Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 04-07-2012, n. 11137 Procedimento disciplinare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

1. Con sentenza n. 131 del 22 luglio 2011, depositata il 4 ottobre 2011, la Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, in sede di secondo giudizio di rinvio a seguito di sentenze delle Sezioni unite di questa Corte, ha nuovamente inflitto ad P.E., magistrato sospeso in via provvisoria dalle funzioni e dallo stipendio sin dal luglio 2004, la sanzione della rimozione, in relazione a fatti commessi dal 1995 al 2000 quando il P. svolgeva le funzioni di pretore di Thiene e di giudice del Tribunale di Vicenza.

2. In sintesi, la vicenda può essere così riassunta:

a) nel 2003 il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione promosse l’azione disciplinare nei confronti del P. a norma del R.D.Lgs. n. 511 del 1946, art. 18 in relazione a fatti oggetto di indagine da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Trieste per numerosi capi di imputazione (relativi, per la maggior parte, ai delitti di concussione e di abuso di ufficio, oltre, fra l’altro, ad uno concernente quello di ricettazione);

b) nel 2007, da un lato, il G.U.P. del Tribunale di Trento (ove il processo era stato trasferito per competenza) emise, in relazione ad alcuni dei reati contestati (tra i quali la ricettazione), sentenza di non doversi procedere per prescrizione, e, dall’altro, il Tribunale di quella città pronunciò sentenza di assoluzione perchè il fatto non sussiste (divenuta irrevocabile) in relazione a tutti gli altri capi di imputazione;

c) riattivato dal Procuratore Generale il procedimento disciplinare (in precedenza sospeso in pendenza del giudizio penale), la Sezione disciplinare del C.S.M., con sentenza n. 117 depositata il 12 novembre 2008, inflisse al P. la sanzione della rimozione in relazione a cinque capi di incolpazione (indicati nell’epigrafe con le lettere B, C, D, E e G), quasi tutti, peraltro, relativi a plurimi episodi raggruppati per tipologia di comportamenti;

d) con sentenza n. 17903 del 2009, depositata il 3 agosto 2009, le Sezioni unite di questa Corte accolsero il ricorso del P. "nei limiti precisati in motivazione": in particolare, annullarono la sentenza in relazione al primo dei due episodi di cui al capo B e al secondo dei due episodi di cui al capo D; rigettarono quasi integralmente il ricorso in relazione alla condanna per il capo C (con il quale era stato addebitato al P. di avere intrattenuto con numerosi e specificati rivenditori, intermediari e concessionari – FIAT Zannini, New Holland Italia, Dal Zotto, Opel Galvauto, Autoscuola Filippi – intensi rapporti commerciali, facendo valere la sua qualità di pretore, accettando di fare da testimonial per l’attività di vendita, richiedendo ed ottenendo forti sconti e facilitazioni di pagamento, cambiando in media un’auto all’anno, mantenendo un intenso giro di assegni e rapporti di debito e credito per la vendita e l’acquisto delle varie autovetture, ottenendo anche per la moglie un’auto "di cortesia" e per il suocero altra auto a prezzo di favore): precisarono al riguardo le Sezioni unite che un punto di contestazione – il giro di assegni – era stato giustamente lasciato cadere dal giudice disciplinare non avendo riscontro nel giudicato penale e che su un altro la sentenza era invece da censurare perchè il fatto – la finalità di scaricarsi l’IVA – non era compreso nel capo di incolpazione; rigettarono altresì integralmente il ricorso per il primo episodio di cui al capo D (l’avere, con le medesime modalità operative di cui al capo C, ottenuto sconti e facilitazioni nell’acquisto di vestiti presso la "Pull Rover" di Rossi e Meneghini); annullarono, infine, la sentenza, con rinvio, in ordine: 1) al secondo episodio di cui al capo B (avere acquistato dal "mercato parallelo" tramite il cognato A. V. un orologio Rolex mod. O.P. Date risultato rubato in un’orologeria di Pontedera), escludendo che sul punto la sentenza penale avesse efficacia di giudicato nei confronti dell’incolpato, essendo stata ivi esaminata la vicenda solo con riferimento ad un capo di imputazione relativo ad altri imputati, con la conseguenza che dalla stessa si potevano trarre solo elementi indiziari, con necessità di motivazione specifica sull’accertamento del fatto; 2) al capo E (avere funto da finanziatore e socio occulto del geometra B. per la ristrutturazione di una casa ad opera dell’impresa Alba e consentito la sua fittizia intestazione, svolgendo di fatto attività incompatibile con la funzione di magistrato), osservando, da un lato, che la fittizia intestazione dell’immobile non era stata valorizzata dalla sentenza disciplinare, con conseguente formarsi di una preclusione processuale sul punto, in assenza di ricorso incidentale da parte dei titolari dell’azione disciplinare, e, dall’altro, che erano fondate le censure del ricorrente nei confronti della qualificazione dell’attività contestata come "imprenditoriale" e del P. come "socio" in senso tecnico del detto geometra, poichè tali qualificazioni, non integrando accertamenti di fatti materiali o storici, non spiegano efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare, con la conseguenza che la sentenza doveva ritenersi sul punto apodittica e sfornita di sufficiente motivazione sui punti anzidetti, con incidenza anche sulla ritenuta applicabilità del divieto per il magistrato di "esercitare industrie o commerci", di cui all’art. 16 dell’ordinamento giudiziario del 1941, tenendo conto che singole operazioni commerciali, anche con finalità speculativa, non possono di per sè ed in genere ritenersi vietate al magistrato;

