Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 14-07-2011) 13-12-2011, n. 46189

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte di appello di Napoli, all’udienza dell’11 dicembre 2009, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Nola del 5 marzo 2007, ha condannato P.F., P.A., N.V., F.G., D.L.N. e PE.CA. ed altri, in relazione:

A) al reato di cui all’art. 416 c.p., perchè si associavano tra loro allo scopo di commettere una serie indeterminata di delitti concernenti il traffico illecito di rifiuti, nonchè disastro ambientale dei luoghi ove sono avvenuti gli sversamenti, il P.F. quale organizzatore, costitutore dell’associazione organizzava il trasporto e lo smaltimento di rifiuti prodotti dalla Italmetalli sud di S. Vitaliano (del P.C.), reperendo i terreni ove tombare i rifiuti ricevuti, retribuendo i proprietari ed effettuando gli scavi per l’interramento, reperendo e gestendo i mezzi con i quali effettuare il trasporto e smaltimento;

B) al reato di cui all’art. 110 c.p. e D.Lgs. n. 97 del 1997, art. 53 bis, perchè, al fine di conseguire un ingiusto profitto consistente nel non dover sopportare i costi dovuti ordinariamente per lo smaltimento di rifiuti presso i siti autorizzati, attraverso l’allestimento di mezzi ed attività continuative, attraverso l’organizzazione di un servizio di trasporto illecito continuo con mezzi non autorizzati ed attraverso l’interramento di rifiuti di origine industriale prodotti dall’azienda Italmetalli sud di S Vitaliano, ovvero attraverso l’abbandono di rifiuti sul territorio senza alcuna precauzione atta ad evitare l’inquinamento, organizzavano, cedevano, ricevevano, trasportavano e, comunque, gestivano abusivamente, ingenti quantitativi di rifiuti; Fatti accertati in (OMISSIS).

P.F., P.A., N.V., F.G., D.L.N., S.G., Si.

R. ed altri, in relazione:

D) al reato di cui all’art. 416 c.p., perchè si associavano tra loro allo scopo di commettere una serie indeterminata di delitti concernenti il traffico illecito di rifiuti, nonchè disastro ambientale dei luoghi ove sono avvenuti gli sversamenti, il P.F. quale organizzatore, costitutore dell’associazione organizzava il trasporto e lo smaltimento di rifiuti prodotti dalla Redermet di Casoria (dello S.G.) e dalla Fercom di Napoli (gestita di fatto dallo S.), reperendo i terreni ove tombare i rifiuti ricevuti, retribuendo i proprietari ed effettuando gli scavi per l’interramento, reperendo e gestendo i mezzi con i quali effettuare il trasporto e smaltimento;

E) al reato di cui all’art. 110 c.p. e D.Lgs n. 97 del 1997, art. 53 bis perchè, al fine di conseguire un ingiusto profitto consistente nel non dover sopportare i costi dovuti ordinariamente per lo smaltimento di rifiuti presso i siti autorizzati, attraverso l’allestimento di mezzi ed attività continuative, attraverso l’organizzazione di un servizio di trasporto illecito continuo con mezzi non autorizzati ed attraverso l’interramento di rifiuti di origine industriale prodotti dall’azienda Redermet di Casoria e dalla Fercom di Napoli, ovvero attraverso l’abbandono di rifiuti sul territorio senza alcuna precauzione atta ad evitare l’inquinamento, organizzavano, cedevano, ricevevano, trasportavano e, comunque, gestivano abusivamente, ingenti quantitativi di rifiuti; Fatti accertati in (OMISSIS) e con condotta tuttora perdurante.

N.G., per i reati di cui ai capi N) e O) perchè in concorso con PE.CA. e altri violava i sigilli (art. 349, e art. 2 c.p.) posti dall’autorità giudiziaria al locali dell’azienda Italmetalli Sud di (OMISSIS).

N.G. e D.V.F., per i reati di cui ai capi P), Q), R) perchè in concorso con PE.CA. ed altri violava i sigilli (art. 349, e art. 2 c.p.) posti dall’autorità giudiziaria ai locali dell’azienda Italmetalli Sud di S. Vitaliano, il 14, 15 e 19 marzo 2003.

N.G. per i reati di cui ai capi S) e T) perchè in concorso con PE.CA. violava i sigilli (art. 349, e art. 2 c.p.) posti dall’autorità giudiziaria ai locali dell’azienda Italmetalli Sud di S. Vitaliano, il 21 e 24 marzo 2003.

P.F., P.A., N.V., F.G., D.L.N., PE.CA., S. G., Si.RA., in relazione:

Y) al reato di cui all’art. 110 c.p. e 434 c.p., perchè in concorso tra loro, commettevano una serie di azioni dirette a cagionare un disastro ambientale procedendo allo sversamento continuo e ripetuto di rifiuti di origine industriale proveniente dalla lavorazione dell’alluminio in diverse aree non autorizzate; fatti accertati in (OMISSIS)) fino al 21 marzo 2003, con condotta tuttora perdurante.

1.2 La Corte di appello ha esaminato sia gli articolati motivi di appello proposti da molti dei quattordici imputati del procedimento, sia l’impugnazione del pm, giungendo ad una parziale riforma della sentenza di primo grado, in particolare accogliendo, seppure in parte, l’appello dell’accusa, ha ritenuto gli imputati colpevoli del delitto di attività organizzata finalizzata al traffico illecito di rifiuti e disastro ambientale, rideterminando la pena e confermando la condanna al risarcimento del danno in favore delle parti civili, il procedimento era nato da un’indagine su un vasto traffico illegale di rifiuti nel territorio di Nola, in particolare rifiuti prodotti dalla ItaImetalli di S. Vitaliano, facente capo al Pe.Ca. e la Redermet di Casoria e la Fercom di Napoli, facenti capo a S.G., ed aveva visto imputati anche altri soggetti, tra i quali coloro che gestivano materialmente le fasi di carico, trasporto e successivo smaltimento dei rifiuti ( P.F., la convivente N. ed il figlio P.A.), gli intermediar tra la Italmetalli e gli autotrasportatori ( F. e D.L.), alcuni dipendenti delle società sopraindicate ed anche taluni proprietari dei terreni dove venivano illecitamente seppelliti i rifiuti, peraltro giudicati separatamente. I giudici di appello hanno ritenuto condivisibile la ricostruzione dei fatti già operata dal giudice di prime cure, sulla base degli atti processuali, tra i quali le testimonianze, le stesse dichiarazioni processuali degli imputati, i contenuti delle intercettazioni telefoniche effettuate dopo l’arresto di P.A., ed hanno pertanto confermato la sussistenza della fattispecie associativa, con il ruolo di organizzatore e promotore del P.F. (risultando già esclusa all’esito del giudizio di primo grado la qualità di promotore in capo al F., Pe. e S.), nonchè hanno ritenuto, andando di diverso avviso al giudice di prime cure, che il traffico illecito di rifiuti integrasse la fattispecie di cui al D.Lgs n. 22 del 1997, art. 53 bis, in relazione all’ingente quantitativo di rifiuti trattati, e che fosse ravvisabile il reato di cui all’art. 434 c.p. Nell’ambito della ricostruzione operata sono state confermate anche le condanne per le singole violazioni di sigilli come contestate, mentre i giudici hanno ritenuto non configurabili le originarie imputazioni di truffa aggravata.

2. Gli imputati P.F., F.G., D.L. N. e N.V. hanno proposto ricorso per cassazione chiedendo l’annullamento della sentenza per i seguenti motivi: 1) Inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale ex art. 606 c.p.p., lett. b) in merito alla configurabilità del delitto di cui all’art. 434 c.p. e correlato difetto di motivazione, in quanto il reato di disastro di cui al capo Y) avrebbe richiesto il verificarsi di un pericolo per la pubblica incolumità, che erroneamente sarebbe stato individuato nel pericolo per la salute pubblica; inoltre la Corte di appello avrebbe errato nel ritenere provata la sussistenza di tale pericolo in via astratta, sulla base del fatto che la condotta avrebbe potuto determinare la compromissione del bene ambiente. Occorreva infatti dimostrare con certezza la reale compromissione del bene ed il concreto pericolo per la pubblica incolumità. Anche sotto il profilo dell’elemento soggettivo, i giudici di appello avrebbe affermato che gli imputati avevano previsto e voluto gli effetti nefasti, mentre la fattispecie in esame esclude la possibilità di configurare un dolo eventuale, essendo necessario che il soggetto agente agisca al fine di realizzare l’evento, ossia compiere un atto diretto a cagionare il disastro, quando nel caso di specie è risultato che gli imputati avevano posto in essere le condotte di sversamento dei rifiuti al fine di lucrare vantaggi economici;

2) Violazione della legge penale ed extrapenale in riferimento al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 53 bis, con difetto di motivazione, e contraddittoria e/o manifesta illogicità della motivazione in merito alla sussistenza del requisito dell’ingente quantità di rifiuti, perchè è principio consolidato che la fattispecie criminosa di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti richiede che l’attività sia abusiva, ossia effettuata senza autorizzazioni e comunicazioni previste dalla normativa e che abbia ad oggetto un quantitativo ingente di rifiuti che deve essere valutato caso per caso, tenendo conto del rapporto tra il quantitativo di rifiuti illecitamente gestito e l’intero quantitativo di rifiuti trattati.

Invece la Corte di appello non avrebbe spiegato tali elementi, mentre i fatti commessi rientravano più correttamente nelle ipotesi di cui all’art. 51 del citatao D.Lgs. 2.1 L’imputato P.A. ha proposto ricorso eccependo:

1) Inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità ex art. 606 c.p.p., lett. e), in relazione agli artt. 161, 548, 178 e 179 c.p.p., rilevando la nullità dell’avviso di deposito e dell’estratto della sentenza all’imputato contumace eseguito presso il difensore di fiducia, mentre tale notifica è ammessa solo quando risulta verificata una causa che rende impossibile la notificazione presso il domicilio dichiarato;

2) Manifesta illogicità della motivazione ed erronea applicazione della legge penale ex art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), in relazione al requisito della "ingente quantità di rifiuti" necessario a configurare il reato di cui al D.Lgs n. 22 del 1997, art. 53 bis, in quanto la giurisprudenza aveva affermato che tale requisito non può essere desunto solo dalla organizzazione e continuità dell’attività di gestione di rifiuti: pertanto i fatti contestati rientrerebbero nelle violazioni amministrative di cui al D.Lgs, n. 22 del 1997, art. 51. 2.2. L’imputato PE.CA., ha presentato ricorso per cassazione per i seguenti motivi:

1) Violazione dell’art. 581 c.p.p., comma 1, lett. e) in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), con riferimento all’atto di appello del P.M., da ritenersi inammissibile per indeterminatezza dei motivi e perchè fondato su elementi di fatto inutilizzabili, meramente reiterativi delle richieste di misure cautelari avanzate nel corso delle indagini preliminari;

2) Inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 416 c.p., comma 2, in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. a) ed e) e difetto di motivazione. Dalle acquisizioni probatorie era emerso che il P. si era servito del P. per effettuare lo smaltimento dei rifiuti prodotti dalla sua azienda, ma non che fosse membro di una consorteria facente capo al P. stesso. I giudici di appello avrebbero trascurato di esaminare la sussistenza della condotta di partecipazione associativa in capo a chi si rivolga ad un’associazione per ottenere prestazioni rientranti nel programma criminoso di essa, accertamento che era stato oggetto di uno specifico motivo di appello;

3) Inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 53 bis 22/97 in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), e mancanza e manifesta illogicità della motivazione, in quanto i giudici di primo grado non avevano ritenuto provato il requisito dell’ingente quantitativo sulla base della durata dell’attività illecita (dal 7/2/2003 al 4/4/2003), delle modalità con le quali venivano effettuati i trasporti illeciti, del complessivo numero di automezzi e del carico che poteva essere trasportato in ognuno di essi.

L’opinione contraria espressa nella sentenza della Corte di appello è stata fondata invece, senza alcun fondamento di oggettività, sul fatto che le intercettazioni in atti renderebbero evidente che i quantitativi superati sarebbero di molto superiori a quelli sversati in Nocelleto e Lagno Gorgone;

4) Inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 434 c.p., comma 1, in relazione all’art. 606 c.p.p., lett. e) e mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, perchè mentre i giudici del Tribunale di Nola avevano ritenuto carente la prova del citato reato sia sotto il profilo oggettivo, che sotto quello soggettivo (mancando la prova che "sia stato cagionato un pericolo per l’incolumità di un numero indeterminato di persone").

La Corte di appello ha rimproverato tale decisione ritenendo che il Tribunale abbia erroneamente ricostruito l’evento di pericolo, attraverso un giudizio "ex post" anzichè "ex ante". Invero i giudici di secondo grado non avrebbero saputo analizzare gli elementi costitutivi della fattispecie che richiede sia la commissione di fatti diretti a cagionare un disastro che la probabilità che da essi possa derivare una lesione della pubblica incolumità (modalità quantitativa e qualitativa dell’offesa tipica), dimenticandosi di analizzare l’autonomia dell’elemento quantitativo rispetto al pericolo per la pubblica incolumità e di verificare se quella attività fosse stata realizzata con modalità ed in un contesto idonei a determinare la probabilità di un (macro) evento di danno materiale ambientale grave, complesso ed esteso, avente l’attitudine a mettere in pericolo la vita e l’integrità fisica di una collettività indeterminata di soggetti. Non sarebbe stato neppure fatto riferimento agli elementi probatori che evidenzierebbero che le sostanze ritrovate nel sito di (OMISSIS) erano quelle provenienti dallo stabilimento della Italmetalli, gestito dal P., nè i giudici hanno argomentato sulla attitudine degli sversamenti a ledere l’integrità fisica di un numero indefinito di persone;

5) Inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 434 e 43 c.p. in relazione all’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) e manifesta illogicità della motivazione, in riferimento al punto della sentenza che ha affermato la responsabilità per la fattispecie dolosa di cui all’art. 434 c.p. in termini apodittici: i giudici avrebbero erroneamente affermato che è sufficiente la consapevolezza e la illiceità degli illeciti sversamenti per integrare il dolo diretto od intenzionale, escludendo la sussistenza del dolo eventuale senza tenere in considerazione l’esistenza di differenti componenti strutturali nel dolo diretto ed in quello intenzionale.

2.3. Anche l’imputato D.V.F. ha proposto ricorso per cassazione lamentando l’insufficiente e mancata motivazione relativamente ai capi P), Q) e R), in quanto si è ricavata la responsabilità per il reato di violazione di sigilli sulla base dell’affermazione della presenza occasionale nello stabilimento e travisando le dichiarazioni del Pe., che aveva riferito il ruolo di "palo" solo in capo al N..

2.4. Con il ricorso per cassazione N.G., ha lamentato la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e lett. e), in relazione all’art. 349 c.p., in quanto risultava evidente che l’azione posta in essere era priva di dolo, elemento indispensabile per la configurabilità del reato di violazione di sigilli, in quanto lo stesso aveva compreso che non poteva essere proseguita alcuna attività nell’azienda, ma non che non si potesse entrare nello stabilimento, per cui egli era incorso in errore; inoltre ciò che lo stesso aveva ammesso non poteva assurgere ad elemento probatorio nei suoi confronti.

2.5. Gli imputati S.G. e Si.RA. hanno presentato ricorso per i seguenti motivi:

1) Violazione dell’art. 606, lett. b), c) ed e), in relazione all’art. 597 c.p.p., in quanto la Corte di appello ha condannato gli stessi anche per il capo B), per il quale non c’era appello del PM;

2) Violazione dell’art. 606, lett. b), c) ed e), in relazione all’art. 581 c.p.p., lett. c) per inammissibilità dell’impugnazione d’appello del PM, essendo motivata per relationem agli altri imputati e generica;

3) Violazione dell’art. 606, lett. b), c) ed e), in relazione all’art. 191 c.p.p. perchè il Tribunale ha utilizzato le testimonianze di C. e di R., confermative delle precedenti testimonianze, senza che il PM procedesse al loro esame, e di conseguenza senza che fosse possibile il "controesame";

4) Violazione dell’art. 606, lett. b), c) ed e), in relazione all’art. 133 c.p. e art. 62 bis c.p., in quanto ha fatto riferimento ai precedenti penali ostativi per negare le attenuanti generiche, mentre lo S. risulta incensurato: quindi la Corte di appello avrebbe dovuto esaminare altre circostanze che avrebbero potuto avere rilievo ai fini della concessione delle circostanze.

3. Il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, rappresentato dall’Avvocatura dello Stato, ha depositato in data 22 giugno 2011 una memoria con la quale chiede che i ricorsi vengano dichiarati infondati.
Motivi della decisione

1. Attesa la complessità della vicenda ed il numero dei motivi di ricorso presentati, gli stessi vengono accorpati per tematiche, iniziando dalle impugnazioni che hanno lamentato vizi di natura processuale.

Per quello che attiene all’adombrato vizio della notifica della sentenza di appello nei confronti del contumace P.A. (secondo motivo del ricorso presentato dal difensore dello stesso), la censura è infondata; infatti, posto che l’estratto contumaciale della sentenza di appello risulta notificato all’imputato presso il difensore, ai sensi dell’art. 161 c.p.p., comma 4, deve essere rilevato che il difensore ha poi depositato nei termini i motivi di ricorso per cassazione, per cui in concreto, non essendo in discussione la richiesta di restituzione nei termini per l’impugnazione, nessuna lesione del diritto di difesa è riscontrabile. Se infatti l’omessa notifica all’imputato dell’avviso di deposito della sentenza comporta, ex art. 548, e art. 3 c.p.p., l’inefficacia per l’imputato stesso della decorrenza del termine ad impugnare (diritto che può essere esercitato dall’imputato personalmente), risulta altresì evidente che quando il difensore di fiducia dell’imputato abbia proposto ritualmente gravame e l’imputato, sia pure tardivamente, non abbia formulato motivi di ricorso, deve ritenersi che lo stesso abbia avuto conoscenza, tramite il proprio difensore, che ha formulato i motivi di ricorso per l’imputato, dell’avvenuto deposito della sentenza, e che quindi sia stato posto nella condizione di esercitare tutte le facoltà concessegli dalla legge, compresa quella di reagire, con l’impugnazione, anche apparentemente tardiva, contro le decisioni assunte nei suoi confronti. Nel caso di specie risulta pertanto evidente, dal comportamento della parte interessata, e dal ricorso per cassazione come presentato, che si è verificata la sanatoria generale di cui all’art. 183 c.p.p..

E’ stato infatti precisato che "la mancata notifica all’imputato dell’avviso di deposito di sentenza (o di qualunque altro provvedimento impugnabile) configura una nullità di ordine generale "a regime intermedio" e non assoluta, che resta sanata, per il raggiungimento dello scopo, a norma dell’art. 183 c.p.p., quando i motivi di impugnazione siano stati tempestivamente presentati dal difensore e riguardino il provvedimento effettivamente impugnato ed il suo contenuto motivazionale" cfr. Sez. 1, n. 10410 del 24/2/2010, Italiano e altri, Rv. 246504).

2. Altro motivo comune ad alcuni dei ricorrenti ( PE.CA. e S.G. e Si.RA.) è quello relativo alla presunta inammissibilità dell’atto di appello presentato dal pubblico ministero – atto di appello che è stato parzialmente accolto dai giudici di secondo grado – per genericità e motivazione per relationem. Il motivo di ricorso non è fondato: i giudici di appello hanno fornito specifica risposta su tale eccezione già sollevata dalle difese in appello ed hanno sottoposto a vaglio critico l’atto di impugnazione della pubblica accusa (si vedano pag.

24 e 25 della decisione) precisando che esso conteneva l’esame volto a sostenere la sussistenza dei reati per i quali la sentenza di primo grado aveva concluso con una pronuncia assolutoria, mediante argomentazioni riferite in via specifica agli imputati (ad eccezione di tre di essi, in riferimento ai quali i giudici di secondo grado hanno affermato l’inammissibilità dell’appello). Sotto tale profilo la sentenza impugnata non risulta pertanto censurabile sotto il profilo del richiamo per relationem alle memorie presentate dalla pubblica accusa nel corso del precedente grado di giudizio. La Corte di appello con motivazione esaustiva ha rigettato l’eccezione considerando che l’atto impugnatorio del Pm contenesse, comunque, una parte nella quale venivano sottoposte ad autonoma critica le statuizioni assolutorie della sentenza di primo grado.

3. Per quanto attiene agli esami testimoniali assunti in grado di appello, il ricorso presentato da S. E Si. ha lamentato l’utilizzazione da parte dei giudici di appello delle testimonianze dei testi C. e R.. Anche questa doglianza non risulta meritevole di accoglimento. Come sintetizzato nella parte relativa allo svolgimento del processo nella sentenza impugnata, la Corte di appello, dopo aver celebrato quattro udienze, ha disposto con ordinanza la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale ed alla successiva udienza del 23 settembre 2009, ha iniziato ex novo la trattazione del processo per diversa composizione del collegio procedente, ribadendo anche tale ordinanza; il Pm e molti dei difensori hanno prestato consenso all’utilizzo delle dichiarazioni rese da imputati e la maggior parte dei testi, mentre essendovi stata opposizione all’utilizzo delle dichiarazioni già rese dai due verbalizzanti ( C. e R.) gli stessi sono stati esaminati alla successiva udienza del 5 novembre 2009. I giudici di appello hanno altresì dato atto sia delle eccezioni avanzate dalla difesa dello S. che della correttezza dello svolgimento della rinnovazione dell’esame, svoltosi mediante conferma da parte dei testi delle dichiarazioni precedentemente rese nel corso del dibattimento di primo grado e nella possibilità offerta alle parti di svolgere il controesame degli stessi (effettuato nei confronti del teste R. da un solo difensore), correttezza connessa al fatto che le dichiarazioni precedentemente rese, in quanto legittimamente rese e perciò contenute nel fascicolo del dibattimento, possono essere utilizzate per essere richiamate dai testi stessi, senza che alcun vulnus al principio di oralità potesse essere ravvisato, in quanto era stata concessa alle parti la facoltà di svolgere il controesame ex novo. L’assunto risulta corretto: la giurisprudenza ha affermato che ove in sede di rinnovazione il teste esaminato confermi le precedenti dichiarazioni e le parti non ritengano di chiedergli chiarimenti o di formulare nuove domande e contestazioni, è legittimo utilizzare per relationem il contenuto materiale delle precedenti dichiarazioni, in quanto legittimamente acquisite al processo (in tal senso, Sez. 1, n. 41095 del 21/9/2004, Scavo, Rv.

230624; esclude ogni violazione del principio di oralità Sez. 5, n. 21710 del 26/3/2009, Di Gregorio e altri, Rv. 243894).

4. I ricorrenti S. E Si. hanno poi censurato, nel loro motivo di ricorso n. 1), il fatto che i giudici di appello li avessero condannati anche del reato di cui al capo B) senza che tale capo della sentenza fosse stato impugnato dal pubblico ministero. Il motivo di ricorso non è fondato: come si evince dalla parte motiva della sentenza impugnata specificamente dedicata alle posizioni di S.G. e Si.Ra. (pagg 49 e 50), gli stessi non sono mai stati imputati del reato di cui al capo B), ma di quello di cui al capo D), e la condanna degli stessi è stata pronunciata in riferimento "ai soli reati sub D) E) ed Y)"; per cui l’indicazione del capo B) nel dispositivo della decisione di appello (capo 2 del dispositivo stesso) è frutto di un evidente errore materiale e non comporta quindi la nullità della decisione.

5. Passando ai temi di merito, che concernono la sussistenza delle ipotesi delittuose ascritte, deve innanzitutto essere premesso che, per quanto attiene al sindacato della motivazione della sentenza impugnata, il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione degli elementi probatori a quella compiuta dai giudici di merito, ma quella di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre.

5.1. Si reputa opportuno innanzitutto esaminare le due fattispecie di cui al D.Lgs, n. 22 del 1997, art. 53 bis e dell’art. 434 c.p., la cui sussistenza è stata riconosciuta in grado di appello.

Il delitto previsto dalla norma di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 53 bis (introdotto dalla L. 23 marzo 2001, n. 93) prevede la sanzione penale per chi, al fine di conseguire un ingiusto profitto, allestisce una organizzazione con cui gestire continuativamente, in modo illegale, ingenti quantitativi di rifiuti. Tale gestione dei rifiuti deve concretizzarsi in una pluralità di operazioni con allestimento di mezzi ed attività continuative organizzate, ovvero attività di intermediazione e commercio (cfr. Sez. 3, n. 40827 del 6/10/2005, Carretta, Rv. 232348) e tale attività deve essere "abusiva", ossia effettuata o senza le autorizzazioni necessarie (ovvero autorizzazioni illegittime o scadute) o violando le prescrizioni e/o i limiti delle autorizzazione stesse (ad esempio la condotta avente per oggetto una tipologia di rifiuti non rientranti nel titolo abilitativo, anche tutte quelle attività che, per le modalità concrete con cui sono esplicate, risultano totalmente difformi da quanto autorizzato, si da non essere più giuridicamente riconducibili al titolo abilitativo rilasciato dalla competente Autorità amministrativa) (si veda Sez. 3, n. 40828 del 6/10/2005, P.M. in proc. Fradella, Rv. 232350).

Quindi il delitto in esame sanziona comportamenti non occasionali di soggetti che, al fine di conseguire un ingiusto profitto, fanno della illecita gestione dei rifiuti la loro redditizia, anche se non esclusiva attività. Quindi per perfezionare il reato è necessaria una, seppure rudimentale, organizzazione professionale (mezzi e capitali) che sia in grado di gestire ingenti quantitativi di rifiuti in modo continuativo, ossia con pluralità di operazioni condotte in continuità temporale, operazioni che vanno valutate in modo globale:

alia pluralità delle azioni, che è elemento costitutivo del fatto, corrisponde una unica violazione di legge, e perciò il reato è abituale dal momento che per il suo perfezionamento è necessaria le realizzazione di più comportamenti della stessa specie (cfr. Sez. 3, n. 46705 del 3/11/2009, Caserta, Rv. 245605, confermato anche da Sez. 3, n. 29619 dell’8/7/2010, Leoratì e altri, Rv. 248145, in riferimento alla vigente fattispecie, omologa a quella dell’art. 53 bis dell’ormai abrogato D.Lgs. n. 22 del 1997, di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 260).

Per quanto attiene al requisito dell’ingente quantitativo di rifiuti, da sempre la dottrina prevalente ha ritenuto che fosse il giudice a doverlo valutare in base a criteri oggettivi, fondati sul mero dato quantitativo; altri invece lo hanno posto in riferimento all’ipotizzabile danno ambientale conseguente alla potenziale dispersione dei rifiuti nel sistema ed ai costi del ripristino ambientale. La giurisprudenza ha, sin dall’inizio, sottolineato il fatto che tale elemento non può essere desunto dalla semplice organizzazione e continuità dell’attività di gestione, dovendo sempre essere rapportato al quantitativo di rifiuti illecitamente gestiti. In particolare è stato precisato che la nozione di ingente quantitativo deve essere riferita al quantitativo di materiale complessivamente gestito attraverso una pluralità di operazioni che, se considerate singolarmente, potrebbero essere di entità modesta e che tale requisito non può essere desunto automaticamente dalla stessa organizzazione e continuità dell’abusiva gestione di rifiuti (Cfr. Sez. 3, n. 12433 del 15/11/2005, P.M. in proc. Costa, Rv.

