Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 23-11-2011) 14-12-2011, n. 46285 Prova penale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 5/10/2010, la Corte di appello di Catanzaro, confermava la sentenza del Gip presso il Tribunale di Crotone, in data 5/10/2010, che aveva condannato R.G. alla pena di anni 3, mesi 6 di reclusione ed Euro 1.200,00 e R.R. alla pena di anni 2 e mesi 2 di reclusione ed Euro 600,00 di multa per i reati di tentata estorsione e violenza privata in concorso.
La Corte territoriale respingeva le censure mosse con l’atto d’appello e confermava le statuizioni del primo giudice, ritenendo accertata la penale responsabilità dell’imputato in ordine ai reati a lui ascritti, ed equa la pena inflitta Avverso tale sentenza propongono ricorso entrambi gli imputati per mezzo del comune difensore di fiducia, sollevando tre motivi di gravame con il quali deducono:
a) Manifesta contraddittorietà ed illogicità della motivazione in relazione all’art. 192 cod. proc. pen.. b) Erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 629 e 610 c.p.;
c) Violazione di legge e vizio della motivazione in relazione agli artt. 62 bis, artt. 132-133 cod. pen..
Con riferimento al primo motivo si dolgono che i giudici di merito abbiano attribuito piena attendibilità alla persona offesa in presenza di elementi che si ponevano in aperta contraddizione con essa, vale a dire le deposizioni dei due testimoni a discarico acquisite a mezzo delle investigazioni difensive. In particolare eccepiscono che le deposizioni dei testi a discarico, che attribuivano il conflitto fra il B. ed il R. ad una vicenda relativa al prelievo illegale di inerti fluviali dal fiume Neto, trovava riscontro nell’ordinanza 14/7/2009 del Comune di Rocca di Neto. Inoltre contestano che la circostanza che dal cellulare di R.R., in data 11/2/2009, sia partita una telefonata verso il cellulare del B. possa essere valutata come riscontro del narrato della parte offesa.
Con riferimento al secondo motivo i ricorrenti contestano la sussistenza degli estremi della condotta punibile per il reato di estorsione per carenza del requisito dell’ingiusto profitto, in quanto le minacce riferite dalla persona offesa erano finalizzate a consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro fra R. R. ed il B., rapporto entrato in crisi perchè l’imputato voleva sottrarsi ad un ordine illegittimo, quale il prelievo di materiale inerte dal fiume Neto. Pertanto il reato avrebbe dovuto essere derubricato in quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni;
Quanto al terzo motivo, si dolgono che il trattamento riservato ai due giovani imputati appare eccessivo e sproporzionato. Fanno presente che la pena inflitta a R.G. ha determinato la perdita dell’indulto per cui si traduce in una condanna a 6 anni e 6 mesi.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile in quanto fondato su motivi non consentiti nel giudizio per cassazione e comunque manifestamente infondati.
Quanto al primo motivo, occorre rilevare che, secondo l’insegnamento di questa Corte:
"In tema di valutazione della prova testimoniale, a base del libero convincimento del giudice possono essere poste sia le dichiarazioni della parte offesa sia quelle di un testimone legato da stretti vincoli di parentela con la medesima. Ne consegue che la deposizione della persona offesa dal reato, pur se non può essere equiparata a quella del testimone estraneo, può tuttavia essere assunta anche da sola come fonte di prova, ove sia sottoposta a un attento controllo di credibilità oggettiva e soggettiva, non richiedendo necessariamente neppure riscontri esterni, quando non sussistano situazioni che inducano a dubitare della sua attendibilità" (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 6910 del 27/04/1999 Ud. (dep. 01/06/1999) Rv.
213613; Sez. 5, Sentenza n. 8934 del 09/06/2000 Ud. (dep. 08/08/2000) Rv. 217355; Sez. 2, Sentenza n. 4281 del 17/08/2000 Cc. (dep. 24/08/2000) Rv. 217419).
Tanto premesso, occorre precisare che: "in tema di prove, la valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio motivazionale fornito dal giudice e che non può essere rivalutata in sede di legittimità, a meno che il giudice non sia incorso in manifeste contraddizioni" (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 8382 del 22/01/2008 Ud. (dep. 25/02/2008) Rv. 239342).
Nel caso di specie il percorso argomentativo seguito dalla Corte territoriale non presenta contraddizioni manifeste, al contrario il controllo dell’attendibilità delle dichiarazioni delle persone offesa è stato effettuato dalla Corte con argomentazioni in fatto coerenti e prive di vizi logico-giuridici. Nel caso di specie i giudici del merito hanno preso in esame le versioni contrastanti con il narrato della parte offesa rese dai testi E.S. ed E.N. dalle quali emergeva che il diverbio fra R. R. ed il suo datore di lavoro B.S. era scaturito dal legittimo rifiuto del R. di recarsi a prelevare materiale inerte dal greto del fiume Neto e le hanno ritenute inattendibili con motivazione congrua e priva di vizi logico-giuridici, tenendo presente che trattandosi di doppia conforme, la motivazione della Corte territoriale si integra con quella del primo giudice.
Di conseguenza il primo motivo risulta inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Anche per quanto riguarda il secondo motivo di ricorso, in ordine alla qualificazione giuridica del fatto come tentativo di estorsione anzichè esercizio arbitrario della proprie ragioni, le censure sono manifestamente infondate. Nel caso di specie la Corte territoriale ha fatto esatta applicazione del principio di diritto, costantemente affermato da questa Corte, secondo cui "il delitto di estorsione si differenzia da quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con minaccia alla persona non tanto per la materialità del fatto, che può essere identica, quanto per l’elemento intenzionale nell’estorsione caratterizzato, diversamente dall’altro reato, dalla coscienza dell’agente che quanto egli pretende non gli è dovuto:
peraltro, quando la minaccia si estrinseca in forme di tale forza intimidatoria da andare al di là di ogni ragionevole intento di far valere un proprio (preteso) diritto, allora la coartazione dell’altrui volontà assume ex se i caratteri dell’ingiustizia, con la conseguenza che, in situazioni del genere, anche la minaccia tesa a far valere quel diritto si trasforma in una condotta estorsiva" (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 47972 del 01/10/2004 Ud. (dep. 10/12/2004) Rv. 230709; conf. Sez. 2, Sentenza n. 35610 del 27/06/2007 Cc. (dep. 26/09/2007) Rv. 237992; Sez. 6, Sentenza n. 41365 del 28/10/2010 Ud.
(dep. 23/11/2010) rv. 248736).
Infine risulta inammissibile anche il terzo motivo concernente le non concesse attenuanti generiche e la misura della pena giacchè la motivazione della impugnata sentenza, pure su tali punti conforme a quella del primo giudice, si sottrae ad ogni sindacato per avere adeguatamente richiamato i precedenti penali gravi di R. G. ed il fatto che R.R. si sia avvalso della caratura criminale del fratello – elementi sicuramente rilevanti ex art. 133 e art. 62 bis c.p.p. – nonchè per le connotazioni di complessiva coerenza dei suoi contenuti nell’apprezzamento della gravità dei fatti. Nè i ricorrenti indicano elementi non considerati in positivo decisivi ai fini di una diversa vantazione, tenuto conto che la revoca dell’indulto è una conseguenza di legge della condanna e che tale circostanza è esterna al fatto giudicato per cui non può influire nella determinazione della pena.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, gli imputati che lo hanno proposto devono essere condannati al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, si stima equo determinare in Euro 1.000,00 (mille/00) ciascuno.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa della Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *