T.A.R. Friuli-Venezia Giulia Trieste Sez. I, Sent., 13-01-2011, n. 12

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – La ricorrente Società impugna il provvedimento (n. 1 del 25.2.10) di aggiudicazione definitiva (in uno con tutti gli atti della procedura) alla controinteressata G. s.p.a. della gara per la concessione del servizio di gestione tecnicooperativa, compresa la manutenzione ordinaria e straordinaria, dell’impianto di trattamento dei materiali di dragaggio in Zona Lisert di Monfalcone.

1.1. – In fatto, espone che la gara in questione, che prevedeva la concessione dell’indicato servizio per la durata di dieci anni (con possibile rinnovo per ulteriori dieci), si concludeva con l’aggiudicazione a G. s.p.a., mentre la ricorrente si collocava al secondo posto.

1.1. – Questi i motivi di ricorso:

1) violazione dell’art. 238 del D.Lg. 163/06 e dell’ art 3, punto 2, del Bando di gara. Violazione della par condicio, disparità di trattamento, travisamento di fatto. Violazione del Bando e del Regolamento di gara.

2) Violazione degli artt. 46 e 47 del D.P.R. 445/00. Travisamento di fatto e delle disposizioni del Regolamento di gara; illogicità.

3) Violazione dell’art. 3 della L. 241/90. Travisamento di fatto e delle disposizioni del Regolamento di gara; carenza di motivazione.

2. – L’Amministrazione, costituita, puntualmente controdeduce nel merito del ricorso, concludendo per la sua reiezione.

2.1. – E’ presente in giudizio anche la controinteressata G. s.p.a., che chiede essa pure che il ricorso sia rigettato.

In limine, eccepisce l’inammissibilità del primo motivo di ricorso, per omessa impugnazione del Bando e dell’allegata "Scheda Offerta", e del terzo motivo in quanto pretende di censurare l’esercizio di un potere tecnicodiscrezionale della P.A. (quale è quello di verifica dell’anomalia dell’offerta) in assenza di qualsivoglia profilo di manifesta illogicità o di errore di fatto..

3. – Il ricorso è fondato in parte, e va quindi accolto, nei termini di cui appresso.

3.1. – Vanno, dapprima, delibate le eccezioni di inammissibilità del primo e terzo motivo di ricorso, che non sono fondate.

Quanto alla prima, può dirsi che nessun onere di impugnazione del Bando e dei suoi allegati incombeva sulla ricorrente dal momento che essa non contesta quanto ivi contenuto né il mancato rispetto di una qualche specifica clausola, bensì si duole del mancato rispetto, nella valutazione dei requisiti di ammissione, non della lettera, bensì della ratio dell’art. 38 del D.Lg. 163/06, così come interpretato dalla giurisprudenza.

Neppure la seconda eccezione è fondata, poiché l’istante deduce proprio aspetti di irragionevolezza (che sussistano o meno è questione di merito) della valutazione di anomalia effettuata dalla Stazione Appaltante. Entrambi i motivi, quindi, sono ammissibili.

3.2. – Col primo motivo l’istante afferma che l’aggiudicataria avrebbe dovuto essere esclusa in quanto non ha presentato tutta la documentazione richiesta a pena di esclusione. In particolare, sarebbero state omesse le dichiarazioni, ex art. 38 del D.Lg. 163/06, da parte di due soggetti che – a tenore della certificazione rilasciata dalla Camera di Commercio – risultavano muniti di poteri di rappresentanza. Si tratta dei Procuratori Speciali Cristina Luci e Cristina Virco

La censura, ad avviso del Collegio, merita accoglimento, pur con le precisazione che verranno in prosieguo esplicitate.

3.2.1. – L’art. 38, per quanto qui rileva, prevede che "sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi….i soggetti… c) nei cui confronti è stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato, o emesso decreto penale di condanna divenuto irrevocabile, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per reati gravi in danno dello Stato o della Comunità che incidono sulla moralità professionale; è comunque causa di esclusione la condanna, con sentenza passata in giudicato, per uno o più reati di partecipazione a un’organizzazione criminale, corruzione, frode, riciclaggio, quali definiti dagli atti comunitari citati all’articolo 45, paragrafo 1, direttiva CE 2004/18; l’esclusione e il divieto operano se la sentenza o il decreto sono stati emessi nei confronti: del titolare o del direttore tecnico se si tratta di impresa individuale; del socio o del direttore tecnico, se si tratta di società in nome collettivo; dei soci accomandatari o del direttore tecnico se si tratta di società in accomandita semplice; degli amministratori muniti di potere di rappresentanza o del direttore tecnico se si tratta di altro tipo di società o consorzio".

