Cass. civ. Sez. I, Sent., 04-07-2012, n. 11145 Ammissione al passivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con decreto del 3 dicembre 2010, il Tribunale di Teramo ha rigettato l’opposizione proposta dall’avv. N.A. avverso lo stato passivo del fallimento della Lambda Commerce S.a.s., dichiarando prescritto, ai sensi dell’art. 2956 cod. civ., il credito di Euro 860,45, oltre interessi, fatto valere dall’opponente a titolo di compenso per l’attività professionale prestata in una controversia di lavoro promossa dalla società fallita.

A fondamento della decisione, il Tribunale ha dichiarato inammissibile il giuramento decisorio deferito al curatore del fallimento, osservando che quest’ultimo, oltre a poter non essere a conoscenza di fatti anteriori alla dichiarazione di fallimento, era privo della capacità di disporre del diritto dedotto in giudizio. Ha quindi rilevato che il termine di prescrizione, interrotto con raccomandata del 3 gennaio 2003, era spirato il 3 gennaio 2006, ritenendo irrilevante, in proposito, la circostanza che l’incarico professionale fosse stato conferito con atto scritto, per tale dovendo intendersi, nella specie, la procura ad litem e non già un incarico professionale lato sensu.

2. – Avverso il predetto decreto il N. propone ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo. Il curatore del fallimento non ha svolto attività difensiva.
Motivi della decisione

1. – Con l’unico motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia l’errata applicazione dell’art. 2956 c.c., n. 2 e art. 2957 cod. civ.. nonchè il difetto di motivazione su un punto essenziale della controversia, censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha richiamato un precedente giurisprudenziale riguardante una situazione completamente diversa da quella che costituisce oggetto della controversia, nella quale la domanda di ammissione al passivo è stata proposta prima che fosse trascorso un triennio dalla dichiarazione di fallimento. Premesso inoltre che la prescrizione presuntiva non opera quando il credito fatto valere scaturisce da un contratto scritto, afferma l’idoneità della procura ad litem ad integrare l’atto scritto con cui fu conferito l’incarico professionale, trattandosi di un negozio unilaterale recettizio con cui si attribuisce al difensore un mandato, sia pure limitato all’oggetto del giudizio. Aggiunge che il conferimento dell’incarico trovava conferma nell’avvenuto pagamento di un acconto da parte della società fallita, cristallizzato in una fattura della quale il Tribunale ha omesso di tenere conto.

1.1. – Il motivo è infondato.

La motivazione del decreto impugnato è incentrata sull’inammissibilità del giuramento decisorio deferito dall’opponente al fine di contrastare l’operatività della prescrizione presuntiva eccepita dal curatore del fallimento ai sensi dell’art. 2956, n. 2 e ritenuta applicabile dal Tribunale.

Nell’ambito della stessa, la contestata citazione di un precedente giurisprudenziale di merito in tema di liquidazione coatta amministrativa, avente ad oggetto la prescrizione presuntiva di un credito per compensi professionali fatto valere ad oltre un triennio di distanza dall’apertura della procedura concorsuale, assume un rilievo del tutto marginale, investendo la ratio decidendi nella parte riguardante l’individuazione dei termine di prescrizione applicabile alla fattispecie, piuttosto che in quella relativa alla sua decorrenza. Tale decorrenza è stata infatti ricollegata dal Tribunale ad un evento anteriore alla dichiarazione di fallimento, intervenuta il 6 dicembre 2006, e precisamente ad una lettera raccomandata del 3 gennaio 2003, con cui il ricorrente provvide ad interrompere la prescrizione, chiedendo alla società fallita il saldo del compenso dovuto per l’espletamento dell’incarico professionale conferitogli.

Ciò posto, non merita consenso la tesi sostenuta dal ricorrente, secondo cui nella specie l’applicabilità dell’art. 2956 c.c., n. 2 era esclusa dall’avvenuto conferimento dell’incarico mediante il rilascio della procura ad litem. E’ pur vero, infatti, che, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, le prescrizioni presuntive, trovando fondamento e ragione esclusivamente in quei rapporti che s’instaurano senza formalità ed in relazione ai quali il pagamento suole avvenire senza dilazione nè rilascio dì quietanza scritta, non possono operare nell’ipotesi in cui il credito fatto valere tragga origine da un contratto stipulato in forma scritta, proprio perchè i rapporti risultanti da scritture non si possono ricomprendere fra quelli in cui è d’uso comune l’immediato pagamento (cfr. Cass., Sez. 2, 7 aprile 2006, n. 8200; 3 febbraio 1995, n. 1504; Cass., Sez. 1, 3 febbraio 1971, n. 244). Nell’ipotesi in cui il credito abbia ad oggetto il compenso dovuto ad un avvocato per prestazioni giudiziali, l’atto scritto richiesto ai fini dell’esclusione dell’operatività della prescrizione di cui all’art. 2956, n. 2 non può tuttavia essere individuato nella procura rilasciata ai fini della proposizione della domanda o della resistenza in giudizio, costituendo la stessa un negozio unilaterale volto ad investire il difensore della rappresentanza processuale, che, pur presupponendo il conferimento dell’incarico professionale, va tenuto nettamente distinto dal relativo contratto: quest’ultimo attiene infatti al rapporto interno tra il professionista ed il cliente e può essere stipulato anche da un soggetto diverso da colui che rilascia la procura ad litem, instaurandosi in tal caso un rapporto extraprocessuale, collaterale a quello endoprocessuale avente ad oggetto l’attribuzione della rappresentanza, e regolato dalle norme di diritto sostanziale che disciplinano il mandato (cfr.

Cass., Sez. 2, 27 dicembre 2004, n. 24010; 8 giugno 1996, n. 5336).

L’applicabilità della prescrizione presuntiva non avrebbe potuto essere esclusa neppure in virtù dell’asserito versamento di un acconto sul compenso dovuto, non essendo stato dedotto che lo stesso abbia avuto luogo in conformità ad un accordo intervenuto tra le parti ai fini della dilazione del pagamento; un adempimento parziale non appare infatti incompatibile, in linea di principio, con la volontà delle parti di non attribuire una veste formale al rapporto, indipendentemente dall’emissione della relativa fattura, la quale assume rilievo esclusivamente a fini fiscali.

2. – Il ricorso va pertanto rigettato, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo al mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimato.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 16 febbraio 2012.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *