Cass. civ. Sez. I, Sent., 04-07-2012, n. 11146 Ammissione al passivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con decreto del 20 novembre 2010, il Tribunale di Brescia ha rigettato l’opposizione proposta dalla Hypo Alpe-Adria-Bank S.p.a.

avverso io stato passivo del fallimento della Casa 2000 S.r.l., ed avente ad oggetto l’ammissione al passivo dei crediti vantati dalla società opponente in virtù di un contratto di leasing stipulato con la società fallita.

Premesso che il contratto era stato risolto stragiudizialmente in data anteriore alla dichiarazione di fallimento, il Tribunale, per quanto ancora rileva in questa sede, ha ritenuto applicabile la disciplina di cui all’art. 1526 cod. civ., e, preso atto che l’opponente non aveva fatto valere neppure in via subordinata il credito per l’equo compenso, ha escluso il suo diritto al pagamento delle rate scadute e rimaste insolute, aggiungendo che essa era tenuta alla restituzione delle rate riscosse. Quanto al credito risarcitorio per il ritardo nel rilascio dell’immobile concesso in leasing, ha ritenuto che esso potesse essere ragguagliato ad un canone locatizio pari al 6,5% del valore del bene, ed ha quindi determinato in Euro 16.250,00 la somma dovuta per il bimestre di occupazione sine titulo anteriore alla dichiarazione di fallimento ed in Euro 32.500,00 quella dovuta per il quadrimestre successivo, osservando comunque che, anche a voler ritenere che alla data della consegna delle chiavi l’immobile non fosse ancora completamente libero, l’ingombro dei beni ancora presenti in loco sarebbe risultato così modesto da non pregiudicare la commerciabilità dell’immobile.

Rilevato infine che il credito complessivo dell’opponente risultava inferiore all’obbligazione restitutoria gravante sulla stessa, ha ritenuto corretta la decisione del Giudice delegato, che ne aveva implicitamente accertato la compensazione, rigettando la domanda di ammissione al passivo, ed ha precisato che le conclusioni non sarebbero mutate anche qualora fosse stato chiesto il riconoscimento dell’equo compenso, in quanto, assumendo come parametro la rendita locatizia dell’immobile, calcolala sul valore iniziale stimato dal c.t.u., il credito complessivo dell’opponente sarebbe risultato ugualmente inferiore al suo debito.

2. – Avverso il predetto decreto la Hypo Alpe-Adria-Bank propone ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, illustrati anche con memoria. Il curatore del fallimento resiste con controricorso.
Motivi della decisione

1. – Preliminarmente, va disattesa l’eccezione d’inammissibilità sollevata dai controricorrente, il quale fa valere il difetto di autosufficienza del ricorso, in quanto carente della ricostruzione dello svolgimento del processo e delle posizioni assunte dalle parti, nonchè dell’indicazione delle ragioni poste a fondamento della decisione, nelle parti che costituiscono oggetto di censura.

1.1. – L’esposizione sommaria dei fatti di causa, prescritta dall’art. 366 c.p.c., n. 3 al fine di consentire al Giudice di legittimità una chiara comprensione dei fatti che hanno dato origine alla controversia e dell’oggetto dell’impugnazione, senza dover ricorrere agli atti del processo o ai documenti prodotti, ivi compresa la sentenza impugnata, non implica che i motivi d’impugnazione siano preceduti da un’autonoma e distinta premessa in fatto ovvero da una narrativa analitica o particolareggiata dello svolgimento del processo, essendo sufficiente che dal contesto del ricorso, e quindi anche dall’articolazione delle censure proposte, sia possibile desumere una conoscenza del fatto, sostanziale e processuale, tale da permettere un’adeguata valutazione del significato e della portata delle critiche rivolte alla pronuncia del giudice a quo (cfr. Cuss., Sez. 3, 24 luglio 2007, n. 16315; Cass., Sez. 1, 28 febbraio 2006, n. 4403; 4 giugno 1999, n. 5492).

Tale requisito nella specie può ritenersi sufficientemente soddisfatto, nonostante l’assenza nel ricorso di una sezione specificamente dedicata all’esposizione dello svolgimento del processo e del contenuto dei decreto impugnato, dalla puntuale precisazione, in premessa, dell’oggetto della domanda di ammissione al passivo e dalla chiara indicazione, nell’illustrazione dei motivi, delle ragioni fatte valere nel giudizio di merito e di quelle poste a fondamento della decisione, la cui mancata trascrizione letterale non impedisce, salvo quanto si dirà in riferimento al terzo motivo, di cogliere il senso delle censure prospettate.

2. – Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., osservando che il Tribunale ha ricondotto ufficiosamente la fattispecie all’art. 1526 cod. civ., in tal modo giungendo ad affermare la superiorità del credito vantato dal fallimento, senza peraltro detrarre dallo stesso l’equo compenso ed il risarcimento del danno derivante dall’anormale logoramento del bene concesso in leasing, in assenza di una specifica domanda o eccezione del curatore ed in contrasto con la natura del giudizio di opposizione allo stato passivo, nel quale l’effetto devolutivo è limitato alle censure sollevate dal creditore escluso o ammesso con riserva.

2.1. – Il motivo è infondato.

Come si evince dal decreto impugnato, l’art. 1526 cod. civ., già applicato dal Giudice delegato ai fini del rigetto della domanda di ammissione al passivo, era stato invocato anche nel giudizio di opposizione, avendo il curatore eccepito, nella memoria difensiva, l’avvenuta risoluzione del contratto di leasing, da cui derivava l’esclusione dell’obbligo di pagare i canoni insoluti, e la compensazione del credito risarcitorio fatto valere dalla ricorrente per l’occupazione illegittima con il maggior credito vantato dal fallimento per la restituzione dei canoni pagati.

La proponibilità di tale eccezione non è esclusa dal carattere impugnatorio del giudizio di opposizione allo stato passivo, la cui finalità, consistente nel rimuovere un provvedimento che, se non opposto, è destinato ad acquistare efficacia di giudicato endofallimentare (cfr. Cass., 25 febbraio 2011, n. 4708), non impedisce al curatore di far valere ragioni di infondatezza della pretesa creditoria anche diverse da quelle enunciate nell’originario provvedimento di non ammissione al passivo, non essendo previsto a suo carico un onere di sollevare tutte le possibili contestazioni nel corso dell’adunanza di cui all’art. 96 della legge fall., e non trovando applicazione l’art. 345 cod. proc. civ., dettato per il rito ordinario di appello ed incompatibile con la struttura del giudizio in esame, configurabile come prosecuzione della fase a cognizione sommaria, in cui il creditore opponente assume la veste di attore anche in senso sostanziale (cfr. Cass., Sez. 1, 1 ottobre 2007, n. 20622; 11 maggio 2001, n. 6563; 1 agosto 1996, n. 6963).

Tale conclusione, alla quale la giurisprudenza di legittimità era già pervenuta in riferimento alla disciplina originariamente dettata dall’art. 99 della legge fall., trova conferma nelle modifiche introdotte dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, art. 6, comma 4, la cui applicabilità all’opposizione in esame trova giustificazione nella sua inerenza ad una procedura fallimentare apertasi con sentenza del 4 luglio 2008: il nuovo testo dell’art. 99, nel disciplinare la costituzione in giudizio, prevede infatti, a pena di decadenza, l’onere di proporre nella memoria difensiva le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio, senza imporre limitazioni al riguardo, escludendo pertanto implicitamente la sola proposizione di domande riconvenzionali, incompatibili con le esigenze di celerità che ispirano la disciplina dell’accertamento del passivo (cfr. Cass., Sez. 1, 22 marzo 2010, n. 6900).

2.2. – Quanto all’equo compenso ed al risarcimento del danno per l’anormale deterioramento dell’immobile, l’omessa considerazione dei relativi importi ai fini della determinazione del credito della ricorrente trova un’adeguata giustificazione nell’osservazione, emergente dal decreto impugnato, che l’opponente non aveva proposto una apposita domanda d’insinuazione al passivo, costituendo tali crediti oggetto di una pretesa distinta ed autonoma rispetto a quella riguardante il pagamento dei canoni scaduti, fatta valere con l’opposizione (cfr. Cass., Sez. 3, 10 settembre 2010, n. 19287; 28 agosto 2007, n. 18195).

Tale rilievo non ha d’altronde impedito al Tribunale di esprimersi, sia pure ad abundantiam, sulla fondatezza della domanda di riconoscimento dell’equo compenso, determinandone l’importo, in via meramente ipotetica, sulla base del medesimo parametro adottato ai fini della liquidazione del danno da occupazione, ed affermandone quindi l’inferiorità rispetto all’obbligazione restitutoria gravante sull’opponente, con la conseguente inidoneità ad escludere l’intervenuta estinzione per compensazione del credito insinuato a passivo.

