Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 07-06-2011) 13-12-2011, n. 46022 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Ricorre personalmente per cassazione, P.G. avverso la sentenza emessa in data 11 marzo 2010 dalla Corte d’appello di Catanzaro a conferma della sentenza pronunziata l’8 luglio 2009 dal Tribunale di Castrovillari con la quale era stato condannato, concesse le attenuanti generiche e ritenuta la continuazione, alla pena di anni QUATTRO, mesi SEI di reclusione ed Euro 24.000 di multa quale responsabile del delitto di cui al capo A della rubrica, di spaccio continuato, in concorso con altri imputati giudicati separatamente, di sostanze stupefacenti tipo eroina e cocaina, commesso in (OMISSIS), fino dall’anno 2006, con condotta in seguito non interrotta.

La Corte d’appello, nel richiamarsi direttamente all’esaustiva motivazione della sentenza di primo grado, ha in particolare messo in rilievo che, sulla base di una preliminare e continuativa attività di osservazione svolta dai Carabinieri nel corso del mese di aprile 2008,con l’ausilio anche di riprese video, era stato possibile accertare il succedersi di una serie di cessioni di sostanze stupefacenti avvenute in frazione Doria di Cassano allo Ionio, nella piazza Roma, antistante l’esercizio bar – tabaccheria gestito dall’imputato. A titolo di riscontro dell’affermata colpevolezza del prevenuto, hanno evidenziato i Giudici di merito l’esito positivo sia delle perquisizioni personali cui erano stati sottoposti i diversi acquirenti (subito identificati) nell’immediatezza delle cessioni osservate dalla P.G. sia del sequestro di cospicui quantitativi di eroina e di cocaina occultati sotto una mattonella nei pressi di un’aiuola della piazza antistante il pubblico esercizio nonchè all’interno di un recinto adiacente all’edificio delle case popolari ove era ubicata l’abitazione dell’imputato P.G., nel luogo ove stazionava il cane allo stesso appartenente; ciò grazie a quanto rivelato ai Carabinieri da G.S.C., poi deceduto. Si era trattato, in tal caso, del rinvenimento di quattro contenitori in plastica dello stesso tipo di quelli ritrovati nell’abitazione della madre dell’imputato, al cui interno erano custoditi n. 135 involucri contenenti cocaina ed eroina nonchè gr.

53 di cocaina già confezionata in dosi.

In più occasioni i militi avevano peraltro veduto i coimputati del P. (anch’essi identificati e giudicati separatamente) provvederà direttamente alla consegna dello stupefacente, dopo esser entrati ed usciti dal bar. In una specifica occasione i Carabinieri avevano veduto l’imputato sia cedere, in cambio di banconote arrotolate, un piccolo involucro di colore bianco ad un soggetto giunto nei pressi del bar e rimasto in attesa sia, in altre circostanze, intrattenersi con diversi acquirenti ai quali, impartite le opportune istruzioni ai correi all’interno del bar, aveva poi, per tramite di costoro, procurato la sostanza stupefacente.

Con la prima censura. denunzia l’imputato l’inosservanza dell’art. 125, comma 3, art. 192, comma 1, art. 533 cod. proc. pen., nonchè vizi di mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, anche per travisamento della prova in ordine all’affermazione della propria responsabilità penale quanto al delitto sub A. Ad avviso del ricorrente,il materiale probatorio raccolto avrebbe escluso che all’imputato potessero ascriversi condotte materiali di spaccio di sostanze stupefacenti, pur nell’ambito del contestato concorso di persone nel reato (tanto più che lo stesso, nell’anno 2006, non era il gestore dell’esercizio). Nè erano state individuati dai giudici di merito specifici comportamenti dell’imputato atti ad integrare l’imprescindibile contributo causale fornito ai correi nell’attività di spaccio, non avendo trovato alcun conforto l’accusa del G.S.C. (poi deceduto) secondo il quale il P. era colui che " gesti va lo spaccio di droga". Avrebbero inoltre erroneamente attribuito i giudici la valenza di "riscontro" dell’accusa al sequestro di droga avvenuto in data 11 novembre 2008 (di cui al relativo verbale tuttavia inutilizzabile perchè acquisito dopo la chiusura del dibattimento e senza consenso dell’imputato) attesochè a tanto si era proceduto sette mesi dopo le dichiarazioni dell’accusatore G., in difetto peraltro di qualsivoglia relazione tra l’imputato (che dimorava in tutt’altra abitazione e che non era proprietario del cane presso il quale lo stesso era stato effettuato) ed il luogo di esecuzione del sequestro stesso. La Corte d’appello avrebbe inoltre completamente travisato le risultanze dibattimentali nell’ottica di dimostrare la sussistenza della correità del prevenuto nell’attività di spaccio. Dalle deposizioni dei Carabinieri operanti e dalle riprese video era infatti emerso che la droga veniva nascosta nella piazza, nelle aiuole o sotto alcune pietre e che veniva poi reperita da giovani in luogo rimasto ignoto.

