Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 07-06-2011) 13-12-2011, n. 46025 Lesioni colpose

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Ricorre per cassazione, tramite il difensore, C.G. avverso la sentenza emessa in data 23 marzo 2010 dal Giudice di pace di Assisi con la quale il prevenuto veniva assolto dal delitto di cui all’art. 590 cod. pen., con la formula: "perchè il fatto non costituisce reato". Al predetto si addebitava di aver cagionato a C.M., in (OMISSIS), lesioni personali giudicate guaribili in giorni quarantacinque, avendo omesso per colpa generica di controllare il proprio cane che, avvicinandosi alla donna ed aggredendola, ne aveva provocato la caduta a terra;

donde le lesioni da costei patite.

Ha ritenuto il Giudice di pace il difetto di prova della sussistenza del reato, non essendo possibile far risalire al comportamento del cane dell’imputato la causa della caduta della donna, trattandosi di cane di piccola taglia, di soli sei mesi e di quattro chilogrammi di peso complessivo. Peraltro si era accertato che la zona era spesso frequentata da cani randagi. Nè poteva escludersi che la caduta della donna – impedita nei movimenti dalla valigia, dagli indumenti e da altri oggetti pesanti che portava con sè mentre si recava alla stazione ferroviaria – fosse stata provocata dalle sconnessioni dalla strada e dalla presenza di un pozzetto. Denunzia il ricorrente la violazione dell’art. 606 cod. proc. pen., lett. b) e lett. e) in relazione al disposto dell’art. 530, comma 1 e art. 192 cod. proc. pen., in cui sarebbe incorso il Primo Giudice non avendo adottato, nei confronti dell’imputato, una corretta formula di assoluzione completamente liberatoria (perchè il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto) giacchè la stessa motivazione della sentenza dava invero adeguatamente conto del difetto di prova in ordine alla sussistenza del reato ascritto al C. laddove invece la formula di assoluzione meno favorevole prescelta,presupporrebbe il difetto di uno degli elementi necessari e sufficienti a costituire la fattispecie di reato contestata, quale l’elemento psicologico del reato, ferma, tuttavia, la sussistenza di quello oggettivo.

Conclude quindi il difensore per l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata od in subordine per l’annullamento della stessa sentenza con ogni ulteriore determinazione evidenziando la diversa valenza che assumerebbe la formula di assoluzione pienamente liberatoria (rispetto a quella in concreto adottata) nel giudizio civile di risarcimento del danno promosso, per lo stesso fatto, dalla danneggiata nei confronti dell’imputato e già pendente dinanzi al Tribunale di Perugia – Sezione staccata di Assisi.
Motivi della decisione

Il ricorso deve esser giudicato inammissibile.

L’imputato risulta in realtà privo di interesse ad ottenere la mera sostituzione della formula di assoluzione "perchè il fatto non costituisce reato" con quelle "perchè il fatto non sussiste" o "per non aver commesso il fatto", che il Giudice di prime cure avrebbe dovuto adottare coerentemente con la motivazione della sentenza impugnata. Con questa ha invero dedotto l’insussistenza degli elementi costitutivi di natura oggettiva del reato (la condotta, l’evento o il nesso di causalità), ritenendo escluso il verificarsi di un fatto storico conforme alla fattispecie incriminatrice, ascritta all’imputato ovvero ha quantomeno assunto l’impossibilità, nella sostanza, di attribuirne la commissione all’imputato attesa la mancanza di prove di un suo diretto coinvolgimento.

Ora va detto che in linea di principio, come affermato dalle Sezioni Unite penali di questa Corte con la sentenza n. 40049 del 2008, l’interesse all’impugnazione, di cui all’art. 568 cod. proc. pen., comma 4, non può consistere nella "mera aspirazione alla correzione di un errore di diritto contenuto nella sentenza impugnata" pur essendo pacifico che, in caso di impugnazione della pronunzia di proscioglimento ad iniziativa dell’imputato, a "quanto osservato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 85 del 2008, le uniche decisioni totalmente assolutorie sono quelle pronunciate con le formule "il fatto non sussiste" e "l’imputato non lo ha commesso", mentre tutte le altre formule di assoluzione comportano, con forme e gradazioni diverse, un riconoscimento della responsabilità dell’imputato o comunque l’attribuzione del fatto allo stesso, e quindi, sebbene non applichino una pena, sono sicuramente idonee ad arrecare ugualmente all’imputato significativi pregiudizi di ordine sia morale sia giuridico.