234009); occorre insomma tenere conto della finalità della norma e dell’interesse dalla stessa tutelato (in tal senso, Sez. 3, n. 358 del 20/11/2007, Putrone e altro, Rv. 238558 e già Sez, 3, n. 40827 del 6/10/2005, Carretta, Rv. 232348). Per quanto attiene all’elemento psicologico, la giurisprudenza ha chiarito che ®ai fini della sussistenza del dolo specifico richiesto per l’integrazione del delitto di gestione abusiva di ingenti quantitativi di rifiuti, il profitto perseguito dall’autore della condotta può consistere anche nella semplice riduzione dei costi aziendali (in tal senso. Sez. 4, n. 28158 del 2/7/2007, P.M. in proc. Costa, Rv. 236907), in quanto l’ingiusto profitto non deve necessariamente assumere natura di ricavo patrimoniale, potendo consistere o nel risparmio di costi od anche nel perseguimento di vantaggi di altra natura" (Così Sez. 3, n. 40827 del 6/10/2005, Carretta, Rv. 232349 e sez. 3, n. 40828 del 6/10/2005, P.M. in proc. Fradella, Rv. 232351). E’ stato anche approfondito l’atteggiarsi dell’elemento soggettivo di questa fattispecie da parte del partecipe di un’associazione delinquenziale diretta all’illecito smaltimento di rifiuti, con ripartizione interna dei compiti, per evidenziare, ad esempio, che anche il dipendente di una ditta, pur non risultando avere diretto interesse ai profitti in quanto tale, concorre al conseguimento degli stessi, che rappresentano l’obiettivo delle condotte illecite dell’attività di illecito smaltimento di rifiuti (in tal senso, si veda la parte motiva di Sez. 2, n. 19839 del C26/4/2006, Di Giovanni, non massimata).

5.2. La sentenza impugnata nel riconoscere la responsabilità degli specifici imputati per il reato di cui trattasi (contestato ai capi B) e D) ha pienamente rispettato il dovere motivazionale imposto in caso di cd. overruling. La giurisprudenza di legittimità ha, infatti, affermato il principio che "in tema di motivazione della sentenza di condanna pronunciata in appello in riforma di sentenza assolutoria di primo grado, il giudice ha l’obbligo di confutare in modo specifico e completo le argomentazioni della decisione di assoluzione", come anche "di valutare le ulteriori argomentazioni non sviluppate in tale decisione ma comunque dedotte dall’imputato dopo la stessa e prima della sentenza di secondo grado, pronunciandosi altresì sui motivi di impugnazione relativi a violazioni di legge Intervenute nel giudizio di primo grado in danno dell’imputato e da questi non dedotte per carenza di interesse, nonchè sulle richieste subordinate avanzate dall’imputato stesso in sede di discussione nel giudizio di primo grado". (Cfr. Sez. 6, n. 22120 del 29/4/2009, Tatone e altri Rv. 243946).

La sentenza qui impugnata ha puntualmente confutato le ragioni poste a sostegno della decisione assolutoria di primo grado, dimostrandone Tinsostenibilità sul piano logico e giuridico", dando compiuta ragione delle scelte operate e "della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati" (Cfr., per tutte, Sez. 5, n. 42033 del 17/10/2008, Pappalardo, Rv.

242330). La sentenza impugnata ha sostituito la valutazione espressa dal giudice di prime cure in ordine alla configurabilità della fattispecie di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 53 bis, con la propria, attraverso una ricostruzione di perfetta tenuta logica ed in linea con gli orientamenti giurisprudenziali appena menzionati.

Il Tribunale infatti aveva ritenuto sussistente l’attività di gestione organizzata di rifiuti abusivi, motivando in dettaglio gli elementi costitutivi della stessa, ma non aveva ritenuto che la quantità degli stessi fosse ingente, perchè aveva assunto a quantitativi valutabili solo quelli constatati direttamente, nella loro materialità, nel corso delle indagini, ossia quelli relativi agli sversamenti effettuati nelle due sole discariche di Nocelleto in Francolise e di Lagno Gorgone.

Di contro, la Corte di appello ha rivisitato tutti i fatti come accertati ritenendo che dovessero computarsi nel quantitativo globale di rifiuti anche quelli oggetto dei numerosissimi trasporti e sversamenti emersi dalle conversazioni intercettate, seppure in quei casi i pedinamenti non fossero sfociati nella diretta osservazione dello sversamento e nell’individuazione della discarica autorizzata.

La valorizzazione del contenuto delle intercettazioni ritualmente acquisite e la deposizione del M.llo C. ha condotto la Corte di appello ad una valutazione dell’attività di smaltimento illecito nel suo complesso, alla luce di principi giurisprudenziali già ricordati, che si è conclusa con l’affermazione che i quantitativi di rifiuti trattati erano stati "di molto superiori" a quelli sversati nelle due discariche anzidette, come del resto riconosciuto dallo stesso giudice di prime cure, il quale aveva riferito che nel periodo monitorato furono osservati uscire dalla Italmetalli circa 20 camion (ognuno dei quali trasportava 200-250 quintali di materiale) e dalla Redermet e Fercom circa 25 camion, trasportanti analoghi quantitativi (si vedano le pagg. 32 e 33 della sentenza).

Dunque, la sentenza impugnata ha correttamente rapportato il vaglio estimativo dei dati "parlati" (ossia dedotti dall’ampio compendio delle conversazioni intercettate) a dati oggettivi, quali i carichi di rifiuti che furono concretamente osservati dagli ufficiali di polizia giudiziaria operanti, mentre venivano sversati ed interrati nelle zone di Nocelleto e Lagno Gorgone, nonchè il numero dei camion carichi di rifiuti che furono visti uscire dalle società coinvolte nel traffico illecito. Gli argomenti utilizzati nella sentenza impugnata risultano plausibili e ragionevoli e già del resto utilizzati ampiamente in giurisprudenza (cfr. per analogo rilievo della "res parlata", in materia di stupefacenti, la parte motiva di Sez.5, n.43377 del 28 ottobre 2010, Biba e altri, non massimata) 5.3 Per quanto attiene al delitto di disastro di cui all’art. 434 c.p. (capo Y), la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che nell’ipotesi dolosa di cui al primo comma, la soglia per integrare il reato è anticipata – diversamente dall’ipotesi colposa per la quale è necessario che l’evento si verifichi – al momento in cui sorge il pericolo per la pubblica incolumità, mentre qualora il disastro si verifichi risulterà integrata la fattispecie aggravata prevista dal secondo comma dello stesso art. 434 c.p. (Cfr. Sez. 4, n. 4675 del 17/5/2006, P.G. in proc. Bartalini e altri, Rv. 235668). Requisito del reato di disastro di cui all’art. 434 c.p. è "la potenza espansiva del nocumento unitamente all’attitudine ad esporre a pericolo, collettivamente, un numero indeterminato di persone, sicchè, ai fini della configurabilità del medesimo, è necessario un evento straordinariamente grave e complesso ma non eccezionalmente immane" (cfr. Sez. 3, n. 9418 del 16/1/2008, Agizza, Rv. 239160). E’ stato precisato (Sez. 5, n. 40330 dell’11/10/2006, Pellini, Rv.236295) che "è necessario e sufficiente che il nocumento abbia un carattere di prorompente diffusione che esponga a pericolo, collettivamente, un numero indeterminato di persone che l’eccezionalità della dimensione dell’evento desti un esteso senso di allarme, sicchè non è richiesto che il fatto abbia direttamente prodotto collettivamente la morte o lesioni alle persone, potendo pure colpire cose, purchè dalla rovina di queste effettivamente insorga un pericolo grave per la salute collettiva; in tal senso si identificano danno ambientale e disastro qualora l’attività di contaminazione di siti destinati ad insediamenti abitativi o agricoli con sostanze pericolose per la salute umana assuma connotazioni di durata, ampiezza e intensità tale da risultare in concreto straordinariamente grave e complessa, mentre non è necessaria la prova di immediati effetti lesivi sull’uomo". Quindi il delitto di disastro innominato di cui all’art. 434 c.p., comma 1, quindi, è reato di pericolo a consumazione anticipata che si perfeziona con la condotta di "immutatio loci", purchè questa si riveli idonea in concreto a mettere in pericolo l’ambiente; esso si realizza quando il pericolo concerne un danno ambientale di eccezionale gravità, seppure con effetti non necessariamente irreversibili qualora venga a verificarsi, in quanto il danno provocato potrebbe pur sempre essere riparabile con opere di bonifica.