Nessun elemento concreto di riscontro era stato acquisito circa il fatto che i giovani, incaricati della materiale esecuzione delle cessioni, provvedessero poi, una volta rientrati nel bar, a depositarvi il danaro incassato avendo riferito gli stessi testi d’accusa ovverosia gli stessi Carabinieri (e non solo i diversi acquirenti escussi in dibattimento) di aver veduto lo spacciatore agire sulla piazza, all’esterno del bar.

Non essendo state eseguite riprese all’interno del bar e tenuto conto delle richiamate dichiarazioni testimoniali, avrebbe dovuto giudicarsi del tutto illogica l’ipotesi accusatoria secondo cui, anche se gli acquirenti si fossero recati all’interno del bar per prendere contatti con gli spacciatori, le materiali cessioni si sarebbero poi perfezionate all’esterno "sotto gli occhi di tutti". La Corte d’appello sarebbe quindi giunta alla conferma dell’affermazione di condanna dell’imputato avendo del tutto obliterato quanto dedotto nei motivi di gravame proposti avverso la sentenza di primo grado.

Con il secondo motivo di gravame lamenta il ricorrente, quale violazione prevista dall’art. 603 c.p.p., comma 1, lett. d), la mancata assunzione, in sede di parziale rinnovazione del dibattimento, della testimonianza di G.D., fratello del defunto G.S.C. già richiesta ex art. 603 cod. proc. pen. con i motivi nuovi d’appello con i quali la difesa aveva sottolineato l’importanza e l’imprescindibilità della nuova prova ex se idonea a condurre ad una diversa ricostruzione della fattispecie concreta.

Con motivi aggiunti depositati in data 12 gennaio 2011,nel richiamare quanto esposto con il ricorso, il difensore dell’imputato ha evidenziato il difetto della sussistenza della prova della colpevolezza del P. al di là di ogni ragionevole dubbio, non risultando minimamente provato che lo stesso avesse messo a disposizione i locali adibiti a bar ai fini dello spaccio di sostanze stupefacenti.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e deve quindi esser respinto con il conseguente onere a carico del ricorrente del pagamento delle spese processuali, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen..

L’impugnata sentenza appare invero del tutto immune dalle censure lamentate dall’imputato con il primo motivo di ricorso. Fermo il legittimo e corretto richiamo per relationem alla motivazione della sentenza di primo grado – giudicata dalla Corte distrettuale "logica ed esauriente" – la stessa è poi pervenuta ad affermare la penale responsabilità del P. in ordine al reato ascrittogli, all’esito di una valutazione – del pari logica, congrua ed esaustiva – delle copiose risultanze emerse dall’istruttoria espletata dal Tribunale come analiticamente riportate da foglio n. 3 a foglio n. 7 in relazione, con specifico riferimento all’attività di osservazione e controllo eseguita dai Carabinieri nei giorni 7, 8, 14 e 22 aprile 2008 – allorchè il P. risultava pacificamente gestore del bar – tabaccheria ubicato nella piazza (OMISSIS) – sul cui esito ebbero gli stessi operanti a deporre, in veste di testimoni, avuto altresì riguardo ai sequestri di sostanza stupefacente detenuta dagli acquirenti ovvero di altri quantitativi rinvenuti nella stessa piazza in prossimità del citato esercizio pubblico; attività peraltro documentata anche da riprese video. A detto iter argomentativo seguito dalla Corte d’appello di Catanzaro (di cui da esaustivamente conto la parte motiva della sentenza impugnata) si è già detto succintamente in parte narrativa, alla quale si fa rinvio, ad evitare inutili ripetizioni.

