Cass. civ. Sez. II, Sent., 05-07-2012, n. 11306 Azioni per il rispetto delle distanze

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Ba.Ma. e Ba.St., comproprietari della p. ed. 278 C.C. Vigo Anaunia, convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Trento B.O. e B. F., comproprietari delle limitrofe p. ed. 206 e p.f. 28, dolendosi del fatto che questi ultimi avevano realizzato una costruzione adibita a garage senza rispettare le distanze imposte dagli strumenti urbanistici locali integrative di quelle fissate dall’art. 873 cod. civ..

Pertanto, chiedevano la condanna dei convenuti all’eliminazione integrale della costruzione o al necessario arretramento nel rispetto delle distanze di legge.

Si costituivano in giudizio B.O. e B. F. i quali, nel contestare le avverse pretese, deducevano che il manufatto era del tutto sotterraneo in rapporto all’andamento naturale del terreno per cui era esente dal rispetto delle distanze legali.

Il Tribunale respingeva la domanda ritenendo che la costruzione in esame fosse interrata; evidenziava che le carenze riscontrate nel ripristino dell’andamento naturale del terreno non incidevano sulla natura dell’opera, ma comportavano solo l’obbligo per i convenuti di completare tale ripristino.

Con sentenza dep. il 21 giugno 2006 la Corte di appello di Trento, in riforma della decisione impugnata dagli attori, accoglieva la domanda da questi ultimi proposta.

I Giudici rilevavano che gli immobili delle parti si fronteggiano lateralmente e si trovano entrambi a livello più basso rispetto alla strada pubblica che corre lungo il lato sud delle stesse; prima dell’intervento edilizio oggetto di causa lo spazio esistente tra i lati delle due case – ora occupato da una rampa e dal manufatto ad uso garage era occupato da una scarpata naturale coperta da vegetazione spontanea; i B. avevano modificato l’assetto di tale scarpata, in quanto, nella parte più vicina alla p.ed. 278, avevano realizzato una rampa di collegamento tra la sovrastante strada pubblica ed il cortile del loro immobile, mentre nella parte più vicina al fabbricato principale della p.ed. 206 avevano costruito il garage di cui si discute con dimensioni volumetriche sostanzialmente corrispondenti all’andamento della scarpata preesistente e con riporto di terreno e ghiaino sulla copertura; la realizzazione della rampa aveva reso inevitabilmente visibile e sporgente il muro, destinato secondo il progetto originario a contenere il terrapieno che si sarebbe creato con la costruzione della rampa.

Non poteva condividersi quanto ritenuto dal primo giudice, in quanto il garage dei convenuti, lungi dall’essere stato realizzato sotto il livello naturale del terreno, era stato reso possibile solo con una radicale trasformazione dell’area che era stata preventivamente spianata e poi occupata con detto manufatto e con la relativa rampa di accesso, essendo del tutto irrilevante che occupasse il medesimo volume del terreno preesistente, dal momento che rappresentava una struttura artificiale sostitutiva dell’assetto naturale dei luoghi e, integrando una costruzione, era soggetta al rispetto delle distanze legali ovvero di metri dieci dalla costruzione degli attori.

2.- Avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione B.O. e B.F. sulla base di quattro motivi illustrati da memoria.

Resiste con controricorso Ba.Ma..
Motivi della decisione

1.1. – Il primo motivo, lamentando violazione in ogni caso falsa applicazione dell’art. 111 Cost., art. 132 cod. proc. civ., art. 118 norme att. cod. proc. civ. e conseguente nullità della sentenza, violazione in ogni caso falsa applicazione dell’art. 113 anche in relazione alla L. n. 122 del 1989, art. 9, deduce la nullità della sentenza impugnata laddove non aveva indicato la norma integrativa dell’art. 873 in base alla quale era stata ritenuta la violazione delle distanze legali e non aveva applicato la L. n. 122 del 1989, art. 9 che consente la costruzione di parcheggi nel sottosuolo e o nei locali a piano terra dei fabbricati in deroga agli strumenti urbanistici e ai regolamenti edilizi vigenti.

