Cass. civ. Sez. II, Sent., 05-07-2012, n. 11308 Difformità e vizi dell’opera

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Svolgimento del processo

Con sentenza in data 22.2.2000 il Tribunale di Rovereto rigettò, con il carico di tutte le spese, la domanda proposta il 16.11.95 dalla società Cartiere del Garda s.p.a nei confronti della società CAMU s.n.c., poi estesa contro la società XXe C. s.n.c., chiamata in causa dalla convenuta, di risarcimento ex art. 1668 c.c. dei danni cagionati a beni di proprietà dell’attrice, con conseguente blocco della produzione, da un anello guidafune difettoso istallato su un macchinario della medesima, assolvendo dalla pretesa la convenuta ed accogliendo le eccezioni di decadenza e prescrizione dell’azione di garanzia ai sensi dell’art. 1667 cod. civ., sollevate dalla chiamata in causa, pur risultata in concreto unica responsabile dell’evento.
Ma a seguito dell’appello della soccombente, cui avevano resistito entrambe le appellatela Corte di Trento, con sentenza del 7.8.01, in riforma di quella di primo grado, accolse la domanda dell’appellante attrice nei confronti della FAMA, ritenendo non estensibili alle azioni contrattuali diverse da quelle relative alla garanzia per vizi, i termini di cui all’art. 1667 c.c., condannando l’appellata convenuta al pagamento della somma di L. 92.357.404, con gli interessi legali dal 27.4.95, oltre al rimborso delle spese dei due gradi del giudizio, e compensò interamente tra l’attrice (così accogliendone l’unico capo di gravame) e la CAMU quelle del primo grado, analogamente regolando le spese del secondo.
All’esito dei ricorsi per cassazione proposti dalle soc. FAMA e CAMU, cui aveva resistito con controricorso contenente ricorso incidentale la soc. Cartiere del Garda, con sentenza n. 28417 del 25.11.04- 22.12.05, questa Corte, in accoglimento del primo e del secondo motivo del principale, assorbiti i rimanenti, rigettato il ricorso della CAMU e l’incidentale della Cartiere del Garda, cassò, in relazione alle censure accolte, la sentenza impugnata, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della corte trentina.
Con riferimento al primo motivo accolto, questa Corte enunciava il seguente principio di diritto: "l’azione di risarcimento del danno nel caso di colpa dell’appaltatore prevista dall’art. 1668 c.c., comma 1 in favore del committente è soggetta, al pari delle altre azioni costituenti il contenuto della garanzia per difetti dell’opera cui è tenuto l’appaltatore, al osservanza dei termini decadenza e prescrizione stabiliti dall’art. 1667 c.c.".
Quanto al secondo motivo accolto, veniva dichiarata la sussistenza del giudicato interno relativamente all’intervenuta prescrizione dell’azione di garanzia, sul rilievo che la duplice pronunzia reiettiva ex art. 1667 c.c. del primo giudice era stata appellata soltanto in punto di accoglimento dell’eccezione di decadenza, per mancata tempestività della denuncia dei vizi, e non anche nella parte in cui era stato ritenuto estinto il diritto per decorso del termine biennale.
Con atto notificato il 24.3.96 la FAMA riassumeva il giudizio, reiterando la richiesta di rigetto dell’appello e proponendo domanda di restituzione della somma di Euro 75.327, 96, oltre interessi e maggior anno, corrisposta in forza della cadudata sentenza di appello alla Cartiere del Garda.
Quest’ultima si costituiva, resistendo ad ogni richiesta avversa e proponendo eccezione di illegittimità costituzionale dei combinato disposto di cui all’art. 1667, comma 2 in rel. art. 1668 c.c., comma 1 così come interpretato nella citata pronunzia di legittimità, in relazione agli artt. 3 e 24 Cost..
Al giudizio di rinvio non partecipava la CAMU, in quanto non evocata dalle altre parti.
