Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 22-11-2011) 14-12-2011, n. 46298

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- Con la ordinanza in epigrafe la sezione del riesame del Tribunale di Bari, decidendo sulla impugnazione avverso la ordinanza emessa dal GIP del Tribunale di Bari in data 3.12.2010 di applicazione della custodia cautelare in carcere nei confronti di D.V. A., ha confermato il provvedimento.
Avverso detta pronunzia ricorre l’imputato lamentando – con un primo motivo – violazione di legge nell’art. 453 c.p.p., comma 1 bis, per non avere il pubblico ministero richiesto il giudizio immediato entro il termine di centottanta giorni dall’esecuzione della misura con ciò determinando la nullità del provvedimento cautelare; e lamentando – inoltre – omessa valutazione del motivo di appello relativo alla assenza di esigenze cautelari per il notevole decorso del tempo dal fatto di reato.
2. – Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
Circa il primo motivo, questa Corte ha più volte ribadito che "per i termini stabiliti dall’art. 453 c.p.p. nuovo comma 1 bis, introdotto con la novella del D.L. n. 92 del 2008, art. 2, va fatta applicazione, per identità di ratio e di scopo, del principio di diritto già affermato da questa Corte, a proposito del termine di 90 giorni di cui all’art. 454 c.p.p. (Cass., 41579/2007, Cerami;
26305/2004, Dentici). Ne consegue che, in presenza delle condizioni e dei presupposti, previsti dall’art. 453 c.p.p., primi tre commi, il termine di 180 giorni dall’esecuzione della misura, per il reato in relazione al quale la persona sottoposta alle indagini si trova in stato di custodia cautelare, ha natura tassativa per quanto riguarda il completamento delle indagini, ma ha natura ordinatoria, per quanto riguarda attiene alla presentazione della richiesta di giudizio immediato" (Cass., Sez. 6^, 20 ottobre 2009, n. 41038, Amato; Cass., Sez. 1^, 9 dicembre 2009, n. 2321).
Il Tribunale, ritenendo la natura meramente ordinatoria e non perentoria del termine in esame ha dunque fatto applicazione dell’insegnamento di questa Corte, correttamente decidendo per il rigetto del motivo di gravame qui riproposto.
Circa il secondo motivo, è necessario chiarire i limiti di sindacabilità da parte di questa Corte dei provvedimenti adottati dal giudice del riesame dei provvedimenti sulla libertà personale.
Secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, l’ordinamento non conferisce alla Corte di Cassazione alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, nè alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura cautelare, nonchè del tribunale del riesame. Il controllo di legittimità sui punti devoluti è, perciò, circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità: 1) – l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato;
2) – l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento.
(Cass. Sez. 6^ sent. n. 2146 del 25.05.1995 dep. 16.06.1995 rv 201840).
Orbene, contrariamente a quanto sostenuto dall’imputato, il Tribunale ha valutato e adeguatamente motivato la sussistenza delle esigenze cautelari in ragione sia delle modalità particolarmente gravi e violente dei fatti contestati (rapina con sequestro di persona e scontro a fuoco con i carabinieri) sia della sussistenza di precedenti specifici a carico dell’imputato, e con particolare riguardo alla irrilevanza del tempo trascorso dai fatti in ordine a una facile prognosi di recidivazione.
3. – Per il rigetto del ricorso, il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
4. – Poichè a questa pronuncia non consegue la rimessione in libertà del detenuto, deve conseguentemente disporsi ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, che copia del provvedimento sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario per i provvedimenti di cui al comma 1 bis della citata norma.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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