Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 07-06-2011) 13-12-2011, n. 46029

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Ricorre personalmente per cassazione, P.G. – nei cui confronti il GIP del Tribunale di Palermo aveva disposto, su conforme richiesta del P.M., con decreti in data 23 febbraio e 20 luglio 2009, l’archiviazione del procedimento nel quale era indagato dei delitti di concorso esterno in associazione mafiosa e di estorsione continuata ed aggravata ai sensi del D.L. n. 152 del 1991, art. 7 conv. con modif. in L. n. 203 del 1991 – avverso l’ordinanza in data 16 luglio 2010 con la quale la Corte d’appello di Palermo aveva respinto la domanda di riparazione per l’ingiusta detenzione dal predetto subita in carcere dal 24 settembre 2008 fino al 23 giugno 2009, sul presupposto della sussistenza di un comportamento dell’istante connotato da colpa grave e con valenza quantomeno sinergica ai fini dell’emissione e del mantenimento della misura restrittiva della libertà personale.

Ha in particolare evidenziato la Corte d’appello che il P., alla stregua del quadro indiziario valutato dal GIP del Tribunale di Palermo ai fini dell’emissione, in data 24 settembre 2008, dell’ordinanza cautelare, aveva dato causa o concorso a dare causa alla custodia cautelare subita. Invero il contenuto di molteplici conversazioni intercettate nonchè il testo di un manoscritto rinvenuto nell’abitazione del noto esponente mafioso L.S. P. avevano dimostrato la sussistenza di legami tra il P. – responsabile tecnico del settore giovanile dell’Unione sportiva "Città di Palermo" – e la famiglia mafiosa cui apparteneva il L.P. (che veniva agevolata nella conclusione di affari, grazie alla comune gestione della società PETRA tra il P. e l’avv. Marcello Trapani, arrestato nell’ambito della medesima operazione) nonchè il coinvolgimento dell’indagato in una vicenda estorsiva attuata dalla famiglia mafiosa dei L.P. in danno dell’impresa edile che eseguiva lavori di ristrutturazione nella villa del giocatore di calcio T., come confermato dal collaboratore di giustizia F.F.. Ha altresì osservato la Corte distrettuale che la richiesta di archiviazione (poi accolta dal GIP) si era basata sul progressivo ridimensionamento della rilevanza accusatoria del descritto quadro indiziario, a seguito non solo degli interrogatori resi dall’indagato, ma soprattutto della collaborazione, successivamente fornita agli inquirenti dal coindagato avv. Marcello Trapani, già difensore di fiducia di S., Sa. e L.P.C., esponenti di spicco del mandamento mafioso Tommaso Natale – S. Lorenzo. Sulla valutazione prognostica – da compiersi ex ante – delle condizioni e dei presupposti esistenti al momento dell’emissione del provvedimento restrittivo, ai fini della verifica della ricorrenza della colpa grave avevano potuto dispiegare alcun effetto – ha conclusivamente osservato la Corte distrettuale – i sopravvenuti interrogatori dell’indagato e la collaborazione prestata dall’avv. Marcello Trapani, idonei esclusivamente ad indurre il GIP a revocare l’ordinanza cautelare.

Censura il ricorrente l’ordinanza deducendo un unico motivo per violazione dell’art. 606 cod. proc. pen., lett. b) ed e).

Secondo l’istante, la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere come sintomatici di una condotta colposa elementi rivelatisi, subito dopo, del tutto leciti e scevri di rilevanza penale, tant’è vero che il P.M. non aveva inteso esercitare l’azione penale. Il ruolo cd. sinergico svolto dal ricorrente e connotato, secondo la Corte distrettuale, da estremi di colpa grave non poteva in realtà esser qualificato come volontario od altamente colpevole. Il ricorrente era intervenuto nella vicenda poi sfociata in un tentativo di estorsione in danno di S., come chiarito in sede di interrogatorio di garanzia anche dai coindagato avv. Trapani, esclusivamente per interesse diretto e personale, in quanto socio di fatto del cognato nella impresa edile, ferma la sua totale estraneità da qualsivoglia tipo di relazione organica con la consorteria mafiosa facente capo alla famiglia Lo Piccolo. In definitiva, ad avviso del ricorrente, non era possibile ritenere comportamento idoneo a dare causa all’emissione della custodia cautelare quello basato sulla conoscenza che il soggetto aveva dell’attività delittuosa perpetrata da altri, dalla quale era comunque rimasto estraneo.