Con sentenza del 3/22.4.2008 la Corte di Trento, ritenuto il difetto di rilevanza della sollevata questione di costituzionalità, in considerazione del giudicato interno formatosi sulla questione della prescrizione e dichiarato da questa Corte, preso atto del principio di diritto enunciato dalla medesima, che non consentiva altre soluzioni della controversia, rigettava l’appello della società Cartiere del Garda nei confronti della FAMA, a favore della quale condannava la predetta alla restituzione della complessiva somma sopra indicata, percepita in virtù della sentenza cassata, con gli interessi legali, decorrenti dalle date dei relativi incontroversi pagamenti, effettuati in due soluzioni. A tal riguardo la corte trentina riteneva: a) la domanda ammissibile e non preclusa dalla novità, in quanto non esercitabile in precedenza e derivante dalla sentenza rescindente; b) che, operando la riforma ex tunc e non rilevando lo stato soggettivo dell’accipiens, tenuta a sopportare il rischio tutela giurisdizionale invocatagli interessi dovessero decorrere dalla data del pagamento; c) che, tuttavia, non competesse il richiesto maggior danno ex art. 1224 c.c., poichè dalla documentazione prodotta a sostegno, che rendeva superflua la prova orale anche richiesta, in particolare da quella bancaria (un conto scalare alla data del 31.3.02) era emersa una situazione di "larga capienza" alla data di versamento del primo acconto ed una successiva di "progressiva incapienza, non causalmente riferibile a detto pagamento".
La corte, infine, sulla base di articolata motivazione (di cui si dirà esaminando il quarto motivo del ricorso principale), dichiarava integralmente compensate le spese dei giudizi di appello, di cassazione e di rinvio tra le due parti superstiti.
Avverso la suddetta sentenza la società FAMA ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
Ha resistito la società Cartiere del Garda con controricorso, contenente ricorso incidentale su due motivi, il secondo dei quali condizionato, successivamente depositando una memoria illustrativa.

Motivi della decisione

I primi due motivi del ricorso principale, da esaminare congiuntamente per la stretta connessione, attengono alla reiezione della richiesta di condanna della società Cartiere del Garda al risarcimento del maggior danno, in aggiunta agli interessi legali sulle somme da rimborsare, che la società FAMA assume aver subito dai relativi esborsi, dichiarati poi non dovuti.
Si deduce, con il primo mezzo, violazione o falsa applicazione degli artt. 1223, 1224 e 2697 c.c., essenzialmente richiamando la giurisprudenza di legittimità espressa nella sentenza delle S.U. n. 19499/08, secondo cui tale danno sarebbe in via generale e presuntiva riconoscibile a qualunque creditore, dovendo ritenersi superata l’esigenza di inquadramento in una delle categorie a suo tempo individuate, in misura pari all’eventuale differenza, a decorrere alla data di insorgenza della mora, tra il tasso del rendimento medio annuo dei titoli di Stato di durata non superiore a dodici mesi o quello di inflazione ed il saggio degli interessi legali determinati per ogni anno ex art. 1284 c.c., comma 1, salvo prova di danno ancor superiore.
Con il secondo mezzo si sostiene, deducendo omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su fatto controverso e decisivo, che non sarebbe stata necessaria la prova, tanto meno in assenza di contestazioni della controparte, che la creditrice in restituzione avesse specificamente destinato il danaro ottenuto in mutuo dalla banca per pagare il suo (poi caducato) debito verso la controparte e si censura, per incomprensibilità logica la ratio decidendi, in narrativa menzionata, reiettiva della richiesta in questione.
Le censure non meritano accoglimento.
Il richiamo al principio enunciato dalle S.S.U.U. nella sentenza n. 19499/08 non risulta di concreto apporto alla tesi sostenuta, non risultando corredato dalla deduzione, neppure sotto il profilo della "notorietà" del relativo fenomeno economico, peraltro non costituente la regola, che nel periodo in considerazione, durante il quale la solvens è rimasta privata della liquidità corrispondente alla somma oggetto del pagamento (poi risultato non dovuto), il tasso medio di rendimento dei titoli di stato di durata non eccedente l’anno sia stato effettivamente superiore a quello dell’interesse legale, condizione quest’ultima che avrebbe consentito, secondo l’invocato principio, il riconoscimento del "maggior danno" in questione in via presuntiva5a prescindere dall’appartenenza della parte creditrice alla categoria imprenditoriale.