La norma generale, quindi, in caso di Società per Azioni, quale è quella di cui si controverte, prevede l’esclusione – e, per contro, l’obbligo di comprovare il requisito di cui trattasi – solo quando i fatti ivi indicati riguardano "gli amministratori, muniti di potere di rappresentanza, e il direttore tecnico". La disposizione, secondo una parte della giurisprudenza (si veda, ad esempio TAR Calabria – Reggio n. 379/08) avendo natura limitativa della libertà di intrapresa economica, è eccezionale e di stretta interpretazione, insuscettibile di applicazione estensiva o analogica.

Peraltro, con decisioni più recenti, si va consolidando in giurisprudenza un diverso orientamento. Si veda, da ultimo, C.S, n. 7380/09 (che richiama anche la precedente sentenza n.523/07), che affronta proprio il problema di cui si controverte, al quale offre una soluzione "improntata ad una interpretazione (non già inammissibilmente estensiva ma) sostanzialistica della disposizione in oggetto che appieno ne coglie la ratio". Nella specie si controverteva di un procuratore dell’impresa al quale erano attribuiti "poteri di tale ampiezza da essere assimilabile ad un amministratore", in quanto la procura rilasciatagli aveva "un oggetto amplissimo, esteso sostanzialmente a tutta la attività propria dell’impresa, e non circoscritto alla sola rappresentanza esterna, ma anche a compiti decisionali e gestionali." Giova riportare per esteso l’argomentazione sviluppata dal Consiglio di Stato che, esaminato il contenuto della procura, ha ritenuto che "non si trattava di una procura semplice, ma di una procura institoria"; ricordando che, secondo l’art. 2203 c.c., è institore colui che è preposto dall’imprenditore all’esercizio di un’impresa commerciale, ovvero di una sua sede secondaria o di un suo ramo particolare, e può compiere tutti gli atti pertinenti all’esercizio dell’impresa cui è preposto, salve le limitazioni contenute nella procura. In quel caso, la procura institoria rilasciata consentiva al soggetto "di acquistare e vendere merci, materie prime e beni mobili, in relazione all’oggetto sociale; assumere e licenziare impiegati e operai; locare immobili; stipulare contratti di mutuo; compiere operazioni bancarie; agire e resistere in giudizio; fare pratiche amministrative; partecipare a gare di pubblico appalto formulando le relative offerte." Si evinceva quindi con chiarezza che i compiti non erano solo di rappresentanza esterna dell’impresa, ma di preposizione ad essa, con competenze decisionali e gestionali: il soggetto "era, pertanto, al di là della formale qualifica di procuratore, un institore, vale a dire un vero e proprio amministratore, in senso sostanziale, dell’impresa.". Veniva poi "considerata come dirimente la circostanza che il medesimo poteva partecipare a pubblici appalti formulando le relative offerte", rilevando altresì (con riferimento alla norma in allora applicabile) che "sarebbe del tutto vanificata la portata dell’art. 75, comma 1, lett. c), del D.P.R. n. 554/99, se si consentisse la formulazione di offerte a pubblici appalti ad un soggetto che ha riportato condanne" del tipo di quelle indicate dalla legge.

Da tale articolato e complesso ragionamento il Consiglio di Stato ha dedotto che il procuratore speciale, quando dotato dei descritti poteri, deve essere "equiparato ad un amministratore".

Ad analogo convincimento (con riferimento alla disciplina sopravvenuta) è giunto il Giudice d’Appello anche con le decisioni n. 5913/08 e 36/08, alla stregua della considerazione che il precetto di cui all’art. 38 del D.Lg. n. 163/06 "assume come destinatari tutti coloro che, titolari del potere di rappresentanza della persona giuridica, sono comunque in grado di trasmettere, con il proprio comportamento, la riprovazione dell’ordinamento nei riguardi della loro personale condotta, al soggetto rappresentato."