Ora l’art. 652 cod. proc. pen., stabilisce che, in presenza di sentenza irrevocabile di proscioglimento pronunziata a seguito di dibattimento in procedimento penale nel quale il danneggiato si sia costituito o sia stato posto in condizione di costituirsi parte civile, la decisione abbia efficacia di giudicato nel giudizio civile di risarcimento del danno promosso dal danneggiato "quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso" e quindi solo relativamente a questi accertamenti. Ne discende, come ancora insegnano le Sezioni Unite di questa Corte, Che "la sentenza di assoluzione è idonea a produrre gli effetti di giudicato ivi indicati non in relazione alla formula utilizzata, bensì solo in quanto contenga, in termini categorici, un effettivo e positivo accertamento circa l’insussistenza del fatto o l’impossibilità di attribuirlo all’imputato. La formula utilizzata di per sè non è perciò decisiva perchè, al di là di essa, l’effetto di giudicato è collegato al concreto effettivo accertamento dell’esistenza di una di queste ipotesi." Tant’ è vero che – precisa la motivazione della citata sentenza – "secondo la giurisprudenza delle sezioni civili di questa Corte, al fine di stabilire l’incidenza del giudicato penale nel giudizio di danno, il giudice civile non può limitarsi alla rilevazione della formula utilizzata, ma deve tenere conto anche della motivazione della sentenza penale per individuare la effettiva ragione dell’assoluzione dell’imputato, eventualmente anche prescindendo dalla formula contenuta nel dispositivo, ove tecnicamente non corretta (Cass. civ., Sez. L., 9 marzo 2004, n. 4775, m. 570909; Sez. 3, 20 maggio 1987, n. 4622, m. 453292; Sez. 1, 12 novembre 1985, n. 5523, m. 442726; Sez. 3, 11 gennaio 1969, n. 47, m. 337873)." Ne consegue quindi – non intendendo il Collegio discostarsi dal richiamato insegnamento – che, in linea di principio, deve aversi normalmente riguardo alla motivazione e non al dispositivo. Ed è quindi demandato al giudice civile accertare, previa interpretazione del giudicato penale sulla base della motivazione della sentenza, se, a prescindere dalla formula di proscioglimento adottata dal giudice penale, risulti statuita l’esclusione della responsabilità dell’imputato e pertanto stabilire se l’azione civile sia preclusa o meno. Nel caso di specie, qualora l’imputato convenuto nel giudizio civile di risarcimento del danno promosso dalla danneggiata nei suoi confronti intenda giovarsi della pronunzia penale assolutoria, il giudice civile dovrà, com’è ovvio, preliminarmente accertare la ricorrenza in concreto dei requisiti cui l’art. 652 c.p., subordina l’efficacia della sentenza penale di assoluzione divenuta irrevocabile nei confronti del danneggiato non costituito parte civile,essendo comunque pacifico che alla motivazione della sentenza impugnata avrebbe dovuto far seguito l’assoluzione dell’imputato con ampia formula liberatoria. L’accoglimento del ricorso – sostanzialmente finalizzato alla sostituzione della formula utilizzata "perchè il fatto non costituisce reato" con quella "perchè il fatto non sussiste" – si risolverebbe, in questa sede, in una mera declaratoria sulla esattezza teorica della decisione impugnata, senza determinare alcun effetto pratico a favore del ricorrente, nei cui confronti resterebbe comunque fermo e farebbe stato l’accertamento che il fatto non sussiste e che non fu da lui commesso.

L’interesse invocato a fondamento del ricorso è perciò privo di qualsiasi concretezza.

Alla declaratoria di inammissibilità non deve seguire ex art. 616 cod. proc. pen. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e tantomeno della sanzione pecuniaria in favore della cassa per le ammende, non avendo egli versato in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità del ricorso (cfr.

Corte cost. n. 186/2000).
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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