3. – E’ invece inammissibile il secondo motivo, con cui la ricorrente deduce l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sostenendo che il Tribunale ha individuato nella data di consegna delle chiavi quella del rilascio dell’immobile, senza tener conto di una lettera raccomandata spedita il giorno successivo, con cui essa ricorrente aveva fatto rilevare la presenza di materiali e beni di pertinenza della procedura, dei quali aveva sollecitato l’asportazione.

3.1. – Il Tribunale, pur rilevando che la ricorrente aveva accettato la consegna delle chiavi senza esprimere alcuna riserva, ha preso espressamente in considerazione l’affermazione della stessa, secondo cui il rilascio effettivo dell’immobile avrebbe avuto luogo circa otto mesi dopo, a seguito dello sgombero di beni ancora presenti in loco, ma ha ritenuto tale circostanza irrilevante ai fini della liquidazione del danno da occupazione, osservando che l’ingombro sarebbe risultato così modesto da non incidere sulla commerciabilità del bene.

Tale rilievo non appare in alcun modo scalfito dalle argomentazioni della ricorrente, la quale si limita a ribadire il proprio convincimento, opposto a quello risultante dal decreto impugnato, in tal modo dimostrando di voler sollecitare, attraverso l’apparente deduzione del vizio di motivazione, una rivisitazione dell’apprezzamento compiuto dal Tribunale, non consentita a questa Corte, alla quale non è conferito il potere di riesaminare il merito della vicenda sottoposta al suo esame, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, le argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta in via esclusiva il compito d’individuare le fonti del proprio convincimento e, a tale scopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, nonchè scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare i fatti in discussione (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. lav., 18 marzo 2011, n. 6288; 23 dicembre 2009, n. 27162; Cass., Sez. 2, 9 agosto 2007, n. 17477).

4. – Con il terzo ed ultimo motivo, la ricorrente lamenta la violazione o la falsa applicazione dell’art. 1526 cod. civ., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha rigettato l’istanza di ammissione al passivo dei crediti per canoni ed indennità di occupazione, invece di ammetterli con riserva dell’accertamento del credito restitutorio, ed ha determinato il controcredito del fallimento e l’equo compenso recependo acriticamente i calcoli del curatore, senza considerare i conteggi proposti da essa ricorrente e gli altri elementi risultanti dall’istruttoria, in particolare il deprezzamento dell’immobile rilevato dal c.t.u..

4.1. – La censura è infondata nella parte riflettente la mancata ammissione con riserva dei crediti per canoni ed indennità di occupazione, non rientrando tra le ipotesi previste dall’art. 96, comma 2, della legge fall., (nel testo risultante dalle modifiche introdotte dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, art. 81 e dal D.Lgs. n. 169 del 2007, art. 6, comma 3) l’ammissione al passivo di crediti dei quali sia stata eccepita la compensazione con un credito vantato dal fallimento; l’intervenuto accertamento di quest’ultimo credito, imponendo l’accoglimento dell’eccezione, e comportando quindi la declaratoria di estinzione del credito fatto valere dall’opponente, risulta di per sè sufficiente ad escluderne l’ammissione al passivo.

4.2. – La censura è invece inammissibile, per difetto di autosufficienza, nella parte riguardante la determinazione dei crediti fatti valere dalle parti, risolvendosi in una generica contestazione del metodo adottato e dei calcoli posti a base della liquidazione dei rispettivi importi, non accompagnata da una specifica individuazione degli elementi e dalla trascrizione dei conteggi asseritamente non presi in considerazione nel decreto impugnato.

La parte che, in sede di legittimità, faccia valere l’incongruità o l’insufficienza della motivazione in relazione alla mancata valutazione di documenti o risultanze processuali, ha infatti l’onere di indicare specificamente il contenuto dei documenti trascurati od erroneamente interpretati dal giudice di merito, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire il controllo in ordine alla decisività delle risultanze non valutate o insufficientemente valutate, che questa Corte deve essere posta in grado di compiere esclusivamente sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (cfr.

ex plurimis, Cass., Sez. 6, 30 luglio 2010, n. 17915; Cass., Sez. 1, 17 luglio 2007, n. 15952; Cass., Sez. 3, 24 maggio 2006, n. 12362).

5. – Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, e condanna la Hypo Alpe-Adria-Bank S.p.a. al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in Euro 5.200,00, ivi compresi Euro 5.000,00 per onorario ed Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 16 febbraio 2012.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2012

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