Cass. civ. Sez. II, Sent., 05-07-2012, n. 11300 Esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con scrittura privata 12.1.1996 tra Ba.Pa. e B.A., quale socio accomandatario e legale rappresentante della Teatro del Sole sas si prometteva da parte del Ba. di vendere alla società, che si obbligava ad acquistare per se o persona da nominare all’atto del definitivo, l’intero edificio alberghiero in (OMISSIS), composto da piano terreno, cinque piani e sottotetto compreso terreno retrostante, impianti, attrezzature e arredamento, nella consistenza allora esistente, giusto inventario allegato, per il prezzo di L. 1.700.000.000. con pagamento di L. 600.000.000 al preliminare da utilizzare in parte per il pagamento da parte del promissario acquirente delle rate di mutui già scadute ed in parte in contanti, somma costituente espressamente caparra confirmatoria; L. 400.000.000 mediante accollo delle rate di mutui a scadere da verificare; la residua somma di L. 700.000.000 e comunque la differenza alla stipula mediante titoli a scadere entro 18 mesi dalla data del preliminare oltre interessi dell’8% a scalare.

Con successivo contratto 27.11.1998 tra Ba., B. e S.R., quest’ultima assumeva solidalmente col B. tutti gli obblighi precedenti e, ad integrazione, si stabiliva che la compravendita avrebbe avuto ad oggetto il fabbricato di cui al certificato catastale 28.7.1997; che il prezzo di L. 1.700.000.000 sulla base della situazione patrimoniale allegata era comprensivo di L. 120.700.000 per attrezzature e arredi, L. 1.429.300.000 per il fabbricato, L. 6.000.000 per scorte, L. 144.000.000 per avviamento, L. 720.000.000 per debito nei confronti del Banco di Sicilia, salvo conguaglio alla data del 12.1.1996.

Con detto atto si pattuiva che il pagamento sarebbe avvenuto quanto a L. 490.000.000, salvo conguaglio, alla stipula del contratto definitivo di cessione dell’azienda, quanto a L. 100.000.000 con titoli a scadenza 30.11.1998, 30.12.1998, 31.1.1999, 28.2.1999.

quanto a L. 720.000.000 salvo conguaglio pari ai debito con il Banco di Sicilia, mediante accollo dei suddetti mutui.

Si precisava anche che la rimanente somma di L. 390.000.000 era già stata precedentemente versata e che la cessione di azienda veniva effettuata senza subentro dell’acquirente nei debiti dell’azienda diversi da quelli espressamente indicati nella situazione patrimoniale allegata.

La stipula doveva avvenire entro il 31.12.1999, termine successivamente fissato al 30.6.2000.

Con atto stragiudiziale 20.10.2000 il Ba. veniva invitato davanti al notaio per la stipula.

Con citazione del 13.11.2000 il B. e la S. convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Messina, sezione di Taormina, il Ba. per chiedere sentenza che producesse gli effetti del contratto non concluso, mentre il convenuto chiedeva il rigetto della domanda essendosi determinata la risoluzione per colpa degli attori, con conseguente acquisizione della caparra e la condanna al rilascio dei locali ed alla riconsegna di attrezzature ed arredi.

Su istanza del Ba. era autorizzato il sequestro giudiziario dell’azienda alberghiera e nominato custode il B..

Con successiva citazione 29.12.2000 il Ba. chiedeva la convalida del sequestro e la dichiarazione di risoluzione per scadenza del termine essenziale, cui seguiva altro ricorso per sequestro conservativo da parte del Ba..

Con sentenza 26.11.2003 il Tribunale rigettava sia la domanda di esecuzione in forma specifica che quella di risoluzione, dichiarava inammissibili le domande di convalida dei sequestri, rigettava la domanda di danni del Ba., compensava le spese, mentre la Corte di appello di Messina, con sentenza 93/06. dichiarava la risoluzione dei preliminari, condannava i promissari acquirenti alla perdita degli acconti, al rilascio dell’immobile completo di impianti, revocava la dichiarazione di inefficacia dei sequestri e condannava gli appellati a rimborsare al Ba. le spese.

Osservava la Corte territoriale che soltanto la somma di L. 490.000.000 doveva essere pagata alla stipula, mentre specialmente per quanto riguarda i mutui in favore del Banco di Sicilia il pagamento doveva avvenire anticipatamente con accollo dei relativi debiti e con il pagamento, come previsto dal contratto del 1996, espressamente richiamato in quello del 1998, delle rate scadute.

Dagli atti esibiti dal B. risultava che egli aveva effettuato solo il pagamento delle rate scadute il 1.7.1996 ed aveva chiesto al Banco di Sicilia di non iniziare l’azione per il recupero delle altre rate scadute, senza presentare il piano di rientro richiesto e senza provvedere agli ulteriori pagamenti, proponendo dopo una rinegoziazione ed una transazione.

Ricorrono S. e B. con cinque motivi, resiste Ba..

I ricorrenti hanno depositato atto di costituzione di nuovo difensore, procura alle liti e memoria.
Motivi della decisione

Col primo motivo si deduce violazione degli artt. 81 e 100 c.p.c., artt. 24 e 111 Cost., art. 2932 c.c. vizi di motivazione sulla dichiarata tardività dell’eccezione sulla legittimazione, appartenendosi la legittimazione alla Teatro del Sole sas.

Col secondo motivo si lamenta violazione degli artt. 1350, 1351, 2725 e 2932 c.c. vizi di motivazione per essere la sas un distinto centro di interessi e per completate un preliminare occorre la imputazione alle stesse parti.