3) al capo G (violando ogni norma di legge, opportunità ed equilibrio, avere nominato, nell’esercizio delle funzioni, consulente tecnico di ufficio il geometra B. per 96 volte – a detta dello stesso B. una volta al mese per dieci anni – ed il geometra M. per 49 volte, che contestualmente utilizzava per le sue attività private, indicate nei capi D ed E), osservando che la sentenza impugnata aveva violato il vincolo del giudicato penale, là dove era stato accertato in fatto che doveva escludersi che la concentrazione degli incarichi era stata determinata da un favoritismo dipendente dai contestuali rapporti di affari tra il giudice ed i consulenti.

In conclusione, le Sezioni unite, premesso che l’accoglimento di plurime censure incideva anche sulle valutazioni conclusive in ordine al rilievo complessivo delle violazioni ed alla scelta della sanzione, e precisato che restava assorbito il motivo relativo al rigetto delle istanze istruttorie per la parte riferibile a punti di fatto non preclusi relativi ai capi di incolpazione per i quali non operava il giudicato penale, cassarono la sentenza impugnata nei limiti suddetti, rinviando il procedimento alla Sezione disciplinare per lo svolgimento di nuovi accertamenti e valutazioni;

e) con sentenza n. 94 del 2010, depositata l’8 giugno 2010, la Sezione disciplinare da un lato confermò la responsabilità del P. per i capi B, secondo episodio, E e G, oggetto di rinvio da parte delle Sezioni unite, e, dall’altro, valutata la complessiva situazione (unitamente cioè ai capi C e D, primo episodio, in relazione ai quali le Sezioni unite avevano rigettato il ricorso), confermò anche la sanzione della rimozione;

f) con sentenza n. 2547 del 2011, depositata il 3 febbraio 2011, le Sezioni unite di questa Corte accolsero il decimo e l’undicesimo motivo del ricorso proposto dal P., rigettarono il primo e il terzo e dichiararono assorbiti gli altri. Rilevarono le Sezioni unite che la sentenza impugnata risultava censurabile sotto tre profili: a) aveva fondato la sanzione della rimozione esclusivamente sul giudizio di disvalore collegato "alla lesione irreparabile della credibilità e del prestigio di cui deve godere il magistrato"; b) non aveva preso in considerazione alcuni rilievi della precedente pronuncia di rinvio (tra i quali quello secondo cui l’accertamento effettuato in sede penale aveva escluso lo sfruttamento da parte del P. della qualità di magistrato per conseguire un indebito trattamento di favore); c) non aveva spiegato esaustivamente (in modo da rendere agevole l’individuazione della relativa ratio decidendi) le ragioni del perchè aveva escluso, pur oggettivamente risultando ridotto il quadro degli addebiti disciplinari, una sanzione di portata inferiore a quella della rimozione. Inoltre osservarono che la Sezione disciplinare non aveva valutato la proporzionalità tra fatti addebitati e sanzione erogata in virtù dell’esame dell’elemento psicologico (natura ed intensità) nei comportamenti contestati, con specifico riferimento al fine perseguito, non essendo sufficiente la mera spendita della qualifica di magistrato per determinare di per sè una sanzione disciplinare, così come non aveva tenuto conto della personalità dell’incolpato, anche con riferimento alla svolta attività professionale.