5.4. Nel caso concreto, i giudici di appello, con ampia ed esaustiva motivazione (pagg. 33-37), hanno innanzitutto affermato quale necessaria premessa metodologica la verifica della sussistenza del pericolo per la salute pubblica, da accertare con un giudizio ex ante, dovendosi ritenere raggiunta la prova del pericolo a fronte della "elevata probabilità" della compromissione del bene ambiente, senza necessità di ricercare la prova dei verificarsi di tale compromissione. Hanno poi ripercorso le risultanze degli accertamenti svolti nel territorio di Acerra, Nola, compresi i dati delle analisi dell’ARPAC (che avevano ritenuto trattarsi di "rifiuti pericolosi costituiti da scorie di fonderia unite a polveri di abbattimento fumi misti al cd. "fluff", corrispondente alla parte leggera delle autovetture, cioè le spugne, i filtri, i tubi di frizione, tutto materiale non riciclabile", così come menzionato nella sentenza di primo grado a pag. 25) e quelli della disposta consulenza tecnica, la quale ha stabilito che le sostanze illecitamente smaltite erano rifiuti pericolosi provenienti dalla metallurgia termina dell’alluminio, con rischio R45 cancerogeno, sostanze che erano state sversate in territori particolarmente vulnerabili per le loro caratteristiche morfo-lito-idrogeologiche. In tale situazione i giudici di merito hanno ritenuto che l’imponente contaminazione di siti realizzata dagli indagati mediante le condotte ripetute di scarico di una quantità ingente di rifiuti ed il loro occultamento mediante sotterramento, qualifichi tali condotte, nel senso che le stesse sono state idonee in concreto ad incidere nell’ambiente con conseguenze gravi e potenzialità lesive nei confronti dell’incolumità fisica di un numero indeterminato di persone, sicchè hanno causato un pericolo concreto ed effettivo, sia per la durata nel tempo del traffico illecito, sia per l’incidenza concreta dell’attività di interramento con inquinamento del terreno e contaminazione altamente probabile. Di conseguenza i giudici hanno concluso ritenendo la sussistenza dell’ipotesi delittuosa di disastro ambientale di cui al comma 1 dell’art. 434 c.p..

Quanto all’elemento psicologico, i giudici di appello hanno ritenuto, con motivazione immune da censure, che risultasse evidente, anche per lo specifico expertise degli imputati a ragione delle attività svolte, la piena consapevolezza in capo agli stessi della "qualità/pericolosità" dei rifiuti che venivano ad essere illecitamente smaltiti e quindi hanno ritenuto sussistente il dolo del delitto di disastro ambientale, reato che non richiede come obiettivo specifico la volontà di porre in pericolo l’incolumità pubblica, bastando la consapevolezza che le condotte poste in essere, magari per altri fini come quello di profitto, siano idonee a mettere a repentaglio il bene ambiente.

L’analisi e la valutazione degli elementi sulla cui base è stata affermata l’esistenza del pericolo di disastro ambientale (e la consapevolezza e volizione di tale pericolo in capo agli imputati) – pericolo ritenuto nel caso di specie più che concreto per la contaminazione del suolo, attese le connotazioni di durata, ampiezza e intensità delle condotte di traffico illecito di rifiuti – è stata espressa nella decisione impugnata con motivazione ampia, coerente, plausibile e rappresenta un giudizio sul fatto, giudizio di merito come tale insindacabile in questa sede.

5.5. Pertanto il ricorso presentato da P.F., F. G., D.L.N., N.V., il secondo motivo di ricorso avanzato da P.A. ed il terzo, quarto e quinto motivo censurati nel ricorso presentato da PE. C., risultano infondati.

6. Risultano prive di fondamento anche le censure relative alla mancata motivazione circa gli elementi che indurrebbero a ritenere sussistente in capo al Pe. la condotta di partecipazione all’associazione a delinquere (secondo motivo del ricorso di PE.CA.).

Occorre premettere che la giurisprudenza di legittimità ha fornito chiare direttrici interpretative sulla struttura dell’elemento associativo e sui requisiti di partecipazione al consortium sceleris.

E’ stato precisato che non è richiesta l’apposita creazione di una organizzazione, sia pure rudimentale, "ma è sufficiente una struttura che può anche essere preesistente alla ideazione criminosa e già dedita a finalità lecita, nè è necessario che il vincolo associativo assuma carattere di stabilità, essendo sufficiente che esso non sia a priori circoscritto alla consumazione di uno o più reati predeterminati, con la conseguenza che non si richiede un notevole protrarsi del rapporto nel tempo, bastando anche un’attività associativa che si svolga per un breve periodo" (Cfr.

Sez. 5, n. 31149 del 5/5/2009, Occioni e altro, Rv. 244486 e n. 12525 dell’1/12/2000, Buscicchio ed altri, Rv 217459). Quanto alla non necessità di una struttura gerarchica, si veda Sez. 1, n. 17027 del 10/4/2003, Facie altro, Rv. 224808 e sulla non coincidenza tra minimum organizzatorio e numero di imputati del processo, la Sez. 6, n. 12845 del 6/4/2005, Biancucci e altri, Rv 231237, ha precisato che "è possibile dedurre l’esistenza della realtà associativa, anche sotto il profilo numerico, dalle attività svolte, dalle quali può risultare in concreto una distribuzione di compiti necessariamente estesa a più di due persone", mentre ha confermato la sufficienza di una minima organizzazione la Sez. 4, n. 22824 del 3/7/2006, Qose ed altri, Rv. 234576, per la quale "la ricerca dei tratti organizzativi è essenzialmente diretta a provare, attraverso tale dato sintomatico, l’esistenza dell’accordo indeterminato a commettere più delitti che di per sè concreta il reato associativo.