Il Procuratore Generale, con la requisitoria scritta in atti, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Con note difensive depositate in cancelleria il 24 maggio 2011, a firma dell’avv. Pietro Alosi, l’interessato ha criticato, siccome infondati, gli assunti del Procuratore Generale, insistendo nell’accoglimento dei proposti, motivi di gravame.
Motivi della decisione

Il ricorso va giudicato inammissibile sotto un duplice profilo di forma e di sostanza.

L’atto risulta invero sottoscritto personalmente dall’interessato P.G. pur recando in calce la seguente, testuale dicitura: " Delego al deposito l’avv. Giovanni Castronovo del foro di Palermo e nomino per il presente procedimento avanti la Suprema Corte, l’avv. Girolamo D’Azzo del foro di Palermo". La firma apposta in calce dal P. è corredata dell’autentica dell’avv. Giovanni Castronovo.

Ora, alla stregua dell’insegnamento consolidato e prevalente della giurisprudenza di questa Corte – dal quale il Collegio non intende discostarsi – (cfr. ex multis: S.U. ord. n. 34535/2001; S. U. ord. n. 19/2000; Sez. 4 n. 41636/2010; Sez. 3 n. 13197/2008; Sez. 4 n. 38003/2002; Sez. 4 n. 506/1996) il ricorso di cui al combinato disposto degli artt. 315 e 646 cod. proc. pen. può esclusivamente esser proposto da difensore iscritto nell’albo speciale della Corte di cassazione, come previsto dall’art. 613 dello stesso codice essendo riconosciuta al solo imputato la deroga a tale chiaro precetto, dall’art. 571 c.p.p., comma 1. Nè alcuna rilevanza riveste, ai fini dell’osservanza delle disposizioni regolanti jus postulandi nello specifico caso, il fatto che, come testè riferito, il ricorso contenga in calce la nomina dell’avv. Girolamo D’Azzo e l’autentica della firma del P., stilata dall’avv. Giovanni Castronovo, giacchè è fuor di ogni dubbio che la paternità del ricorso risale esclusivamente al solo interessato come palesemente dimostrato dalla sottoscrizione e dalla formale redazione dell’atto.

Tantomeno rileva il fatto che la successiva memoria di replica depositata in cancelleria ex art. 611 cod. proc. pen. (ove l’estensore esordisce criticando la richiesta del Procuratore Generale di declaratoria di inammissibilità del "ricorso proposto dall’odierno ricorrente") rechi in calce la firma di altro difensore:

avv. Pietro Alosi, nominato successivamente alla presentazione del ricorso redatto personalmente dal P.. Subordinatamente a quanto fin qui osservato, il ricorso non può non esser giudicato manifestamente infondato, sotto il profilo sostanziale. Giova in questa sede ribadire che la Corte distrettuale, seguendo un iter argomentativo improntato a canoni valutativi logici e coerenti con le specifiche risultanze esaminate (di cui ha dato esaustivamente conto nella diffusa motivazione del provvedimento impugnato riassuntivamente riportata, nei passaggi salienti, in parte narrativa ed alla quale si rinvia, ad evitare inutili ripetizioni) ed adeguandosi alla prevalente e consolidata giurisprudenza di legittimità, ha significativamente messo in luce la ricorrenza di una serie di comportamenti del P. connotati, alla stregua di una verifica prognostica ex ante, dagli estremi della colpa grave con rilevanza quantomeno sinergica agli effetti dell’adozione e del mantenimento del provvedimento restrittivo. In conclusione, deve osservarsi che il quadro indiziario, valutato all’atto dell’emissione dell’ordinanza cautelare generica, lasciava fondatamente supporre la contiguità del P., quale concorrente esterno, nell’associazione mafiosa che faceva capo al L.P. (nel cui ambito era considerato soggetto degno di fiducia) nonchè un suo diretto coinvolgimento nel delitto di estorsione continuata ed aggravata in danno del cognato, al di là delle presunte intenzioni di agire invece in suo favore; donde il legittimo convincimento degli inquirenti del coinvolgimento del P. in fatti dotati di rilevanza penale per effetto di condotte connotate dai profili di colpa grave.

Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè (trattandosi di causa di inammissibilità del ricorso; riconducibile alla volontà, è quindi a colpa, del ricorrente: cfr. Corte Costituzionale sent. n. 186 del 7- 13 giugno 2000) al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1000,00.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1000,00 a favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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