Formula il seguente quesito di diritto: "dica la Suprema Corte di Cassazione se con riferimento all’art. 111 Cost., comma 6 e per il combinato disposto dell’art. 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c., nel condannare alla demolizione di un manufatto per la pretesa violazione delle distanze legali la mancata indicazione della specifica norma regolamentare integrativa dell’art. 873 c.c. che s’assume violata e rispetto alla quale è imposta la demolizione, comporta la nullità della sentenza non consentendo di ricostruire l’iter logico-giuridico sotteso alla decisione adottata; dica altresì questa On.le Corte di Cassazione se, nella ricerca "solitaria" della norma di diritto applicabile al caso di specie, l’omessa valutazione da parte della Corte d’Appello di Trento dell’applicabilità o meno al garage dei ricorrenti della L. n. 122 del 1989, art. 9 viola l’art. 113 c.p.c.".

1.2.- Il motivo va disatteso.

L’indicazione in sentenza, ai sensi dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ., delle disposizioni di legge applicate, non è prescritta a pena di nullità e, pertanto, non sono ravvisabili nè il vizio di omessa motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nè il vizio di violazione di legge ai sensi del comma 1, n. 3, della stessa norma qualora nella sentenza impugnata non sia stato operato l’espresso richiamo alla specifica disciplina legale posta a fondamento della statuizione, atteso che, in base alla "ratio" dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ. e art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, è essenziale che dal complesso delle argomentazioni svolte dal giudice emergano gli elementi in fatto e in diritto posti a fondamento della decisione adottata (Cass. 27890/2008).

Nella specie, la sentenza ha specificato che gli strumenti urbanistici vigenti prevedevano la distanza di dieci metri fra costruzioni e che il manufatto de quo era stato realizzato in violazione di tali prescrizioni. Per quel che concerne l’applicazione della L. n. 122 del 1989, la doglianza introduce una questione nuova, in quanto non trattata dalla sentenza impugnata e, involgendo anche accertamenti di fatto nuovi (la esistenza del vincolo pertinenziale secondo la speciale disciplina urbanistica), è inammissibile in sede di legittimità.

2.1. – Il secondo motivo, lamentando violazione in ogni caso falsa applicazione dell’art. 813 cod. civ., così come integrato dal regolamento locale – motivazione insufficiente e contraddittoria su un punto decisivo della controversia, deduce che non potevano trovare applicazione le norme sulle distanze, tenuto conto della modesta entità della porzione non interrata, mentre la porzione fuori terra era comunque al di sotto dell’originaria linea naturale del terreno.

La decisione era in contrasto con la giurisprudenza di legittimità secondo cui i locali costruiti interamente al di sotto del piano di campagna sono esenti dal rispetto delle distanze: come era risultato dalla c.t.u., il garage era stato costruito al di sotto della pendenza naturale del terreno originariamente occupato dalla scarpata ed era legittimo ai sensi di quanto previsto dall’art. 21 Piano Generale di tutela degli insediamenti storici; i Giudici, contraddittoriamente, dopo avere dato atto di tale situazione,avevano poi ritenuto irrilevante che lo stesso occupasse la stesa volumetria della preesistente scarpata.

Formula il seguente quesito di diritto "dica la Suprema Corte di Cassazione se nella nozione di costruzione così come contemplata dall’art. 873 c.c. integrato dai regolamenti edilizi locali debba ricomprendersi anche il manufatto che, pur emergendo limitatamente dal terreno, risulti comunque realizzato al di sotto del livello naturale del piano di campagna, o debba invece considerarsi come costruzione interrata non soggetta al rispetto delle distanze legali".

2.2.- Il motivo è inammissibile.

Ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, ratione temporis applicabile, i motivi del ricorso per cassazione devono essere accompagnati, a pena di inammissibilità (art. 375 c.p.c., n. 5) dalla formulazione di un esplicito quesito di diritto nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), e qualora il vizio sia denunciato anche ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione.