Di particolare interesse, anche in relazione alla vicenda del caso di specie la precisazione più recente (seppure riferita ad una associazione a delinquere finalizzata alla commissione dei reati di commercializzazione di sostanze dopanti) secondo la quale "l’esistenza del vincolo associativo ben può desumersi dalla stabilità dei collegamenti tra acquirente e fornitore delle sostanze, quale elemento che garantisce, al secondo, la consapevolezza di un sicuro smercio delle stesse e, al primo, la sicurezza in ordine ad una stabile fonte di approvvigionamento" (Cfr.

Sez. 3, n. 9499 del 29/1/2009, Pellegrino e altro, Rv. 243016).

La sentenza impugnata ha confermato il giudizio circa la sussistenza della fattispecie associativa, rectius, delle fattispecie associative, e la dichiarazione di responsabilità degli imputati in riferimento ai delitti di cui ai capi A) e D), anche con richiamo specifico all’ampia motivazione della sentenza di primo grado che già aveva espresso identico giudizio.

Sul punto è bene ricordare che, quando le sentenze di primo e secondo grado concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento di un punto della decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo (Così, tra le altre, Sez. 2, n. 5606 dell’8/2/2007, Conversa e altro, Rv. 236181; Sez 1, n. 8868 dell’8/8/2000, Sangiorgi, Rv.

216906; Sez. 2, n. 11220 del 5/12/1997, Ambrosino, Rv. 209145). Tale integrazione tra le due motivazioni si verifica allorchè i giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione.

Quanto al punto della decisione relativo alla fattispecie associativa, i primi giudici avevano affermato con certezza l’esistenza di due compagini associative, operanti in maniera indipendente, seppure composte in parte dalle stesse persone legate da vincoli stabili, aventi quali reati scopo il trasporto illecito di rifiuti anche pericolosi ed il loro sversamento in discariche abusive, Cuna riferibile allo smaltimento dei rifiuti della Italmetalli Sud e l’altra a quello delle società Redermet e Fercom, con P.F. nel ruolo di promotore ed organizzatore degli altri sodali ed i diversi ruoli degli altri imputati specificamente indicati. Nel confermare tale giudizio la decisione impugnata ha analizzato non solo la esistenza della fattispecie associativa, ma le posizioni dei singoli imputati rispetto al consortium sceleris, senza per nulla confondere il reato associativo con il reato fine di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 53. In particolare, per quanto attiene alla posizione del Pe., ha dato congrua e logica risposta alle censure che erano state già avanzate in grado di appello, evidenziando che la presenza di un intermediario tra lo stesso ed il P.F., nella persona del coimputato F., non era di ostacolo a ritenere inserito il Pe. nella struttura associativa, in quanto quest’ultimo, commissionando e pagando le attività di trasporto e sversamento illecito dei rifiuti, aveva di certo contribuito, con tale condotta volontaria e pienamente consapevole, agli scopi del sodalizio ed aveva recato un apporto necessario al mantenimento dello stesso.

Nè può essere rilevante la diversa modalità di percezione dei profitti dei reati-fine: come affermato dai giudici di appello, con motivazione esaustiva ed in linea con gli arresti della giurisprudenza, il fatto che i responsabili delle società che smaltivano illecitamente i rifiuti ricevessero il loro profitto per effetto del risparmio dei più elevati costi di smaltimento lecito degli stessi, mentre il P. lo ottenesse quale pagamento dei trasporti e delle operazioni materiali di illecito smaltimento, non ha alcuna rilevanza ai fini della sussistenza delle due strutture associative; nè è di ostacolo il fatto che il P. ed i suoi familiari organizzassero e gestissero i trasporti per due diverse compagini associative.

La cd. affectio societatis, in forza del quale gli aderenti sono portati ad operare nel settore del traffico dei rifiuti, nella consapevolezza che le attività proprie ed altrui ricevano vicendevole ausilio e tutte insieme contribuiscano all’attuazione del programma criminale non suppone un accordo formalizzato, ma l’esistenza, di fatto, di una struttura organizzativa, in cui si innesta il contributo apportato dal singolo nella prospettiva del perseguimento dello scopo comune, per cui ben possono aversi strutture plurime, anche mutanti nelle loro componenti soggettive e, nel caso di specie, essendo promotore ed organizzatore dell’associazione il titolare della ditta di trasporti, è evidente che era stato suo precipuo interesse stringere accordi di durata per molteplici attività di trasporto e smaltimento con diverse società (e con diversi proprietari di terreni, necessari all’Illecito smaltimento per interramento).

Il Collegio di appello ha anche analizzato nello specifico (pag. 47 e 48 della sentenza) le censure che il Pe. aveva proposto già in quella sede proprio in relazione alla sua condotta partecipativa (con le quali aveva lamentato la mancanza di rapporti diretti con l’organizzatore P.F. ed aveva posto l’attenzione sul ruolo di intermediario del coimputato F.), per respingere le stesse con puntuali e logiche argomentazioni, richiamando gli elementi probatori (dichiarazioni testimoniali, quelle di alcuni dei coimputati e le intercettazioni) dai quali ha tratto logico fondamento per confermare la condanna nei confronti del Pe. in relazione alla condotta di partecipazione all’associazione a delinquere. La motivazione della decisione sul punto risulta congrua, ancorata alle prove raccolte e priva di smagliature logiche e pertanto anche lo specifico motivo di ricorso deve essere respointo.

7. Del pari, i motivi di ricorso avanzati dagli imputati D.V. F. e N.G., in riferimento al delitto di cui all’art. 349 c.p., sono infondati, in quanto reiterano censure già avanzate in grado di appello, alle quali la sentenza impugnata ha già dato compiuta e congrua risposta (pagg. 37-39 e 50-53).

8. Pur dovendo respingere tutti motivi di ricorso fin qui esaminati.

Questa Corte deve determinare con precisione il tempus commissi delicti, per verificare se i reati come riconosciuti dalla Corte di appello di Napoli siano o meno estinti per intervenuta prescrizione, considerando anche le eventuali sospensioni del suo decorso verificatesi nel corso del giudizio.

Orbene occorre tener conto che i reati di cui al D.Lgs n. 22 del 1997, art. 53 bis all’art. 434 c.p. ed all’art. 349 c.p. si estinguono per prescrizione nel termine lungo di sette anni e mezzo (ex art. 157, comma 1, art. 161 c.p., comma 2) e che, nello stesso arco temporale, i termini di prescrizione spirano anche in relazione al reato di partecipazione all’associazione a delinquere di cui all’art. 416 c.p., comma 2. Infatti, anche se i delitti in questione risultano commessi nel 2003, e quindi nella vigenza della disciplina della prescrizione che è stata poi radicalmente modificata dalla legge cd. ex-Cirielli (L. 5 dicembre 2005, n. 251), in applicazione delle disposizioni transitorie, devono essere applicati i termini di prescrizione introdotti con l’attuale disciplina, in quanto più favorevoli e in quanto il procedimento de quo non era pendente in grado di appello al momento di entrata in vigore della legge (ex art. 10, comma 3).

Per procedere ad un’esatta collocazione temporale delle fattispecie ascritte ad alcuni dei ricorrenti, è necessario brevemente esaminare il significato della contestazione "con condotta tuttora perdurante", indicata in relazione ai capi D) (associazione a delinquere), E) (D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 53 bis) e Y) (art. 434 c.p.).