Conclusero affermando che il giudice del rinvio avrebbe dovuto, "sulla base dei già chiesti nuovi accertamenti e valutazioni (eventualmente, in virtù del suo potere discrezionale, disponendo nuovi mezzi istruttori), tener conto che il quadro disciplinare a carico del P. è oggettivamente inferiore e meno rilevante rispetto alla decisione disciplinare precedentemente assunta; rendere proporzionata a detto quadro disciplinare attuale la sanzione da irrogare, non prescindendo dalla valutazione dell’elemento soggettivo e dell’aspetto professionale; in particolare, esaminare la sussistenza, per i capi di incolpazione in cui ciò è necessario, dei caratteri dell’imprenditorialità, tali da delineare configurazioni di accordi societari; rendere in proposito agevolmente comprensibile la connessa ratio decidendi con sufficienti argomentazioni";

g) con sentenza n. 131 del 2011, depositata il 4 ottobre 2011, la Sezione disciplinare del C.S.M. – premesso che con ordinanza in data 9 luglio 2011, il Collegio aveva disposto l’acquisizione di alcuni atti relativi ai processi penali svoltisi dinanzi all’autorità giudiziaria di Trento, nonchè di tutti gli atti (rapporti, pareri, delibere) concernenti le valutazioni di professionalità del magistrato incolpato, e che la difesa di quest’ultimo aveva prodotto una memoria con allegati, tra i quali una denuncia-querela presentata da A.V. in relazione alla vicenda dell’acquisto dell’orologio Rolex – ha confermato la dichiarazione di responsabilità del P. in relazione a tutti i residui capi di incolpazione, nonchè l’irrogazione della sanzione della rimozione, anche in considerazione del fatto che il magistrato era stato già condannato nel 2003 alla sanzione della censura e che, sul piano professionale, in relazione al procedimento di nomina a magistrato di corte di appello, era emerso che il Consiglio giudiziario di Venezia aveva espresso parere negativo, anche se poi disatteso dal Consiglio superiore, che aveva proceduto alla nomina.

3. Avverso tale sentenza P.E. propone ricorso per cassazione articolato in tredici motivi.

Il Ministro della giustizia non ha svolto attività difensiva.
Motivi della decisione

1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta che la Sezione disciplinare ha omesso di provvedere sulla richiesta – tendente a precisare il corretto residuato ambito del giudizio disciplinare – di declaratoria predibattimentale di non doversi procedere in relazione a vari profili degli originali capi di incolpazione il cui esame doveva considerarsi precluso a seguito del giudicato penale di assoluzione o di giudicato interno, con conseguente ulteriore ed illegittima sottoposizione a giudizio dell’incolpato anche per fatti da ritenere ormai espunti.

Il motivo è infondato, poichè quel che rileva – e ciò sarà oggetto di esame in prosieguo – è l’effettivo contenuto della pronuncia impugnata, a prescindere da un, non necessario, provvedimento predibattimentale diretto a circoscrivere la residua "portata" dei capi di incolpazione.

2. Con il secondo motivo, è denunciata la nullità dell’ordinanza del 9 giugno 2011, con la quale la Sezione disciplinare ha, da un lato, rigettato tutte le istanze istruttorie del ricorrente (in particolare, la richiesta di prova testimoniale di A. V.), e, dall’altro, ha disposto l’acquisizione d’ufficio di documentazione a carico dell’incolpato: così violando, ad avviso del ricorrente, le statuizioni contenute, al riguardo, nelle sentenze delle Sezioni unite n. 17903 del 2009 e n. 2547 del 2011.

Il motivo è infondato, dovendosi ritenere che le pronunce citate non avessero un carattere vincolante per il giudice disciplinare di rinvio, il quale rimaneva libero sia di valutare l’ammissibilità e necessità delle prove richieste dall’incolpato (come in realtà ha fatto in relazione alla suddetta prova testimoniale, come si dirà meglio in seguito), sia di acquisire nuovi mezzi istruttori in virtù del suo potere discrezionale, espressamente riconosciuto dalla sentenza n. 2547 del 2011.