A sottolineare conclusivamente la sostanziale correttezza del percorso motivazionale adottato dalla Corte distrettuale (ad onta delle infondate critiche del ricorrente che, con assunti quasi al limite dell’inammissibilità, intenderebbe sovrapporre, attraverso la deduzione dei riferiti vizi motivazionali, una propria valutazione delle medesime emergenze probatorie in termini alternativi a quella ritenuta dai Giudici di merito) osserva il Collegio che, come perspicuamente affermato nella sentenza emessa in grado d’appello, il diretto coinvolgimento del P. nell’attività di spaccio a titolo di contributo causale fattivo ed efficiente era desumibile dal fatto che il prevenuto – come pacificamente acclarato – quale gestore dell’esercizio pubblico de quo all’epoca dell’espletata attività investigativa, intratteneva continui contatti, oltrechè con il fratello Salvatore, con i coimputati: P.S., C.A., C.A. e S.A. (giudicati tutti separatamente in ordine agli stessi fatti, previa applicazione della pena a norma dell’art. 444 cod. proc. pen.) incaricati di intrattenere contatti, per l’intera giornata e fino alla sera, con gli acquirenti dinanzi al suddetto bar – tabaccheria, ai fini del perfezionamento delle cessioni della sostanza stupefacente,custodita nelle immediate vicinanze (o sotto la pavimentazione della piazza ovvero nel terminale di una grondaia di una parete laterale del bar oppure vicino alla porta di servizio dello stesso bar od altrove), come dimostrato dall’esito delle perquisizioni personali o locali, dopo esser "continuamente" usciti ed entrati dal locale pubblico. Ad ulteriore suffragio della prospettazione accusatone, ha puntualmente richiamato la Corte distrettuale le dichiarazioni accusatorie rese da G.S.C. ai Carabinieri (pacificamente utilizzabili ex art. 512 c.p.p., essendo il teste deceduto prima del dibattimento di primo grado) che, quale inveterato assuntore di cocaina, era solito acquistare quantitativi della stessa sostanza da molti anni, da C.A. (correo del P.) nei pressi dell’esercizio pubblico da costui gestito. Il dichiarante aveva indicato nell’attuale ricorrente colui che gestiva l’intero commercio della droga, rivelando peraltro agli inquirenti che il maggior quantitativo di sostanza stupefacente veniva nascosta dagli spacciatori dietro l’ultima palazzina delle case popolari ove, nei pressi dell’abitazione di P.G. personale della Squadra Mobile della Questura di Cosenza aveva effettivamente rinvenuto l’11 novembre 2008, gr. 53 circa di cocaina suddivisa in 135 involucri, come testè riferito.

Il secondo motivo di ricorso va giudicato inammissibile perchè manifestamente infondato. Il ricorrente sostanzialmente ripropone nella presente sede di legittimità la medesima censura già dedotta con i motivi nuovi d’appello, alla quale la Corte distrettuale aveva fornito puntuale risposta, sottolineando l’esuastività delle acquisizioni istruttorie in atti e quindi adeguandosi alla consolidata e prevalente giurisprudenza di legittimità secondo cui l’istituto della rinnovazione dibattimentale di cui all’art. 603 cod. proc. pen. ha natura assolutamente eccezionale; sicchè le valutazioni del giudice d’appello in ordine al diniego dell’accesso a detto stesso istituto costituiscono esercizio di poteri discrezionali, insindacabili dinanzi alla Corte di cassazione, qualora – come puntualmente verificatosi nel caso di specie – risultino sorrette da congrua motivazione.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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