Cass. civ. Sez. I, Sent., 04-07-2012, n. 11147 Danni (risarcimento dei) Occupazione d’urgenza

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1 – In data 7 novembre 1980 la signora T.M.C. stipulava un atto di cessione, in favore della Provincia Regionale di Palermo, avente ad oggetto un proprio terreno edificatale, descritto al Catasto terreni del Comune di Palermo alla part. 244 del foglio 29: veniva stabilito il pagamento del corrispettivo sulla base dell’indennità di esproprio temporaneamente determinata in Lire 57.538.000, con riserva della T. di chiedere il conguaglio all’esito della emananda regolamentazione della materia.

Successivamente, con atto di citazione notificato il 7 e l’8 giugno 1989, la cedente conveniva in giudizio l’Amministrazione provinciale di Palermo e l’Assessorato ai beni ambientali e culturali della Regione Siciliana al fine di ottenere la rideterminazione dell’indennità di esproprio e di occupazione temporanea.

1.1 – Con sentenza depositata in data 15 ottobre 1998 il Tribunale di Palermo dichiarava la propria incompetenza e quindi, con atto di citazione notificato il 25 novembre 1999, la T. reiterava la domanda davanti alla Corte di appello di Palermo che, con sentenza n. 821 del 2002 la rigettava, ritenendo la nullità dell’atto di cessione, in quanto l’occupazione del fondo era avvenuta, nel febbraio dell’anno 1975, quando era scaduta l’efficacia della dichiarazione di pubblica utilità, ed affermando quindi che, poichè ricorreva l’ipotesi dell’occupazione usurpativa del terreno, non sussistevano i presupposti per la rideterminazione dell’indennità.

1.2 – Successivamente la T., passata in giudicato tale decisione, con atto di citazione notificato il 29 novembre 2004 conveniva l’Amministrazione Provinciale di Palermo e l’Assessorato ai beni ambientali e culturali della Regione Siciliana davanti al Tribunale di Palermo, chiedendone la condanna, sulla base della già ritenuta natura usurpativa dell’occupazione, al risarcimento del danno derivante dall’irreversibile trasformazione del fondo.

1.3 – Con sentenza n. 1316 del 2007 il Tribunale di Palermo, accogliendo la domanda riconvenzionale proposta dalla Provincia, affermava che la stessa aveva acquistato a titolo di usucapione, a far tempo dal novembre 2000, la proprietà del terreno, rigettando, quindi, la pretesa risarcitoria.

1.4 – La Corte di appello di Palermo, con la sentenza indicata in epigrafe, rigettava l’appello proposto dalla T., con compensazione delle spese processuali. Veniva in particolare ritenuto che, limitandosi l’efficacia del giudicato formatosi in relaziona alla citata sentenza n. 821 del 2002 al rigetto della domanda di conguaglio, alla quale non poteva, per altro, attribuirsi natura interruttiva dell’usucapione, posto che detta domanda presupponeva la già avvenuta perdita della proprietà del bene da parte della T., veniva posto in evidenza che la declaratoria di nullità del contratto di cessione comportava la maturazione, a far tempo dal conseguimento del possesso del bene da parte dell’Amministrazione, del periodo di usucapione, in relazione al quale non erano emerse ipotesi di sospensione o di interruzione. Si osservava, in particolare, che il giudicato formatosi in precedenza fra le stesse parti, relativo all’insussistenza del diritto al conguaglio del prezzo dell’atto di cessione, non era incompatibile con la successiva pronuncia, avente natura dichiarativa, di usucapione del bene, fondata anche sulla nullità del medesimo atto di cessione. Non poteva, per altro, attribuirsi efficacia interruttiva alla domanda di conguaglio, fondata proprio sulla perdita della proprietà del bene da parte della richiedente, nè poteva ritenersi che l’istituto dell’usucapione, nella fattispecie considerata, fosse contrario ai principi affermati dalla Corte di Giustizia della Comunità Europea.

1.5 – Per la cassazione di detta decisione la T. propone ricorso, affidato a quattro motivi, illustrati da memoria.