E’ stato affermato che nei reati permanenti, il giudice del dibattimento deve appurare, attraverso l’interpretazione del capo di imputazione nel quale non sia indicata la cessazione della permanenza (contestazione cd. "aperta"), se la fattispecie concreta sia già esaurita prima o contestualmente all’accertamento del fatto reato, ovvero la condotta risulti ancora in atto (cfr. Sez. 5, n. n. 3348 dell’1/2/2000, Gnecchi Ruscone, Rv. 215585), fermo restando, secondo alcune pronunce, il limite invalicabile della protrazione del reato segnato dalla sentenza di primo grado (in tal senso, tra le altre, Sez. 1, n. 17265 dell’8/4/2008, Zavettieri, Rv. 239628, fattispecie in tema di reato associativo, principio affermato anche in relazione alle problematiche del ne bis in idem): secondo altre pronunce, il momento temporale della formulazione dell’imputazione (così Sez. 3, n. 13168 del 23/2/2005, Stoia, Rv. 231226), per cui "ogni slittamento del termine di cessazione della permanenza necessita di una formale contestazione integrativa da parte dell’accusa, indipendentemente dal fatto che nel capo di imputazione sia stata indicata la data di cessazione della permanenza o sia stata lasciata eventualmente aperta la relativa contestazione". Per quanto attiene al delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, lo stesso è reato abituale in quanto è integrato necessariamente dalla realizzazione di più comportamenti della stessa specie (cfr. la già citata Sez. 3, n. 46705 del 3/11/2009, Casetta, Rv. 245605 e Sez. 3, n. 29619 dell’8/7/2010, Leorati e altri, Rv. 248145), per cui la contestazione circa il momento di consumazione dell’ultimo comportamento (a differenza che nel reato permanente, ove è possibile, nel caso non sia indicata la data di cessazione della permanenza, che l’originaria contestazione venga estesa al successivo sviluppo della fattispecie criminosa emergente dall’istruttoria dibattimentale, senza necessità di una ulteriore specifica contestazione da parte del pubblico ministero) resta ferma all’ultima attività ivi indicata, in quanto fatti ulteriori, eventualmente acclarati in dibattimento, devono essere sempre oggetto di contestazione all’Imputato "sia che servano a perfezionare o ad integrare la fattispecie criminosa rispettivamente enunciata nel capo di imputazione, sia – e a maggior ragione – che costituiscano una serie autonoma unificabile alla precedente per vincolo di continuazione" (in tal senso, Sez. 6, n. 4636 del 28/2/1995, Cassani, Rv. 201149).

Orbene dalla lettura delle decisioni di merito emerge con chiarezza che i fatti oggetto del presente giudizio attengono ai vincoli associativi posti in essere tra il P., i suoi familiari e i soggetti responsabili o comunque coinvolti nella gestione delle società sopramenzionate ed alle condotte di illecito trasporto, smaltimento di rifiuti industriali provenienti dalla lavorazione di alluminio, con sversamento degli stessi in aree non autorizzate: i fatti esaminati e provati nel corso del doppio grado di giudizio sono certamente limitati al tempus commissi delicti indicato nel capo di imputazione, non solo in riferimento al reato abituale di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 53 bis ed al reato di cui all’art. 434 c.p., ma anche in relazione alla fattispecie di associativa, non risultando spesa nella motivazione alcuna argomentazione circa l’eventuale accertata prosecuzione delle condotte di partecipazione associativa di cui al capo D), oltre l’indicata data del maggio 2003.

Pertanto, tenuto conto che dall’esame del fascicolo di primo grado risulta una sospensione del dibattimento per l’adesione dei difensori all’astensione dalle udienze, proclamata dall’associazione di categoria, per la durata di mesi quattro e quindici giorni (dall’11 luglio 2006 al 28 novembre 2006), il reato di cui al capo A) ascritto agli imputati diversi da P.F., commesso in data 7 marzo 2003, risulta prescritto in data 22 gennaio 2011; il reato di cui al capo D) ascritto agli imputati diversi da P. F., commesso in data 1 maggio 2003, risulta prescritto in data 16 marzo 2011. I reati ascritti ai capi B) ed E), vanno del pari dichiarati prescritti perchè estinti rispettivamente in data 22 gennaio 2011 e 16 marzo 2011; anche il reato di cui al capo D) risulta prescritto in data 5 febbraio 2011. Tutti I reati di violazione di sigilli sono, del pari, prescritti in forza del medesimo calcolo, essendo gli stessi stati posti in essere in un arco di tempo circoscritto dal 10 al 24 marzo 2003 (quindi prescritti al gennaio 2011).

9. Di conseguenza, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei confronti di P.A., N.V., F.G., D.L.N., Pe.Ca.An., D. V.F., N.G., S.G., Si.

R., per essere i rispettivi reati estinti per prescrizione.

Devono essere considerati assorbiti dalla pronuncia quei motivi che si sono limitati a sottoporre a censura le statuizioni sanzionatorie (ricorso di S., quanto al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche e Si., quanto alla dosimetria della pena inflitta).

10. Di contro, l’ipotesi delittuosa di cui all’art. 416 c.p., comma 1 ascritta al P.F. ai capi A) e D), essendo punita con la pena edittale massima di sette anni, si prescrive nel termine lungo di otto anni e nove mesi al quale va aggiunto il menzionato periodo di sospensione del decorso della prescrizione e quindi, il termine prescrizionale sarebbe maturato il 22 aprile 2012 per la prima fattispecie associativa contestata e il 16 giugno 2012, per la seconda. Pertanto nei confronti di P.F., la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente ai capi B), E) ed Y) per essere i reati estinti per prescrizione con eliminazione della relativa pena di dieci mesi di reclusione, mentre i restanti motivi del ricorso di P.F. devono essere rigettati, pertanto, e per effetto del disposto dei cui all’art. 616 c.p.p., P.F. va condannato al pagamento delle spese processuali del grado.

Questo Collegio conferma, inoltre, le statuizioni civili e condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese del grado sostenute dalle parti civili costituite, che liquida per il Comune di Acerra in complessivi Euro 3.000 oltre spese ed accessori di legge e per Verde Ambiente e Società in complessivi Euro 2.800 oltre spese ed accessori di legge.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di P.A., N.V., F.G., D. L.N., Pe.Ca.An., D.V.F., N.G., S.G., Si.Ra., per essere i rispettivi reati estinti per prescrizione. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di P.F., limitatamente ai capi B), E) ed Y) per essere i reati estinti per prescrizione ed elimina la relativa pena di dieci mesi di reclusione.

Rigetta nel resto il ricorso di P.F., che condanna al pagamento delle spese processuali del grado. Conferma le statuizioni civili e condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese del grado sostenute dalle parti civili costituite, che liquida per il Comune di Acerra in complessivi Euro 3.000 oltre spese ed accessori di legge e per Verde Ambiente e Società in complessivi Euro 2.800 oltre spese ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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