Il C.S. ha così affermato l’infondatezza dell’orientamento secondo il quale, chi non rivesta la qualità di "amministratore", perciò solo non è tenuto a rendere la dichiarazione ex art. 38 del D.Lg. n. 163/06 (nello stesso senso si vedano anche: TAR Lazio n. 3152/10 e TAR Veneto n. 1290/10). In definitiva, secondo questo orientamento, per determinare chi debba rendere le dichiarazioni di cui all’art. 38, non si deve far riferimento alla qualifica formale rivestita, bensì agli effettivi poteri attribuiti.

3.2.2. – Nel nostro caso, mentre nulla è dato sapere quanto al procuratore speciale Virco Cristina, la visura camerale riporta invece puntualmente i poteri attribuiti, senza limiti temporali, a Luci Cristina, che sono: "costituire ATI per la partecipazione della G. s.p.a. a gare di appalto indette da amministrazioni sia pubbliche che private, enti statali, parastatali e locali e che abbiano per fine quanto previsto dall’oggetto sociale; a sottoscrivere in nome e per conto della società tutti gli atti relativi a gare d’appalto indette da amministrazioni sia pubbliche che private, enti statali, parastatali e locali, determinando prezzi patti e condizioni, a stipulare e firmare atti e contratti successivi all’aggiudicazione di gare di appalto, offerte per gare pubbliche e private, atti di sottomissione, verbali di consegna lavori, di sospensione e di ripresa, di ultimazione, atti di contabilità e di collaudo, dichiarazioni giurate e atti sostitutivi di notorietà, concordare nuovi prezzi ed ogni atto necessario al buon fine dei lavori, nessuno escluso ed eccettuato".

Pare al Collegio che anche il caso di specie rientri nelle ipotesi di "procura institoria" prese in esame dal Consiglio di Stato; con la conseguenza che la dichiarazione doveva essere resa, quanto meno da Cristina Luci.

3.2.3. – – Tuttavia, ciò non può comportare l’automatica esclusione della controinteressata dalla gara, essendosi essa strettamente attenuta alle regole poste dalla legge e dal Bando (si veda, in tal senso, TAR Piemonte n. 4599/06); dovendosi riconoscere, nel caso di specie, quanto meno la scusabilità dell’errore (cfr. Tar Friuli – Venezia Giulia n. 297/09) o la sussistenza di una irregolarità sanabile.

La giurisprudenza (si veda: Tar Sicilia – Catania n. 436/10) decidendo un caso analogo, ha ritenuto che "la (corretta, in quanto conforme alla ratio) interpretazione estensiva dell’art. 75 D.P.R. 554/99 non possa tradursi in una automatica, non codificata, atipica, ed in definitiva ingiusta, clausola di esclusione dalle pubbliche gare per il concorrente che – attenutosi alle prescrizioni del bando, ed alla lettera della legge – abbia omesso di presentare le "dichiarazioni di moralità" riferite a soggetti non espressamente contemplati dalla norma" (o, va aggiunto: dal Bando) "ma inclusi in essa in forza di una interpretazione estensiva di fonte giurisprudenziale".

Ne consegue, che la S.A., non poteva senza meno escludere la controinteressata, bensì doveva effettuare un approfondimento istruttorio e richiedere alla stessa la produzione della dichiarazione omessa.

Come precisato nella richiamata sentenza, "il contrasto fra le due esigenze – quella rigorista, inspirata dallo scopo di prevenire infiltrazioni malavitose negli appalti pubblici, e quella garantista, che risponde all’idea di non comminare drastiche esclusioni dalla procedura di gara per la violazione di un precetto che l’impresa partecipante non è in condizione di rinvenire né nel bando, né nella littera legis – può essere sanato, attraverso una soluzione mediana, che contemperi i due contrapposti aspetti", non risultando "contrario a legge ritenere che l’omissione di detta dichiarazione non costituisca immediata causa di esclusione dalla procedura (salvo che tale sanzione sia direttamente ed espressamente comminata nel Bando), e possa costituire invece occasione affinchè la Stazione Appaltante eserciti il potere/dovere di richiedere al concorrente l’integrazione della documentazione di gara, sotto il profilo qui mancante. Tenendo anche conto del fatto che verrebbe in rilievo – non l’inammissibile produzione totale ed ex novo di un documento richiesto dal Bando – ma la semplice regolarizzazione (sotto il profilo del completamento) dell’attestazione relativa al possesso dei requisiti soggettivi in capo ad altri gestori dell’impresa".

Il Collegio condivide questo orientamento, e ritiene che, anche nel presente caso, dovesse essere richiesto alla controinteressata, e consentito, dalla S.A. il deposito ex post delle dichiarazioni omesse (in evidente buona fede), ai sensi dell’art. 6, lett. b), della L. 241/90 e 46 del D.Lg. 163/06.

3.2.4. – Né, nel nostro caso, si riscontrano le difficoltà cui accenna la richiamata decisione del TAR Catania, e, in specie, quella della possibile violazione della par condicio dei partecipanti, che ha indotto la giurisprudenza ad applicare le predette disposizioni di legge nelle procedure concorsuali pubbliche con estrema cautela (ex multis, e da ultimo C.S., n. 6974/09). Ciò in quanto, comunque, era stata dimessa anche una dichiarazione generale ad opera del legale rappresentante della Società (doc. n. 5 di parte istante) che attestava l’inesistenza di pregiudizi penali nei confronti di "tutti i soggetti di cui all’art. 38", cosicchè l’eventuale richiesta di dimettere la dichiarazione personalmente sottoscritta dal (o dai) Procuratori Speciali appare effettivamente quale mera integrazione di una dichiarazione comunque resa.

3.3. – La ricorrente, col secondo motivo, contesta però la sufficienza e la correttezza formale di tale documento.

Il Collegio osserva, in primis, che la giurisprudenza oramai pacificamente ammette la c.d. "dichiarazione generale" (si veda, da ultimo, C.S. VI n. 4243/10 e TAR Lazio n. 1768/10) da parte del legale rappresentante della Società, in particolare quando sia prevista dal Bando o dalla Scheda di domanda predisposta dall’Amministrazione.

La giurisprudenza tuttavia richiede anche che tale dichiarazione non sia generica, specie allorchè il Bando preveda espressamente l’obbligo di determinate dichiarazioni (quale quella delle condanne con "non menzione") che possono essere efficacemente rese solo dal diretto interessato, posto che riguardano circostanze non facilmente conoscibili dai terzi, anche se diligenti nell’informarsi (Tar Lazio n. 18131/10).

Nel caso in questione, il Bando (art. 3, comma 2, punto 2) prescriveva genericamente la dichiarazione "di essere in regola con la vigente normativa in materia di contrattazione con la P.A. (art. 38 del D.Lg. 163/06)", dichiarazione che il legale rappresentante, ad abundantiam, ha reso cumulativamente (ancorchè altrettanto genericamente), per sé e per tutti i soggetti di cui all’art. 38, ai sensi dell’art. 49 del D.Lg. 163/06 (avendo peraltro dimesso le dichiarazioni personalmente sottoscritte dai soggetti – amministratore e direttore tecnico – espressamente indicati dalla legge).

Ritiene, in definitiva, il Collegio che, tale essendo la situazione di fatto, la dichiarazione generale del legale rappresentante possa ritenersi resa, ancorché in modo incolpevolmente incompleto, e pertanto potesse (e dovesse) essere integrata tramite una specifica richiesta della Stazione Appaltante, la quale imponesse di dimettere sia la procura speciale rilasciata a Virco Cristina, che le dichiarazioni personalmente sottoscritte da Luci Cristina e, se del caso, dalla stessa Virco Cristina.

Il primo motivo di ricorso va quindi parzialmente accolto, con conseguente annullamento dei provvedimenti impugnati e dichiarazione dell’obbligo, per la Stazione appaltante, di procedere all’acquisizione della procura speciale conferita a Virco Cristina e della – o delle – puntuali dichiarazioni dei Procuratori Speciali come sopra indicato.

4. – Il terzo, articolato, motivo di ricorso lamenta, in primis, la carenza di motivazione dell’atto che conclude il procedimento di verifica di anomalia.

Su questo specifico punto, va condivisa la difesa delle parti resistenti che rilevano come il provvedimento favorevole non abbisogni di approfondita motivazione dato che essa si rinviene – per relationem – nel contenuto delle giustificazioni addotte dall’interessato e fatte proprie dalla P.A. con tale atto; laddove solo l’esito negativo della verifica di anomalia necessita di approfondita ed adeguata motivazione a tutela degli interessi del destinatario.