Resistono con controricorso la Provincia Regionale di Palermo e l’Assessorato ai beni culturali e ambientali della Regione Siciliana.
Motivi della decisione

2 – Con il primo motivo sì denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1158, 1165 e 2935 c.c., oltre che del D.P.R. n. 327 del 2001, sostenendosi che l’istituto dell’usucapione sarebbe incompatibile – come emergerebbe da due arresti del T.A.R. del Lazio all’uopo richiamati – con la tutela del diritto di proprietà sancita dall’art. 97 e nei principi comunitari, così come interpretati dalla Corte di Strasburgo.

2.1 – Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2944 e 2945 c.c.: erroneamente il dies a quo per la maturazione del dritto ad usucapire sarebbe stato individuato nel momento della sottoscrizione dell’atto di cessione volontaria, senza considerare che, ai sensi dell’art. 4 dello stesso contratto, era previsto il pagamento delle somme convenute – certamente rilevante ai fini interruttivi – in un momento successivo, in ordine al quale nessun elemento di prova risultava acquisito.

2.2 – Con il terzo motivo la T. lamenta la violazione dell’art. 2909 c.c., sostenendo che la corte territoriale non avrebbe considerato, con riferimento alla precedente decisione, passata in giudicato, relativa alla domanda di conguaglio, che la stessa in realtà presupponeva l’esercizio di poteri domenicali, ragion per cui era avrebbe dovuto esplicare la propria efficacia, in virtù del principio secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile.

2.3 – Il quarto motivo attiene al regolamento delle spese processuali: muovendo dalla ritenuta fondatezza dell’appello proposto dalla T., si sostiene che erroneamente le spese non sarebbero state poste a carico della Provincia.

3 – Vale bene premettere che l’eccezione di inammissibilità del ricorso, avanzata dalla Provincia Regionale di Palermo, e fondata sul disposto dell’art. 360 bis c.p.c., per aver il provvedimento impugnato deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte, non può essere condivisa, in virtù dei principi fissati dalle sezioni unite di questa Corte con la nota ordinanza n. 19051 del 2010, secondo cui il ricorso scrutinato ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1 deve essere rigettato per manifesta infondatezza e non dichiarato inammissibile, se la sentenza impugnata si presenta conforme alla giurisprudenza di legittimità e non vengono prospettati argomenti per modificarla, posto che anche in mancanza, nel ricorso, di argomenti idonei a superare la ragione di diritto cui si è attenuto il giudice del merito, il ricorso potrebbe trovare accoglimento ove, al momento della decisione della Corte, con riguardo alla quale deve essere verificata la corrispondenza tra la decisione impugnata e la giurisprudenza di legittimità, la prima risultasse non più conforme alla seconda nel frattempo mutata.

4 – Il ricorso è infondato.

4.1 – Nella formulazione del primo motivo, invero, postulandosi una sorta di incompatibilità fra l’istituto dell’usucapione e la figura dell’occupazione usurpativa, non si è considerato il fondamento dell’elaborazione giurisprudenziale di questa Corte, che, proprio in considerazione della totale carenza dei presupposti per l’esercizio di poteri ablativi, ha ribadito, in tal caso, la permanenza dei poteri domenicali anche in presenza del cd. fenomeno dell’irreversibile trasformazione del fondo.

Con la decisione 18 febbraio 2000, n. 1914, ripercorrendosi le tappe del percorso giurisprudenziale inerente alla cd. occupazione espropriativa, si è posta in evidenza l’esigenza di approfondire i meccanismi di tutela del proprietario nell’ipotesi in cui non sussista, come avviene nella fattispecie testè richiamata, una valida dichiarazione di pubblica utilità, ragion per cui, movendo da precedenti arresti (fra i quali Cass. Sez. Un., 4 marzo 1997, n. 1907), nei quali si era affermata la possibilità per il proprietario di optare, anzichè per la tutela restitutoria, per quella risarcitoria, si è pervenuti alla conclusione, per quanto qui maggiormente interessa, che "nell’occupazione che, per convenzione, potremmo definire usurpativa, il giudice si occupa della domanda risarcitoria del proprietario sotto l’aspetto delle non consentite trasformazioni che l’occupante abusivo abbia apportato al fondo".

