Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 21-09-2011) 13-12-2011, n. 46190 Reato continuato e concorso formale Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte d’Appello di Brescia, con sentenza emessa l’8 luglio 2010, ha confermato la sentenza del GUP in data 24 febbraio 2010, emessa all’esito di rito abbreviato, con la quale A.P. è stato condannato alla pena di tre anni di reclusione, per i reati di cui agli art. 81 cpv. e art. 609 bis c.p., e art. 81 cpv., art. 614, art. 61, n. 2, commessi nei confronti di A.F.B., fatti commessi in (OMISSIS), perchè con violenza e minaccia, essendo entrato di sorpresa nell’abitazione della donna, compiva atti sessuali, baciandola, toccandole il seno, infilandole una mano all’interno dei jeans, denudandosi e mostrando il proprio pene e strofinandolo sul corpo della donna e proponendole la consumazione di un rapporto sessuale, atti che ripeteva il giorno successivo, allorchè veniva colto, denudato, nella flagranza degli atti sessuali dal figliastro della donna ed, in tale stato, fotografato e videoripreso.

L’imputato, tramite il proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione chiedendo l’annullamento della sentenza per i seguenti motivi:

1. Vizio motivazionale ex art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), in ordine alla errata valutazione degli elementi posti a base della sentenza di condanna ed alla infondatezza ed incongruenza delle querele sporte dalla persona offesa, in quanto la Corte di appello avrebbe ritenuto attendibile il racconto della persona offesa circa la telefonata ricevuta la sera dei fatti (dichiarazione poi corretta nel senso che era stata la stessa ad effettuare la telefonata), dopo la prima aggressione, pur essendo anomalo che un aggressore possa telefonare alla propria vittima la sera stessa per avvisarla che sarebbe nuovamente passato a casa sua la mattina successiva, senza tenere in conto la più logica versione dei fatti fornita dall’imputato, che ha riferito invece di un accordo intercorso tra lui e la donna per un incontro sessuale il giorno successivo. Risulterebbe evidente la falsità delle dichiarazioni della A.o, che avrebbe aperto la porta spontaneamente al suo aggressore, anche perchè le stesse troverebbero smentita dall’analisi dei tabulati telefonici; inoltre sarebbe del tutto illogico che il marito della persona offesa si fosse recato al lavoro sapendo che la moglie sarebbe stata raggiunta dall’aggressore la mattina a mezzogiorno, come pure risulterebbero incongruenze nel comportamento del figliastro della donna che avrebbe poi colto l’imputato, già denudato, nella camera da letto.

2. Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in riferimento al capo a) quanto al reato rubricato e in ordine alla sussistenza dell’attenuante di cui al comma 3 dell’art. 609 bis c.p. Infatti dal capo di imputazione viene evidenziato un bacio in bocca, ma nella denuncia presentata dalla Aidoo non emerge alcun riferimento a tale bacio, ma solo al fatto che l’imputato avrebbe abbassato i pantaloni della donna ed i propri, mostrando il pene e strofinandolo sul corpo della donna, fatto che potrebbe rientrare nel disposto di cui all’art. 609 bis c.p., comma 3, in relazione alla qualità dell’atto compiuto, il grado di coartazione della vittima e gli altri elementi richiesti dalla giurisprudenza.

3. Vizio motivazionale ex art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), in ordine al ritenuto giudizio di responsabilità per il reato di violazione di domicilio (capo b), in quanto l’ A. non usò violenza per introdursi nel domicilio della A., che ebbe ad entrare su invito della stessa dopo aver suonato il campanello, in quanto voleva contattare il marito E., il 18 novembre 2009 e, del pari, fu la stessa donna che gli aprì spontaneamente la porta il giorno successivo.
Motivi della decisione

1. Occorre premettere che la Corte di Cassazione ha affermato il principio di diritto in base al quale, quando le sentenze di primo e secondo grado concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo (così, tra le altre, Sez. 2, n. 5606 dell’8/2/2007, Conversa e altro, Rv. 236181; Sez 1, n. 8868 dell’8/8/2000, Sangiorgi, Rv.

216906; Sez. 2, n. 11220 del 5/12/1997, Ambrosino, Rv. 209145). Tale integrazione tra le due motivazioni si verifica allorchè i giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione di primo grado (Cfr. la parte motiva della sentenza Sez. 3, n. 10163 del 12/3/2002, Lombardozzi, Rv. 221116). Nel caso di specie, i giudici di secondo grado, che pure hanno fatto riferimento alle esaustive argomentazioni sviluppate nel dettaglio nella sentenza di primo grado, hanno fornito una vaiutazione autonoma dei motivi di appello sui punti specificamente indicati, verificando sia le ragioni dell’attendibilità della persona offesa, sia gli elementi probatori di riscontro dei fatti.