4.1. – In particolare (dato che il motivo è alquanto confuso e di non facile interpretazione, non essendo neppure chiaro se si riferisca al provvedimento di aggiudicazione o a quello di verifica dell’anomalia), pare di capire che la ricorrente contesti le "incongruenze tra l’offerta tecnica formulata…quanto alle risorse umane e le giustificazioni successivamente addotte", avendo G. ridotto il numero di addetti da 11, come esposto nell’offerta tecnica, a 8, come risulta dalle giustificazioni; il fatto che la controinteressata "si limita a mantenere la struttura attuale dell’impianto" ripristinando la sezione di inertizzazione che era stata eliminata dal Consorzio (di cui sarebbe stata provata l’inutilità), il che non sarebbe in grado di far "conseguire un apprezzabile risparmio energetico"; la quantità del materiale trattato, non essendo chiaro perché abbia bisogno di acquisire materiale dal Belgio; materiale, per di più, che non risulta dal conto economico presentato in sede di verifica di anomalia; sempre in merito al materiale trattato, la ricorrente afferma essere incomprensibile la ragione per cui è stato aggiudicato l’appalto ad una Società che tratterà molto meno materiale (solo il 60%) di quello autorizzato, il che si riflette sul canone concessorio che è, per l’appunto, collegato alla quantità del materiale trattato; da ultimo eccepisce la mancata giustificazione dei costi medi pari a 34,70/ton. per lo smaltimento dei rifiuti residui.

Su ciascun punto, resistente e controinteressata ribattono efficacemente, osservando, quanto al personale, che G. non ha mai modificato l’offerta in quanto si è impegnata all’assunzione di 11 dipendenti, con la precisazione (al solo fine di spiegare il costo del personale, esposto nel quadro finanziario relativo ai diversi anni) che ciò sarebbe avvenuto a regime, mentre, nella fase di primo avvio, avrebbe impiegato 8 dipendenti.

In relazione al secondo punto, viene osservato che il progetto della controinteressata, in realtà, prevede una generale ristrutturazione e modifica dell’impianto (si veda il doc. 17), che la Commissione di gara ha valutato in tutti i suoi aspetti.

In merito alla quantità del materiale trattato e ai suoi effetti sul canone di concessione, si precisa che, come rileva il Consorzio, tale elemento non è valutabile a priori, dipendendo dalla tipologia del materiale stesso e dallo stato dell’impianto. Puntualizzano, inoltre, entrambe le parti che, poiché l’aggiudicataria ha offerto 10 euro a tonnellata, contro i 2,10 della ricorrente, comunque il vantaggio per il Consorzio appare di rilevante entità anche se la Società opererà nei limiti indicati dall’istante (cosa che probabilmente dovrà esser fatta nel periodo necessario alla ristrutturazione e ammodernamento dell’impianto).

G. s.p.a. contesta di aver mai previsto un costo di smaltimento dei rifiuti residui pari a 34,70 a tonnellata. E, invero, esaminando l’offerta tale dato non si rinviene. Comunque la controinteressata ha dimostrato di poter ottenere notevoli riduzioni di costi in tale settore essendo titolare e gestore di discariche e di impianti di recupero inerti e autorizzata al trattamento di rifiuti non pericolosi.

In definitiva, alla stregua di quanto esposto, il ricorso va accolto in parte, nei termini di cui in motivazione.

4. – Sussistono tuttavia giuste ragioni, per compensare interamente, tra le parti, le spese e competenze di causa. Va comunque rifuso (all’atto del passaggio in giudicato della sentenza), ai sensi dell’art. 13, comma VI bis, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, come modificato dall’art. 21 della L. 4 agosto 2006, n. 248, il contributo unificato pari ad Euro 500,00 (cinquecento/00)
P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli – Venezia Giulia, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie in parte, nei termini di cui in motivazione, e, per l’effetto, annulla il provvedimento di aggiudicazione qui opposto con obbligo per la Stazione Appaltante di acquisire le dichiarazioni ex art. 38 del D.Lg. 163/06 omesse, ut supra precisato.

Compensa le spese e competenze del giudizio tra le parti. Parte resistente provvederà comunque a rifondere alla ricorrente vittoriosa (all’atto del passaggio in giudicato della sentenza), ai sensi dell’art. 13, comma VI bis, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, come modificato dall’art. 21 della L. 4 agosto 2006, n. 248, il contributo unificato pari ad Euro 500,00 (cinquecento/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del giorno 15 dicembre 2010 con l’intervento dei magistrati:

Saverio Corasaniti, Presidente

Oria Settesoldi, Consigliere

Rita De Piero, Consigliere, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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