Col terzo motivo si denunzia violazione degli artt. 1321, 1362 e 1363 c.c. e vizi di motivazione in ordine al piano di rientro non presentato dal B., con riferimento alle scritture richiamate.

Col quarto motivo si lamenta violazione dell’ari. 669 novies c.p.c. per essere stata accolta la domanda di revoca dell’inefficacia dei sequestri.

Col quinto motivo, subordinato, si lamentano violazione dell’art. 115 c.p.c., dell’art. 2932 c.c. e vizi di motivazione con riferimento all’appello incidentale a suo tempo proposto.

Le censure non meritano accoglimento.

La Corte di appello ha interpretato le scritture in ordine agli impegni assunti dalle parti ed alle modalità di pagamento, pervenendo alla soluzione sopra riportata.

L’opera dell’interprete, mirando a determinare una realtà storica ed obiettiva, qual è la volontà delle parti espressa nel contratto, è tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali d’ermeneutica contrattuale posti dagli artt. 1362 ss. c.c., oltre che per vizi di motivazione nell’applicazione di essi: pertanto, onde far valere una violazione sotto entrambi i due cennati profili, il ricorrente per cassazione deve, non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito siasi discostato dai canoni legali assuntivamente violati o questi abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti.

Di conseguenza, ai fini dell’ammissibilità del motivo di ricorso sotto tale profilo prospettato, non può essere considerata idonea – anche ammesso ma non concesso lo si possa fare implicitamente – la mera critica del convincimento, cui quel giudice sia pervenuto, operata, come nella specie, mediante la mera ed apodittica contrapposizione d’una difforme interpretazione a quella desumibile dalla motivazione della sentenza impugnata, trattandosi d’argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non è consentito in sede di legittimità (e pluribus, da ultimo, Cass. 9.8.04 n. 15381. 23.7.04 n. 13839, 21.7.04 n. 13579, 16.3.04 n. 5359, 19.1.04 n. 753).

Nè può utilmente invocarsi, come sembra dai ricorrenti, la mancala considerazione del comportamento delle parti.

Ad ulteriore specificazione del posto principio generale d’ordinazione gerarchica delle regole ermeneutiche, il legislatore ha, inoltre, attribuito, nell’ambito della stessa prima categoria, assorbente rilevanza al criterio indicato nell’art. 1362 c.c., comma 1 – eventualmente integrato da quello posto dal successivo art. 1363 c.c. per il caso di concorrenza d’una pluralità di clausole nella determinazione del pattuito – onde, qualora il giudice del merito abbia ritenuto il senso letterale delle espressioni utilizzate dagli stipulanti, eventualmente confrontato con la ratio complessiva d’una pluralità di clausole, idoneo a rivelare con chiarezza ed univocità la comune volontà degli stessi, cosicchè non sussistano residue ragioni di divergenza tra il tenore letterale del negozio e l’intento effettivo dei contraenti – ciò che è stato fatto nella specie dalla corte territoriale, con considerazioni sintetiche ma esaustive – detta operazione deve ritenersi utilmente compiuta, anche senza che si sia fatto ricorso al criterio sussidiario dell’art. 1362 c.c., comma 2, che attribuisce rilevanza ermeneutica al comportamento delle parti successivo alla stipulazione (Cass. 4.8.00 n. 10250, 18.7.00 n. 9438. 19.5.00 n. 6482, 11.8.99 n. 8590. 23.11.98 n. 11878. 23.2.98 n. 1940, 26.6.97 n. 5715. 16.6.97 n. 5389); non senza considerare, altresì, come detto comportamento, ove trattisi d’interpretare, come nella specie, atti soggetti alla forma scritta ad substantiam non possa, in ogni caso, evidenziare una formazione del consenso al di fuori del l’atto scritto medesimo (Cass. 20.6.00 n. 7416, 21.6.99 n. 6214, 20.6.95 n. 6201, 11.4.92 n. 4474).

Ciò premesso, a prescindere dalla contestuale deduzione di vizi di violazione di legge e di motivazione, che caratterizza tutti i motivi, tranne il quarto, in contrasto con la necessaria specificità del l’impugnazione, in relazione al primo motivo va dedotto che non si dimostra l’interesse alla censura rispetto ad una iniziativa giudiziaria assunta dai ricorrenti in proprio per chiedere l’esecuzione in forma specifica de contratto non concluso, fermo restando che la Corte di appello, a parte la deduzione tardiva, ha statuito che B. e S. avevano assunto solidalmente tutti i diritti e gli obblighi nascenti dal preliminare 12.1.1996, il quale espressamente prevedeva la nomina di un terzo, circostanza che consente di respingere anche il secondo motivo.

Il terzo motivo contrappone una diversa lettura delle risultanze processuali manifestando dissenso rispetto alla corretta interpretazione degli atti, in gran parte provenienti dallo stesso B..

In ordine al quarto motivo la corte di appello ha revocato la dichiarazione di inefficacia dei sequestri, stante l’accoglimento della domanda, con l’aggiunta che "in base alle nuove disposizioni in materia di procedimenti cautelari non è più prevista la convalida", statuizione censurata solo parzialmente.

Il quinto motivo subordinato segue la sorte dei precedenti, avendo la corte di appello dedotto che l’appello incidentale era infondato perchè i patti prevedevano il pagamento delle rate scadute e l’accollo di quelle a scadere antecedentemente alla stipula del definitivo, cosa che non era avvenuta.

In definitiva il ricorso va rigettato, con la conseguente condanna alle spese.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese, liquidate in Euro 7200, di cui 7000 per onorari, oltre accessori.

Così deciso in Roma, il 9 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2012

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