua infermità, ed il secondo, dalla sufficienza di un minimo impiego di forza fisica, dovendosi del resto tenere conto che il fatto contestato prescinde da condotte di violenza e minaccia, essendo incentrato sul comportamento di approfittamento della condizione di inferiorità psichica della donna, "indotta" a consumare un rapporto sessuale. Di conseguenza risulta del tutto pretestuoso anche il motivo di ricorso relativo alla mancata motivazione circa la mancanza di consenso della persona offesa all’atto sessuale.

In tale quadro psicologico trova coerente collocazione anche la iniziale reticenza della persona offesa in merito alle domande rivolte dalla suocera ed all’insistenza attuata dalla suocera stessa per avere chiarimenti, atteso che era stata la stessa R., entrata nella scuola per altre ragioni a riferire di non avere più trovato la nuora ad aspettarla nell’auto ed anzi di averla vista uscire dalla porta laterale dell’edificio, per cui, temendo l’accaduto – attesa la fragilità dell’autocontrollo della donna – aveva chiesto spiegazioni al M. ed alla stessa nuora.

Pertanto anche la lamentata presunta contraddittorietà della motivazione in riferimento alla considerazione della testimonianza della suocera R., risulta censura del tutto infondata, in quanto si traduce nella proposta di una diversa lettura di quanto dalla medesima dichiarato.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato ed al rigetto consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ex art. 616 c.p.p..
P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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