Al riguardo va ricordato che, nel caso di violazioni denunciate ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 1), 2), 3) e 4), secondo il citato art. 366 bis, il motivo deve concludersi con la separata e specifica formulazione di un esplicito quesito di diritto, che si risolva in una chiara sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta – negativa od affermativa – che ad esso si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto del gravame (SU 23732/07): non può, infatti, ritenersi sufficiente il fatto che il quesito di diritto possa implicitamente desumersi dall’esposizione del motivo di ricorso nè che esso possa consistere o ricavarsi dalla formulazione del principio di diritto che il ricorrente ritiene corretto applicarsi alla specie, perchè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ., secondo cui è,invece, necessario che una parte specifica del ricorso sia destinata ad individuare in modo specifico e senza incertezze interpretative la questione di diritto che la Corte è chiamata a risolvere nell’esplicazione della funzione nomofilattica che la modifica di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006, oltre all’effetto deflattivo del carico pendente, aveva inteso valorizzare,secondo quanto formulato in maniera esplicita nella Legge Delega 14 maggio 2005, n. 80, art. 1, comma 2, ed altrettanto esplicitamente ripreso nel titolo stesso del decreto delegato soprarichiamato. In tal modo il legislatore si era proposto l’obiettivo di garantire meglio l’aderenza dei motivi di ricorso (per violazione di legge o per vizi del procedimento) allo schema legale cui essi debbono corrispondere, giacchè la formulazione del quesito di diritto risponde all’esigenza di verificare la corrispondenza delle ragioni del ricorso ai canoni indefettibili del giudizio di legittimità, inteso come giudizio d’impugnazione a motivi limitati.

In effetti,la ratio ispiratrice dell’art. 366 bis cod. proc. civ. era quella di assicurare pienamente la funzione, del tutto peculiare, del ricorso per cassazione,che non è solo quella dì soddisfare l’interesse del ricorrente ad una corretta decisione di quella controversia ma anche di enucleare il corretto principio di diritto applicabile in casi simili. Pertanto, il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ. deve comprendere l’indicazione sia della "regula iuris" adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo. Ne consegue che il quesito deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la medesima Corte in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regula iuris che sia, in quanto tale, suscettibile – come si è detto – di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata (S.U.3519/2008). Analogamente a quanto è previsto per la formulazione del quesito di diritto nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), nell’ipotesi in cui il vizio sia denunciato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto),separatamente indicato in una parte del ricorso a ciò specificamente deputata e distinta dall’esposizione del motivo,che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (S.U. 20603/07). In tal caso,l’illustrazione del motivo deve contenere la indicazione del fatto controverso con la precisazione del vizio del procedimento logico-giuridico che,incidendo nella erronea ricostruzione del fatto,sia stato determinante della decisione impugnata. Pertanto,non è sufficiente che il fatto controverso sia indicato nel motivo o possa desumersi dalla sua esposizione. La norma ha evidentemente la finalità di consentire la verifica che la denuncia sia ricondotta nell’ambito delle attribuzioni conferite dall’art. 360 c.p.c., n. 5 al giudice di legittimità, che deve accertare la correttezza dell’iter logico-giuridico seguito dal giudice esclusivamente attraverso l’analisi del provvedimento impugnato,non essendo compito del giudice di legittimità quello dì controllare l’esattezza o la corrispondenza della decisione attraverso l’esame e la valutazione delle risultanze processuali che non sono consentiti alla Corte, ad eccezione dei casi in cui essa è anche giudice del fatto. Si è, così, inteso precludere l’esame di ricorsi che, stravolgendo il ruolo e la funzione della Corte di Cassazione, sollecitano al giudice di legittimità un inammissibile riesame del merito della causa.

Nella specie, il quesito da in sostanza per accertata una ricostruzione in fatto – realizzazione al di sotto del livello naturale del piano di campagna e natura o meno di costruzione interrata del garage realizzato – che invece costituiva proprio oggetto della questione dibattuta, posto che la decisione impugnata, nel ritenere che non potesse essere considerata interrata la costruzione de qua, ha accertato che il garage era stato realizzato attraverso una integrale immutazione dei luoghi, essendo stata la preesistente scarpata spianata per realizzare la rampa di accesso al cortile e il garage, e ha, perciò, considerato irrilevante la circostanza che il manufatto fosse stato realizzato nei limiti della linea del terreno preesistente: qui è appena il caso di accennare che per configurarsi l’ipotesi della costruzione, totalmente interrata che, come tale, è sottratta al rispetto delle distanze legali, occorre considerare il piano di campagna sul quale è collocato l’edificio confinante, perchè soltanto in quel caso vengono meno le ragioni che ispirano la normativa in materia di distanze che fra l’altro trova applicazione anche per le costruzioni edificate su fondi a dislivello.