Per il resto i mezzi d’impugnazione, segnatamente il secondo, si risolvono nella deduzione di inammissibili censure in fatto, avverso l’apprezzamento espresso dal giudice di merito, che sulla base di incensurabile valutazione degli elementi desunti dall’esame della documentazione bancaria prodotta dalla parte istante, ha dato esaurientemente conto, con argomentazioni non illogiche, del suo convincimento, secondo cui nessun ulteriore danno, specificamente derivante dall’esborso in questione, la società odierna ricorrente aveva in concreto provato, atteso che la successiva incapienza del conto corrente bancario, cui la stessa dovette far fronte con un mutuo chirografario, era causalmente riferibile ad una esposizione debitoria di gran lunga superiore all’importo del pagamento de quo, in particolare a quello del secondo acconto, e dunque attribuibile ad altre ragioni economiche. Nè tale prova, che avrebbe dovuto riguardare il necessario rapporto di causalità tra il pregiudizio economico lamentato e l’indebito esborso, avrebbe potuto desumersi dal mero silenzio dell’avversa parte al riguardo, attenendo le circostanze in questione ad un elemento costitutivo della richiesta risarcitoria, correlato a circostanze estranee alla sfera di conoscibilità della controparte, in relazione alle quali non sarebbe stato ipotizzatale alcuna tacita ammissione della medesima.
Con il terzo motivo si deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e dell’art. 24 Cost., per avere il giudice di rinvio compensato integralmente le spese dei giudizi di appello, di cassazione e di rinvio nonostante la totale soccombenza della società Cartiere del Garda, sulla base di una "pseudo motivazione", così vanificando il diritto di difesa della deducente.
Con il quarto motivo si censura, in quanto omissiva, insufficiente o contraddittoria, la motivazione esposta dal giudice di rinvio a sostegno della suddetta statuizione.
Generici, in particolare, sarebbero il riferimento alla "natura della controversia" ed al relativo "punto di diritto", non essendone specificate le eventuali peculiarità, ed apodittica, in difetto di puntuale richiamo agli atti processuali versati dalla FAMA nel processo di secondo grado, l’affermazione secondo cui da parte di detta società sarebbe mancata la contestazione della propria responsabilità. Anche i suesposti motivi, da esaminare congiuntamente per la stretta connessione, sono infondati. Non sussiste, anzitutto, alcun malgoverno del principio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c., che per consolidata giurisprudenza di questa Corte può ritenersi violato soltanto nei casi in cui la parte totalmente vittoriosa sia condannatagli tutto o in parte, al pagamento delle spese processuali (v., tra le tante, Cass. nn. 20457/11, nn 24495/06), ipotesi chiaramente non ricorrente nel caso di specie.
Quanto alla compensazione delle spese ex art. 92 c.p.c., comma 2 per "altri giusti motivi" (diversi dalla reciproca della soccombenza), che per i giudizi instaurati anteriormente (come quello in questione, iniziato il 16.11.95) all’entrata in vigore della modifica apportata dalla L 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a)), peraltro, avrebbe potuto anche non essere esplicita, purchè desumibile dal complessivo contesto motivazionale della decisione (v.
tra le altre Cass. nn 24531/10, 17668/09, 6970/09, 20598/08, S.U. 17868/09), ove gli stessi siano indicati, risultino comprensibili e non siano palesemente illogicità relativa valutazione, costituendo esercizio di un potere discrezionale riservato al giudice di merito, non è sindacabile in sede di legittimità (v., ex plurimis 7523/09, 21841/07).