3. In ordine logico, il Collegio ritiene di esaminare a questo punto il settimo, l’ottavo e il nono motivo, accomunati dal fatto di attenere anch’essi – come il primo e il secondo – a violazioni di carattere procedimentale, consistite, ad avviso del ricorrente, nell’avere la Sezione disciplinare omesso di pronunciare su motivi del precedente ricorso per cassazione dichiarati assorbiti dalla sentenza delle Sezioni unite da ultimo citata.

In particolare, il settimo motivo concerne la questione della omessa dichiarazione di non colpevolezza e della omessa assoluzione del ricorrente in relazione ad addebiti disciplinari ormai definitivamente esclusi.

L’ottavo motivo si riferisce agli allora dedotti vizi di motivazione in ordine alla sussistenza degli illeciti disciplinari relativi alle frequentazioni ed agli acquisti del P., peraltro in contrasto con gli accertamenti effettuati in sede penale.

Con il nono motivo, infine, è dedotta l’omessa pronuncia sulla questione attinente alla violazione del diritto alla prova, avendo la Sezione disciplinare nuovamente respinto tutte le istanze istruttorie (prove testimoniali) formulate dall’incolpato, in violazione del dictum delle Sezioni unite.

I motivi sono infondati.

Deve ritenersi, infatti, che la Sezione disciplinare abbia, esplicitamente o implicitamente, esaminato le indicate questioni, salva la valutazione, che verrà effettuata in sede di scrutinio dei restanti motivi di ricorso, della legittimità della decisione adottata.

4.1. Con il terzo, quarto, quinto e sesto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha esaminato e valutato i singoli capi di incolpazione ascrittigli.

In particolare, e in sintesi:

a) quanto al secondo episodio di cui al capo B (acquisto di orologio, risultato rubato, dal cognato), denuncia che la Sezione disciplinare ha basato l’accertamento su una sentenza penale emessa nei confronti di altri soggetti; non ha ammesso la prova testimoniale dell’ A. richiesta dall’incolpato; ha preso, invece, in esame documentazione nuova inutilizzabile (dichiarazioni rese dallo stesso A. nella fase delle indagini penali), o non pertinente (denuncia-querela presentata dal medesimo nel 2011); ha illegittimamente ravvisato nella condotta del ricorrente il reato di incauto acquisto di cui all’art. 712 cod. pen.;

b) in ordine ai capi C e D prima parte (relativi, rispettivamente, ad acquisti e vendite, a prezzi di favore, di numerose autovetture presso vari concessionari, e ad acquisti di vestiti presso una ditta), il ricorrente osserva che il Giudice disciplinare ha considerato fatti e comportamenti il cui esame era precluso dal giudicato penale o dal giudicato interno disciplinare;

c) quanto al capo E (svolgimento di attività di finanziatore e socio occulto del geometra B. per la ristrutturazione di un immobile e successiva fittizia intestazione del bene), viene censurato anche in questo caso l’esame di fatti preclusi o nuovi;

d) anche, infine, in riferimento al capo G (conferimento di numerosissimi incarichi di consulente tecnico d’ufficio a due geometri, tra i quali il citato B.), si formulano, in sostanza, le stesse doglianze già indicate nel punto precedente.

4.2. Con il decimo motivo, il ricorrente contesta l’omessa valutazione dell’elemento soggettivo degli illeciti disciplinari addebitatigli (anche sotto il profilo della mancata ammissione delle prove testimoniali da lui richieste al riguardo), nonostante la" Sezioni unite avessero affermato, nella sentenza n. 2547 del 2011, l’ineludibilità dell’esame della natura e dell’intensità dell’elemento psicologico delle condotte, con specifico riferimento al fine perseguito, non essendo sufficiente, di per sè, la mera spendita della qualifica di magistrato per determinare una sanzione disciplinare.

4.3. L’undicesimo motivo attiene alla valutazione della professionalità dell’incolpato: questi denuncia che la Sezione disciplinare ha compiuto sul punto un’indagine lacunosa e contraddittoria, basata esclusivamente sul parere del Consiglio giudiziario di Venezia (e non anche su altri documenti rilevanti, quali il precedente parere del Consiglio giudiziario di Napoli e il rapporto del Pretore dirigente la Pretura circondariale di Vicenza), senza tenere in adeguata considerazione che le critiche contenute in tale parere erano state ritenute prive di fondamento dal Consiglio superiore della magistratura.

4.4. Infine, con i motivi dodicesimo e tredicesimo, il ricorrente affronta il tema della determinazione della sanzione e denuncia vizio di motivazione della sentenza e violazione, fra l’altro, dell’art. 384 cod. proc. civ..