In altri termini, il requisito dell’irreversibile trasformazione del fondo, che nell’occupazione espropriativa funge da modalità di acquisto del fondo in virtù del fenomeno della c.d. accessione invertita, nell’occupazione usurpativa, la quale si colloca nell’ambito dell’illecito di natura aquiliana, acquista una diversa valenza giuridica, nel senso che "l’inoperatività dell’istituto dell’occupazione appropriativa, in assenza dell’indefettibile presupposto del riconoscimento, da parte degli organi competenti, della pubblica utilità dell’opera, comporta che il privato, durante l’illegittima occupazione, possa fruire dei rimedi reipersecutori a tutela della non perduta proprietà". In tale quadro, evidentemente scevro da connotazioni pubblicistiche per essere la pubblica amministrazione, con il proprio comportamento ed in assenza di potere espropriativi, assoggettabile alla disciplina comune, la possibilità per il proprietario di rivendicare, indipendentemente dall’intervenuta attività manipolativa, il bene e riacquistarne il possesso, che costituisce il suo principale diritto – al quale l’azione risarcitoria si pone come mera opzione alternativa – evidentemente incontra i limiti di qualsiasi azione di rivendica, compreso quello dell’eccezione di usucapione sollevata dalla parte convenuta. A fronte di una mera condotta della pubblica amministrazione, illecita proprio perchè assolutamente aliena dall’esercizio di poteri espropriativi, l’evocazione della disposizione contenuta nell’art. 97 Cost. non appare pertinente, dovendo trovare, vale bene, ribadirlo, la disciplina del diritto comune. Allo stesso modo non appare rilevante il richiamo alla disciplina contenuta nel D.P.R. n. 327 del 2001 (dovendosi l’ormai abrogato art. 43 intendere sostituito dall’art. 42 bis), sia per evidenti ragioni di diritto intertemporale (Cass., 5 settembre 2005, n. 18239), sia perchè la possibilità per la pubblica amministrazione di un acquisto postumo del diritto di proprietà con un provvedimento avente efficacia sanante (nel caso di specie, poi, non esercitata), è logicamente incompatibile con il già intervenuto acquisto del bene, eventualmente anche a titolo di usucapione (cfr., in motivazione, Cass., Sez. un., 19 dicembre 2007, n. 26732). Questa Corte, del resto, ha più volte affermato la compatibilita fra la previsione di modi di acquisto della proprietà o di altri diritti reali di natura espropriativa e l’usucapione (Cass., 18 giugno 1996, n. 5606; Cass., 25 marzo 1998, n. 3153; implicitamente, in motivazione, Cass., 15 maggio 2012, n. 7573 e Cass., 28 ottobre 2011, n. 22545). Le sezioni unite, con una recente pronuncia, hanno ribadito detta compatibilità, affermando, da un lato, che "non è vero che la realizzazione abusiva (al di fuori di una valida procedura ablativa o di imposizione coattiva di una servitù) di un’opera privata di pubblica utilità privi il proprietario del fondo del diritto alla restituito in integrum" (in piena conformità, del resto, ai principi affermati dalla CEDU, e, dall’altro, che "l’usucapione fa venir meno l’elemento costitutivo della fattispecie risarcitoria, consistente nell’illiceità della condotta lesiva della situazione giuridica soggettiva dedotta, non solo per il periodo successivo al decorso del termine, ma anche per quello anteriore, in virtù della retroattività degli effetti dell’acquisto, stabilita per garantire, alla scadenza del termine necessario, la piena realizzazione dell’interesse all’adeguamento della situazione di fatto a quella di diritto" (Cass., 19 ottobre 2011, n. 21575).

