Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 19-09-2011) 13-12-2011, n. 46235

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

M.M., P.P. e D.M.C.B. sono stati attinti da provvedimento di sequestro preventivo ai sensi della L. n. 356 del 1992, art. 12 quinquies, sul presupposto della partecipazione di altro soggetto, tale G.S., alla associazione camorristica denominata "clan Mallardo".

L’ordinanza di custodia cautelare da cui fu attinto quest’ultimo è stata annullata dal tribunale del riesame di Napoli, il quale ha escluso la sussistenza di gravi indizi a carico del G. per la partecipazione ad associazione di stampo mafioso; venuto meno il presupposto della mafiosità, sono cadute anche le condizioni per configurare il reato di cui alla L. n. 356 del 1992, art. 12 quinquies. Per tale motivo il tribunale del riesame di Napoli, con provvedimento del 16 febbraio 2011, depositato il 17 febbraio 2011, ha annullato il decreto di sequestro preventivo emesso nei confronti di M.M., P.P. e D.M.C.B..

Contro tale ordinanza propone ricorso per cassazione il pubblico ministero presso il tribunale di Napoli evidenziando due motivi di doglianza:

– erronea applicazione della legge penale;

– mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo.

Più in generale, con riferimento al reato di cui all’art. 416 bis c.p., il ricorrente rileva che il tribunale avrebbe ingiustificatamente negato valenza indiziaria alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia sostenendo che: – sono de relato, in quanto provenienti da soggetti esterni all’associazione criminosa;

– attengono a periodi diversi e non sono coincidenti o sovrapponibili;

– l’attendibilità intrinseca dei collaboratori, ad eccezione di V.G., non è verificabile;

– non sono dotate di riscontri.

Il difensore di M.M., P.P. e D.M. C.B. ha depositato memoria in data 15.09.2011, con la quale ha chiesto confermarsi il provvedimento impugnato, mancando gli elementi di fatto necessari per poter considerare altamente probabile l’intervenuta interposizione fittizia dei propri assistiti.
Motivi della decisione

Si deve premettere che, pur essendo in esame oggi un provvedimento relativo a M.M., P.P. e D.M.C. B., sia nella ordinanza di riesame impugnata che nel ricorso per cassazione del pubblico ministero si discute prevalentemente della posizione di G.S., in quanto ai fini del sequestro è fondamentale l’accertamento della partecipazione di quest’ultimo ad un’associazione di stampo mafioso. Ai prevenuti, infatti, viene contestato di essere intestatari fittiziamente di quote societarie in realtà di proprietà del G..

Venendo all’esame del ricorso, occorre premettere che con sentenza n. 29.262-2011 del 1 giugno 2011, depositata il 21 luglio 2011, questa stessa sezione della corte – giudicando in via principale sul ricorso proposto dal pubblico ministero presso tribunale di Napoli contro l’ordinanza n. 752-2011 del tribunale della libertà di Napoli, con la quale veniva annullata la misura cautelare applicata a G. S. – ha annullato la predetta ordinanza in accoglimento dei motivi proposti dal pubblico ministero, che sono uguali a quelli oggi proposti nel presente procedimento, proprio per quanto esposto in premessa.

Vi sono, dunque, evidenti legami tra il procedimento sopra richiamato e quello oggi in trattazione; d’altronde, posto che il provvedimento impugnato ha annullato il decreto di sequestro preventivo sull’unica considerazione della mancanza di gravi indizi a carico di G. S. in ordine alla sua partecipazione all’associazione camorristica di stampo mafioso denominata "clan Mallardo", ove questa corte ritenesse tale valutazione viziata ne conseguirebbe il rinvio al tribunale di Napoli per nuovo esame.

Il tribunale del riesame ha ritenuto la insussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico di G.S. sia per la inutilizzabilità delle dichiarazioni dei propalanti – comunque generiche – sia per l’assenza di elementi di riscontro a tali dichiarazioni e di altri elementi indiziar), che andavano cercati nei flussi di denaro, nella gestione delle attività commerciali ed in specifiche cointeressenze in operazioni immobiliari.

Pare a questa corte che il giudizio del tribunale non sia solo censurabile nel merito, operazione che sarebbe di per sè preclusa alla cassazione in presenza di un adeguato apparato motivazionale, ma sia anche privo di una giustificazione logica e coerente delle ragioni della decisione; il tribunale del riesame liquida troppo frettolosamente come generiche le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, che invece sono univoche nell’indicare il S. come soggetto al servizio dell’associazione criminale, dedito alle attività imprenditoriali del gruppo al fine di riciclare il denaro di provenienza illecita e moltiplicare la ricchezza dell’associazione. Nessuna rilevanza, poi, viene data al dato oggettivo dell’enorme patrimonio accumulato dal G., del quale pure non è dubbia la origine di estrema povertà, senza che vi sia una giustificazione plausibile e lecita del suo subitaneo ed enorme arricchimento. Le dichiarazioni dei propalanti, poi, sembrano riscontrarsi a vicenda nell’indicazione di ruoli ben specifici che il G. avrebbe ricoperto all’interno dell’associazione, diventandone un fiduciario così importante da essere noto anche all’esterno del sodalizio criminale. Tutti questi aspetti sembrano ingiustificatamente svalutati dal tribunale, in una motivazione che appare dunque incoerente e slegata dagli elementi indiziari emergenti dalle indagini; nè si deve dimenticare che in questa sede non si valutano prove ai fini di un giudizio definitivo di colpevolezza, ma si devono unicamente valorizzare degli indizi al fine di emettere un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitatigli. Ebbene, come già ebbe ad osservare questa corte nella richiamata sentenza numero 29.262 del 2011, la dimensione anomala della ricchezza facente capo al G., alla luce degli indiscutibili rapporti con l’ambiente criminale camorristico, ha certamente la forza dimostrativa della probabile responsabilità dello stesso quale preposto allo sviluppo delle attività imprenditoriali necessarie per investimenti del sodalizio e per il reimpiego di provviste illecite, senza che emergano elementi in positivo a smentita di quanto sopra. La dimensione criminale di questa vastissima ricchezza dell’indagato non può essere ignorata ed è impossibile negarle, in unione con il reticolo di propalazione dei collaboratori, la qualità di base indiziaria, avente una solida e incontrovertibile forza dimostrativa della fondatezza dell’accusa formulata nei suoi confronti. Le asserite carenze delle chiamate in reità, quali denunciate dal tribunale del riesame, perdono rilievo nel contesto di un quadro indiziario così significativo ed univoco. In conclusione, si configura carenza e contraddittorietà della motivazione dell’ordinanza impugnata, la quale priva ingiustificatamente di rilievo gli accertamenti patrimoniali e dunque la spropositata ricchezza del G., in relazione al suo ruolo all’interno del sodalizio criminale.

E’ necessario, pertanto, che il tribunale del riesame illustri meglio i motivi per cui ritiene non sussistenti i gravi indizi di colpevolezza a carico del G., procedendo all’interpretazione degli elementi istruttori non in modo atomistico, bensì sistematicamente ed in una visione unitaria, che tenga conto della loro reciproca interrelazione.
P.Q.M.

Annulla il provvedimento impugnato con rinvio al tribunale di Napoli per nuovo esame.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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