In particolare, sulla base dei rilievi già esposti nei motivi precedenti, censura il fatto che il giudice disciplinare (incorrendo nei medesimi vizi per i quali era stata cassata la sentenza n. 94 del 2010) ha omesso di motivare, o ha insufficientemente motivato, in ordine agli elementi essenziali della fattispecie, costituiti dai necessari parametri di riferimento (gravità dei fatti in rapporto alla loro portata oggettiva, elemento psicologico della condotta, professionalità) che avrebbe dovuto considerare e valutare in concreto al fine di adottare una sanzione proporzionata agli illeciti contestati.

Aggiunge che la Sezione disciplinare ha nuovamente irrogato la sanzione della rimozione nonostante che la sentenza delle Sezioni unite n. 17903 del 2009, a seguito del notevole ridimensionamento degli illeciti, avesse sottolineato che "l’accoglimento di plurime censure con riferimento a vari capi di incolpazione incide anche sulle valutazioni conclusive della sentenza sul rilievo complessivo delle violazioni e sulla scelta della sanzione"; e nonostante che la successiva sentenza n. 2547 del 2011 avesse, ancor più esplicitamente, rilevato che "il quadro disciplinare a carico del Dott. P. è oggettivamente inferiore e meno rilevante rispetto alla decisione disciplinare precedentemente assunta", con conseguente necessità di "rendere proporzionata a detto quadro disciplinare attuale la sanzione da irrogare".

5. Ai fini dell’esame dei motivi elencati nei paragrafi da 4.1. a 4.4. – da svolgere congiuntamente essendo legati da un vincolo di connessione e di consequenzialità -, è necessario innanzitutto precisare nuovamente, ed analiticamente, quale fosse il complesso degli illeciti disciplinari originariamente contestati al P. e qual è quello residuato, onde effettuare un raffronto tra il quadro degli addebiti che indusse la Sezione disciplinare, nel 2008, alla irrogazione della sanzione della rimozione e la situazione in base alla quale è stata nuovamente inflitta tale sanzione.

– Dei due illeciti ascritti al capo B, il primo – "con l’apparente motivazione di collezionare orologi di pregio, senza pagarne il relativo valore, pretendeva e tratteneva un orologio Breitling, modello Giro d’Italia, di Pi.Pi.Pa., con cui tratteneva intensi rapporti, anche di affari per la vendita di un’auto e per l’attività di antiquario" – è del tutto venuto meno poichè la relativa affermazione di responsabilità contenuta nella prima sentenza disciplinare è stata annullata dalle Sezioni unite con la sentenza n. 17903 del 2009, in quanto il fatto risultava smentito dal giudicato penale; quanto al secondo episodio – "acquistava dal "mercato parallelo" tramite il cognato A. V. un orologio Rolex mod. O.P. DATE, risultato rubato in un’orologeria di Pontedera" – le S.U. ritenevano necessaria una specifica motivazione sull’accertamento del fatto, potendo trarsi dalla sentenza penale, priva di efficacia vincolante in quanto riferita ad altri soggetti, solo elementi indiziali.

– Il capo C risulta nel suo complesso confermato, pur dovendosi evidenziare che, in base ai rilievi delle S.U., vanno espunti i seguenti profili: a) la "finalità di scaricarsi l’IVA", indicata nella sentenza disciplinare, ma non compresa nel capo di incolpazione; b) il mantenimento di un "intenso giro di assegni", giustamente lasciato cadere dal giudice disciplinare in quanto non avente riscontro nel giudicato penale; c) l’aver fatto da testimonial per le vendite, dovendo l’uso di detto termine essere interpretato nel senso che gli sconti e le facilitazioni ottenuti dall’incolpato erano collegati alla posizione di spicco inerente alla qualifica rivestita nel relativamente piccolo ambiente sociale nel quale egli operava, e non certo con riferimento alla stipulazione di un particolare contratto o di specifiche clausole fonti di obblighi.

– In ordine al capo D, mentre è pienamente confermato il primo addebito, relativo all’acquisto di capi di vestiario presso una ditta con sconti e facilitazioni – nella concessione dei quali, hanno rilevato le S.U., "ha giocato un ruolo determinante la vantata qualità (professionale) del P. unitamente alle sue insistenze" -, è caduto il secondo illecito, concernente la "fornitura di serramenti, porte e scale interne", sempre con sconti ed agevolazioni, per la sua casa in ristrutturazione, "servendosi dell’intermediazione dei geometri B. e M. – che compensava con abnormi nomine a C.T.U."; le Sezioni unite hanno escluso, in base alla sentenza penale, lo sfruttamento da parte del P. della qualità di magistrato per ottenere un trattamento di favore nella vicenda ed hanno rilevato che anche il compenso dei geometri mediante il conferimento di incarichi era stato giustamente lasciato cadere dalla stessa Sezione disciplinare, in quanto non sorretto dal giudicato penale.

– Riguardo al capo E ("fungeva da finanziatore e socio occulto del geom. B. per la ristrutturazione di una casa ad opera dell’impresa Alba e consentiva la sua fittizia intestazione"), va rilevato che lo stesso risulta ampiamente ridimensionato. Le Sezioni unite hanno osservato che le qualificazioni rinvenibili nella sentenza penale (attività "imprenditoriale", veste di "socio"), oltre a non essere adoperate nella sentenza penale in modo strettamente tecnico, non erano direttamente rilevanti ai fini del decidere e non integravano accertamenti di fatti materiali o storici, e quindi non spiegavano efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare. Occorreva, pertanto, un nuovo accertamento su tali punti (in base ai requisiti di cui agli artt. 2082 e 2247 cod. civ.), anche ai fini dell’applicabilità del divieto di "esercitare industrie o commerci" di cui al R.D. n. 12 del 1941, art. 16, comma 1, (ora richiamato dal D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3), la cui dizione presuppone lo svolgimento professionale di tali attività, "mentre singole operazioni commerciali, anche con finalità speculativa, non possono di per sè ed in genere ritenersi vietate al magistrato".

Inoltre, è caduto l’addebito della fittizia intestazione dell’immobile ad un’impresa, non valorizzato dalla sentenza disciplinare e "stante la mancanza di impugnazione incidentale" sul punto (v. S.U., sent. cit.).

– Infine, quanto al capo G ("nominava, nell’esercizio delle funzioni, consulente tecnico d’ufficio il geom. B. per 96 volte – a detta dello stesso B. una volta al mese per dieci anni ed il geom.

M. per 49 volte, che contestualmente utilizzava per le sue attività private"), deve ritenersi caduto in quanto in contrasto con il giudicato penale – come rilevato dalle Sezioni unite -, l’addebito secondo cui l’elevato numero di incarichi fosse determinato da un favoritismo dipendente dai contestuali rapporti di affari tra l’incolpato e i consulenti.

6. Alla stregua di quanto rilevato nel paragrafo precedente, i motivi in esame devono ritenersi fondati nei limiti e nei sensi di cui alle considerazioni che seguono.

E’ innegabile che la "materia" oggetto dei capi di incolpazione del procedimento disciplinare a carico del P. ha subito, a seguito dell’intervento delle Sezioni unite del 2009, una riduzione che, sia sul piano quantitativo, sia soprattutto su quello qualitativo, deve escludersi che possa ritenersi di scarso rilievo. Basti sottolineare, in particolare, fra quanto detto sopra, da un lato che l’illecito di cui al capo E, il quale si basa essenzialmente sulla violazione del divieto di cui al R.D. n. 12 del 1941, art. 16, comma 1, si è quasi svuotato di contenuto; dall’altro, che l’addebito di cui al capo G ha perso la sua connotazione più grave, cioè il fatto che l’elevato numero di incarichi di consulenza affidati alle stesse persone avesse finalità "premiali" legate a rapporti personali di affari (v., sul punto, anche il secondo illecito del capo D, come detto venuto meno).

Alla luce di tutto ciò, la sentenza impugnata, nell’irrogare nuovamente la sanzione della rimozione, si rivela incongrua, sotto il profilo della motivazione che la sorregge, rispetto all’entità attuale del "carico" disciplinare pendente in capo al P..

Prescindendo da aspetti relativi all’accertamento dei singoli addebiti (va esente da censure, ad esempio, contrariamente a quanto eccepisce il ricorrente, l’aver ricondotto, in via incidentale, l’acquisto del Rolex alla fattispecie del reato di incauto acquisto;

è fondata, invece, la doglianza concernente l’aver ulteriormente considerato un’attività – aver fatto da testimonial per le vendite di autovetture – da ritenere esclusa), ciò che, in ogni caso, appare al Collegio evidente è l’illogicità della motivazione della Sezione disciplinare – nella sentenza impugnata così come già nella precedente sentenza n. 94 del 2010 – sul punto, fondamentale, della proporzionalità della sanzione prescelta, intesa come adeguatezza alla concreta fattispecie disciplinare, espressione del principio di proporzione che è alla base della razionalità che domina il principio di eguaglianza (Corte cost. sent. n. 971 del 1988).