2. Il primo motivo di ricorso risulta infondato. Per quanto attiene in particolare alla specifica censura relativa alla attendibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, secondo i principi ormai consolidati affermati da questa Corte, il giudice può trarre il proprio convincimento circa la responsabilità dell’imputato anche dalle sole dichiarazioni rese dalla persona offesa, sempre che la stessa sia stata sottoposta a vaglio positivo circa la sua attendibilità e senza la necessità di applicare le regole probatorie di cui all’art. 192 c.p.p., comma 3 e 4, che richiedono la presenza di riscontri esterni (cfr., per tutte, Sez. 1, n. 29372 del 27/7/2010, Stefanini, Rv. 248016). E in tale ambito, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito, ma quello di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni. Nel caso di specie, oltre alle dichiarazioni rese dalla persona offesa, gli elementi di prova considerati nel corso del giudizio di merito sono anche le dichiarazioni rese dal marito della donna e dal figliastro che, rimasto nascosto nel bagno dell’appartamento in attesa dell’arrivo dello sconosciuto aggressore del giorno precedente, ebbe a sorprenderlo denudato nella camera da letto, documentando con videoripresa e foto l’accaduto. Inoltre il giudice di primo grado ha motivato circa l’utilità del riscontro costituito sia dalle dichiarazione rese dalla teste D.F., sia dalla scheda di memoria della macchina fotografica del figliastro, sia dell’esito dell’analisi del registro chiamate del cellulare in uso alla persona offesa, da cui erano emerse le chiamate in entrata sia successivamente alla prima violenza (a margine della quale l’imputato aveva costretto la donna a fornirgli il numero del proprio cellulare), che la mattina del 19 novembre, allorchè l’imputato ebbe a preannunciare il suo arrivo, evento in relazione al quale la A. adottò la contromisura di far nascondere il figliastro per smascherare lo sconosciuto aggressore sessuale.

3. Anche il terzo motivo di ricorso risulta infondato: i giudici di merito hanno ritenuto che fosse emerso con estrema chiarezza dal racconto della donna che, seppure fu la stessa ad aprire spontaneamente la porta dell’appartamento, l’imputato ebbe ad introdursi in casa in modo repentino la prima volta, afferrando la donna per le spalle e spingendola contro il muro della cucina e la seconda volta, seppure entrato perchè la A. aveva aperto la porta per riuscire a smascherarlo grazie alla presenza del figliastro, si era trattenuto contro la volontà della stessa, attrafferrandole il viso e cercando di baciarla.

4. In relazione al secondo motivo di ricorso, questo Collegio ritiene che nella decisione impugnata si sia data compiuta, e logica, risposta quanto alla assenza in casa del marito della persona offesa, posto che lo stesso sarebbe dovuto rientrare in casa prima di mezzogiorno, ora indicata dall’imputato stesso per la sua "visita" il giorno successivo, visita che era stata poi anticipata dall’ A. a seguito della telefonata delle 7, 45, per cui il piano per smascherare l’aggressore aveva visto come protagonista il figliastro O..

5. Risulta, invece, fondato il motivo di ricorso relativo al vizio di motivazione quanto alla mancata concessione della circostanza attenuante di cui all’art. 609 bis c.p., comma 3, atteso che a fronte della specifica doglianza circa la non menzione del bacio nelle dichiarazioni rese dalla donna in riferimento al primo incontro, i giudici di appello non hanno fornito alcuna delucidazione circa le modalità specifiche delle condotte poste in essere dal ricorrente;

gli stessi hanno negato la possibilità di riconoscere nei fatti l’attenuante di cui al comma 3 sulla base degli atti sessuali posti in essere, senza tenere conto di tutti gli elementi che debbono essere valutati secondo quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità ed invece considerando la "mancata resipiscenza" particolarmente significativa attesa la professione (di religioso) svolta dall’imputato, elemento soggettivo che non può essere utilizzato per valutare la "lieve entità" del fatto di cui al reato di violenza sessuale. La giurisprudenza, infatti, ha chiarito che "gli elementi soggettivi di cui all’art. 133 cod. pen.,, comma 2, non rilevano ai fini della configurabilità dell’ipotesi di minore gravità del reato di violenza sessuale, non rispondendo la mitigazione della pena all’esigenza di adeguamento alla colpevolezza del reo e alle circostanze attinenti alla sua persona ma alla minore lesività del fatto, da rapportare al grado di violazione del bene giuridico della libertà sessuale della vittima" (cfr. Sez. 3, n. 27272 del 15/6/2010, P., Rv. 247931), mentre il giudice può fare riferimento ai criteri di cui al primo comma del medesimo articolo (disvalore della condotta desunto dalle modalità dell’azione, gravità del danno cagionato, intensità del dolo o della colpa: in tal senso, Sez. 3, n. 1192 dell’8/11/2007, Fiori, Rv. 238551).

Pertanto la sentenza deve essere annullata con rinvio, limitatamente alla eventuale concedibilità dell’attenuante del fatto di lieve entità ex art. 609 bis c.p., comma 3, ad altra sezione della Corte di appello di Brescia, dovendo i giudici di appello verificare il fatto alla luce dei citati principi di diritto, mentre nel resto il ricorso deve essere rigettato.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Brescia, limitatamente alla valutazione della concedibilità della circostanza attenuante di cui all’art. 609 bis c.p., comma 3; rigetta nel resto il ricorso.

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