Il motivo in sostanza formula critiche all’accertamento di fatto al riguardo compiuto dai Giudici, accertamento che in sede di legittimità è censurabile sotto il profilo del vizio di motivazione: ma allora, ai sensi del citato art. 366 bis, sarebbe stato necessario indicare il fatto controverso con specifico riferimento alla fattispecie concreta esaminata e le ragioni per le quali la motivazione sarebbe stata erronea.

3.1.- Il terzo motivo, lamentando violazione in ogni caso falsa applicazione degli artt. 2699 e 2697 cod. civ. e artt. 115 e 116 cod. proc. nonchè carente, illogica e contraddittoria motivazione,deduce che la sentenza impugnata non aveva considerato che il manufatto de quo era stato realizzato al di sotto del piano di campagna, secondo quanto emerso dalle relazioni del tecnico comunale P. e dall’arch. Po., che non erano state mai contestate da controparte, ed avevano colmato eventuali lacune della consulenza tecnica d’ufficio.

Formula il seguente quesito di diritto: "dica la Ecc. Corte di Cassazione se la consulenza tecnica d’ufficio esonera la parte dall’onere di fornire le prove di quanto si afferma in giudizio violando così il disposto dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., e se la produzione di documentazione proveniente da pubblici ufficiali di cui agli artt. 2700 e segg. c.c. impone al Giudice di merito di operare comunque un raffronto tra detta documentazione ed altra documentazione prodotta non avente la stessa fede privilegiata motivando l’eventuale ritenuta inattendibilità ai fini decisori della documentazione proveniente dai pubblici ufficiali".

3.2.- Il motivo è inammissibile. Vanno qui ribadite le considerazioni formulate in occasione del precedente motivo, dovendo qui osservarsi che il "quesito" non contiene alcun riferimento alla controversia in esame e in effetti non pone una questione di diritto la cui soluzione potrebbe portare alla decisione del ricorso: in realtà, anche il motivo in esame formula critiche alla ricostruzione in fatto compiuta dai Giudici, per cui il motivo avrebbe dovuto concludersi con la separata e specifica indicazione del fatto controverso (gli elementi probatori emersi dagli atti menzionati nel motivo) e le ragioni per le quali la motivazione sarebbe viziata. La declaratoria di inammissibilità del secondo e del terzo motivo, essendo preclusiva dell’esame nel merito delle censure relative alla legittimità della costruzione e alla violazione delle distanze legali, impedisce dì prendere in considerazione e verificare anche lo ius superveniens invocato dai convenuti a favore della legittimità della costruzione.

4.1.- Il quarto motivo (violazione in ogni caso falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. nonchè motivazione carente e ingiusta) denuncia che erroneamente i convenuti erano stati condannati alla rifusione delle spese processuali del doppio grado di giudizio, quando gli attori avevano agito in giudizio indicando erroneamente le norme regolamentari e richiamando poi le risultanze peritali senza che peraltro fosse stato dimostrato che la costruzione de qua fosse soggetta al rispetto delle distanze legali; la Corte di appello aveva erroneamente valutato il contenuto degli elaborati peritali; lo stesso geom. M. aveva avuto difficoltà nel ricostruire l’originario stato dei luoghi.

3.1. Il motivo va disatteso.

Le spese processuali sono state poste a carico dei convenuti in applicazione dell’art. 91 cod. proc. civ. essendo i medesimi risultati soccombenti: qui deve ricordarsi che, in materia di regolamento delle spese processuali, il giudice incontra l’unico obbligo di non porle a carico della parte integralmente vittoriosa, mentre la compensazione è rimessa alla sua scelta discrezionale e motivata.

Il ricorso va rigettato.

Le spese della presente fase vanno poste in solido a carico dei ricorrenti, risultati soccombenti.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti in solido al pagamento in favore del resistente costituito delle spese relative alla presente fase che liquida in Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per onorari di avvocato oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 23 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2012
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