Costituisce, infatti, principio consolidato della giurisprudenza di queste Sezioni unite quello in virtù del quale la scelta della sanzione da applicare va effettuata, da parte della Sezione disciplinare del CSM, non già in astratto, ma con specifico riferimento a tutte le circostanze del caso concreto, ed implica un vero e proprio giudizio di proporzionalità tra il fatto addebitato e la sanzione che deve essere irrogata; a tal fine devono formare oggetto di valutazione la gravità dei fatti in rapporto alla loro portata oggetti va, la natura e l’intensità dell’elemento psicologico nel comportamento contestato unitamente ai motivi che l’hanno ispirato e, infine, la personalità dell’incolpato, in relazione, soprattutto, alla sua pregressa attività professionale e agli eventuali precedenti disciplinari; tale valutazione deve essere particolarmente approfondita qualora la scelta si rivolga alla più grave delle sanzioni (la destituzione, ora rimozione), sul presupposto che l’illecito contestato al magistrato sia di tale entità che ogni altra sanzione risulti insufficiente alla tutela di quei valori che la legge intende perseguire – con riferimento a qualsiasi comportamento posto in essere "in ufficio o fuori" (R.D.Lgs. n. 511 del 1946, art. 18) – e che sono costituiti dalla fiducia e dalla considerazione di cui il magistrato deve godere nonchè dal prestigio dell’Ordine giudiziario (Cass., Sez. un., nn. 15399 del 2003, 23778 del 2010).

7. Sono, infine, inidonei ad indurre a diversa conclusione gli ulteriori rilievi contenuti nella sentenza impugnata, attinenti alla pregressa attività professionale dell’incolpato.

Da un lato, infatti, la circostanza di aver già subito, nel 2003, una condanna alla sanzione della censura (peraltro, per un comportamento di natura del tutto diversa rispetto a quelli ora in esame) è elemento certamente rilevante ai fini valutativi, ma appare altrettanto evidentemente insufficiente a superare il vizio di fondo della sentenza, sopra esposto.

Dall’altro, il richiamo al parere negativo per la nomina a magistrato di corte di appello, espresso nel 1998 dal Consiglio giudiziario di Venezia, si rivela sostanzialmente ininfluente – e quindi inidoneo a corroborare la motivazione – nel momento in cui tale parere, come ampiamente la stessa sentenza riporta, venne poi disatteso dal Consiglio superiore della magistratura (il quale ritenne che i dati negativi indicati nel parere fossero o non verificati o di rilevanza non decisiva, a fronte degli elementi favorevoli emersi invece in ordine alla professionalità del P.).

8. In definitiva, la sentenza impugnata ha confermato la sanzione massima, ritenendo "impossibile al Dott. P. recuperare nella collettività la fiducia e la considerazione necessarie per riprendere l’esercizio delle funzioni giurisdizionali", sulla base di una valutazione di proporzionalità tra la gravità, sul piano oggettivo e soggettivo, dei fatti addebitati e la sanzione medesima che si rivela inadeguata e incoerente, tanto più alla luce dei rilievi formulati dalle Sezioni unite sia nella sentenza n. 17903 del 2009, sia, più incisivamente, nella sentenza n. 2547 del 2011 (con la quale, come detto sopra, il giudice di rinvio era stato espressamente sollecitato a "rendere proporzionata" la sanzione all’attuale quadro disciplinare).

Ne consegue che i motivi di ricorso sopra riferiti nei paragrafi da 4.1. a 4.4. vanno accolti nei limiti di cui alle esposte considerazioni; la sentenza impugnata deve essere cassata entro tali limiti, con rinvio del procedimento, per nuovo esame, alla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura in diversa composizione.

9. Si ravvisano giusti motivi, in considerazione delle ragioni della decisione, per disporre la compensazione delle spese di questo giudizio.
P.Q.M.

La Corte, a sezioni unite, accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia il procedimento alla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura in diversa composizione.

Compensa le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 27 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 4 luglio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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