Nella specie tali ragioni non si esauriscono nella generica formula della "particolarità della decisione", risultando invece chiaramente esplicitate dal giudice di rinvio, il quale ha evidenziato come la controversia tra la società attrice e la chiamata in causa fosse stata decisa sulla base di questioni di diritto concernenti esclusivamente l’applicabilità dei termini di cui all’art. 1667 c.c., e come, in grado di appello, la seconda non avesse proposto, oltre a doglianze di carattere formale (nullità ed inopponibilità degli accertamenti peritali), specifiche censure di carattere sostanziale dirette a confutare nel merito l’affermazione, per l’erronea saldatura dell’anello guidafune, della propria esclusiva responsabilità da parte del primo giudice, che assolvendo radicalmente dalla pretesa risarcitoria la sola parte convenuta, aveva invece rigettato la domanda nei confronti della chiamata in causa, non per averla ritenuta esente da colpa, ma soltanto perchè la domanda era stata tardivamente proposta e non risultata preceduta da tempestiva denuncia ex art. 1667 c.c..
L’evidente natura equitativa delle surriferite argomentazioni, tanto più in assenza di espressi richiami da parte della ricorrente ad eventuali atti defensionali, versati in grado di appello, contenenti censure specificamente anche attinenti alla questione di merito suddetta, comportano dunque l’incensurabilità della motivazione esposta a fondamento dell’esercizio del potere di cui all’art. 92 c.p.c., comma 2, con conseguenti insussistenza della dedotta violazione o falsa applicazione della relativa disposizione ed inconferenza del generico richiamo all’art. 24 Cost., non risultando in qual modo siano state lese le garanzie difensive della deducente (v. Cass. n. 2397/08).
Passando all’esame del ricorso incidentale, ne va rigettato per manifesta infondatezza il primo motivo, con il quale si reitera l’eccezione di incostituzionalità del combinato disposto di cui agli artt. 1667 e 1668 c.c., così come ritenuti applicabili dalla sentenza n. 2841/05 pronunziata da questa Corte nell’ambito del processo, considerato che correttamente il giudice di rinvio ne ha ritenuto la non rilevanza agli effetti della decisione, in quanto il giudicato interno formatosi sulla sussistenza della prescrizione, per mancanza di specifico motivo di gravame sul punto, come accertato dalla citata pronunzia di legittimità, precludeva il riesame della relativa questione.
A tanto aggiungasi, quanto all’applicabilità del termine decadenziale, che la questione risultava, e risulta, meramente teorica ed altrettanto priva di rilevanza, nel contesto di un giudizio ormai segnato dall’irrevocabile reiezione della domanda principale, in ragione della dichiarata prescrizione, in considerazione della quale l’accertamento anche dell’intervenuta decadenza, o meno, risulterebbe privo di interesse.
Palesemente erronea è, poi, l’obiezione secondo cui la persistente pendenza del presente processo consentirebbe l’applicabilità allo stesso dell’auspicata pronunzia del Giudice delle Leggi, considerato che la cessazione dell’efficacia della norma dichiarata incostituzionale, ai sensi dell’art. 136 Cost., comma 1 a partire dal giorno della pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale e la conseguente inapplicabilità della stessa anche nei processi in corso, postulano comunque, che la questione implicante l’applicazione di tale norma sia ancora sub indice, il che non si verifica nei casi in cui la stessa sia coperta da "giudicato interno", anche se implicito (v. Cass. n 5051/07, S.U. n. 28545/08), nell’ambito di un processo protrattosi soltanto per la definizione di questioni diverse. Il secondo motivo del ricorso incidentale, attinente alla decorrenza degli interessi legali sulle somme dovute in restituzione, in quanto dichiarato espressamente "condizionato" e non deducente questione pregiudiziali rilevabili di ufficio, resta assorbito in conseguenza della reiezione del ricorso principale.
Conclusivamente, entrambi i ricorsi vanno respinti, con conseguente totale compensazione delle spese del giudizio, per la reciproca soccombenza.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsici rigetta entrambi e dichiara intermanate compensate le spese processuali.
Così deciso in Roma, il 25 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2012

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