Per completezza di esposizione va rilevato che, al di là delle osservazioni svolte, gli arresti del giudice amministrativo richiamati dalla ricorrente, secondo cui l’usucapione sarebbe incompatibile con il sistema delineato dal D.P.R. n. 327 del 2001 sono contraddetti da numerose pronunce nelle quali espressamente viene fatta salva l’ipotesi della maturazione dell’usucapione ventennale (e pluribus, cfr. TAR Lecce, 2 novembre 2011, n. 1913; TAR Napoli 12 ottobre 2011, n. 4659; TAR Palermo, 2 febbraio 2011, n. 175; TAR Venezia, 10 marzo 2011, n. 400).

4.2 – Il secondo motivo è del pari infondato, in quanto, senza muoversi alcuna contestazione in merito alla ratio deciderteli della decisione impugnata, fondata sulla maturazione dell’usucapione sulla base del "possesso conseguito dall’Amministrazione sulla base di un atto (ancorchè nullo) di cessione volontaria", si sostiene che il dies a quo avrebbe dovuto essere individuato nelle date, successive alla stipulazione dell’atto, in cui sarebbe avvenuto il pagamento del prezzo.

Orbene, non può dubitarsi che, ai fini dell’usucapione, il possesso del bene può essere acquisito anche a seguito di atto traslativo della proprietà che sia nullo, in quanto, anche dopo l’invalido trasferimento della proprietà, l’accipiens può possedere il bene animo domini, ed anzi, proprio la circostanza che la traditio venga eseguita in virtù di un contratto che, pur invalido, è comunque volto a trasferire la proprietà del bene, costituisce elemento idoneo a far ritenere che il rapporto di fatto instauratosi tra l’accipiens e la res tradita sia sorretto dall’animus rem sibi habendi (Cass., 29 luglio 2004, n. 14395; nello stesso, sostanzialmente, Cass., 16 aprile 2007, n. 9090; cass., 27 maggio 2010, n. 13008).

Devesi quindi rimarcare che il pagamento del prezzo, che non può, del resto, non risentire della declaratoria della nullità del contratto, non assume alcun rilievo ai fini dell’acquisto del bene a titolo di usucapione da parte dell’acquirente, che non trova la sua fonte nel contratto nullo, bensì nel possesso del bene concretamente acquisito. Mette conto di ribadire, sotto il profilo soggettivo (con riferimento all’iniziale affidamento che la T. avrebbe riposto nel contratto di cessione), il costante orientamento di questa Corte secondo cui l’art. 2935 c.c., nello stabilire che la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, si riferisce soltanto alla possibilità legale di far valere il diritto, quindi agli impedimenti di ordine giuridico e non già a quelli di mero fatto, fra i quali rientra l’ignoranza del titolare del diritto, anche quando essa sia incolpevole (Cass., 18 settembre 1997, n. 9291, Cass., 7 maggio 1996, n. 4235).

4.3 – Non può condividersi il profilo di censura contenuto nel terzo motivo, in quanto l’anodino richiamo al principio secondo cui la cosa giudicata copre il dedotto e il deducibile non attinge la perspicua affermazione della corte distrettuale secondo cui la domanda di conguaglio, sulla quale si era formato il giudicato, presupponeva la perdita della proprietà del bene, ragion per cui alla stessa non poteva riconnettersi alcuna efficacia interruttiva. Non può considerarsi quindi fondata l’affermazione della ricorrente secondo cui "avrebbe rincorso in buona fede la salvaguardia del diritto dominicale", in quanto, proprio la perdita della proprietà, sulla base della ritenuta efficacia dell’atto di cessione, costituiva il presupposto (implicitamente dedotto) della domanda di conguaglio.

4.3 – L’ultimo motivo è all’evidenza inammissibile, essendo formulato in maniera sostanzialmente condizionata alla ritenuta fondatezza dell’impugnazione.

5 – La delicatezza dei temi trattati e la complessità degli istituti richiamati, anche alla luce della peculiare vicenda esaminata, consigliano la compensazione delle spese processuali inerenti al presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e compensa le spese relative al presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 14 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2012

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