Cass. civ. Sez. I, Sent., 05-07-2012, n. 11275 Espropriazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Comune di Vigodarzere, beneficiario della espropriazione, pronunziata il 29.5.1998 dal Prefetto di Padova, di un’area di mq. 48 di proprietà dei signori B. e T. al fine di realizzare un raccordo stradale, con citazione del 22.5.2001 convenne innanzi alla Corte di Appello di Venezia i due espropriati affermando essere incongrua ed eccessiva l’indennità definitiva liquidata in lire 114 milioni dalla Commissione Provinciale di Padova, assommando l’indennizzo per l’esproprio a ben lire 111 milioni per deprezzamento del relitto, e pertanto chiedendo determinarsi la giusta indennità.

La Corte di Venezia, costituitisi i B. – T., con sentenza 27.1.2005 ha determinato le indennità dovute dal Comune in lire 90.000.000 oltre l’indennità di occupazione legittima su detta somma commisurata agli interessi legali dalla occupazione all’esproprio.

Ha ritenuto – per quel che ancora rileva – la Corte di merito che l’esproprio dei mq. 48 di terreno aveva determinato nella complessiva proprietà immobiliare costruita su mq. 851 (e costituita da abitazione, ufficio, officina e deposito per macchine agricole) e secondo le condivise considerazioni peritali un deprezzamento pari al 30% del valore di mercato dell’immobile e stimato appunto in lire 90 milioni.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il Comune con atto dell’11.3.2006, resistito dagli intimati con controricorso del 20.4.2006.

Entrambe le parti hanno depositato memorie finali.
Motivi della decisione

Nel ricorso viene denunziata la supina accettazione, da parte della Corte di merito, di valutazioni peritali contenenti premesse in stridente contraddizione con le proprie conclusioni: se infatti nell’elaborato e nei chiarimenti si era affermato che l’opera stradale non aveva arrecato danno alcuno in termini di visibilità e di agibilità veicolare al fabbricato ma anzi aveva accresciuto le opportunità di manovra dei veicoli, le conclusioni avevano apoditticamente affermato il deprezzamento del 30% del valore. E tale contraddittorietà dell’elaborato era stata denunziata dalla difesa del Comune ma la Corte non la aveva neanche presa in considerazione.

In subordine si censura la incongrua applicazione dell’art. 40 da parte della Corte di merito.

Si osserva che il ricorso, neanche autosufficiente nell’esporre i dati argomentativi ed i dati conclusivi della CTU tra loro in contrasto (difettando la trascrizione anche parziale della motivazione conclusiva sulle ragioni del deprezzamento del valore), manca totalmente di far emergere che tale travisamento – commesso in sede di elaborazione peritale – fosse stato prospettato innanzi alla Corte di appello. A pagina 13 del ricorso ci si limita infatti a richiamare genericamente "argomentate difese" che il Comune avrebbe svolto innanzi al giudice del merito per far risaltare detta "contraddizione"; ma siffatto richiamo generico e non qualificato nè per l’indicazione del dove e del come nè per la esposizione sintetica di tali difese fa ritenere meramente assertiva la precisazione de qua.

E poichè la CTU è stata espletata in Corte e rivista in sede di supplemento peritale l’errore avrebbe dovuto emergere all’esito di precisa contestazione difensiva già nella prima udienza successiva al suo deposito, ove tempestivo (Cass. 24996 del 2010 e 22843 del 2006), o, se intempestivo, nella prima udienza successiva al deposito stesso. E poichè, ut supra, non si dice dove ed in che termini siano state proposte le "argomentate difese" al proposito, ne discende la evidente preclusione a far valere in sede di legittimità una contraddizione della CTU "supinamente" fatta propria dalla Corte di merito.

Si rileva, ancora, che nella memoria del Comune si dibatte della incidenza in causa della sopravvenuta incostituzionalità della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis: la questione appare fuor di segno posto che da un canto il giudice del merito ha fatto applicazione della L. n. 2359 del 1865, art. 40 e nulla autorizza ex actis a ritenere che la Commissione Provinciale di Padova o il CTU abbiano operato la dimidiazione alla stregua della disposizione in discorso e che, dall’altro canto, l’impugnazione del solo espropriante non consentirebbe in ogni caso di dare ingresso alle nuove norme (ingresso che non si scorge che interesse abbia il Comune a determinare, posto che il risultato sarebbe sempre l’applicazione del valore venale). Ed infatti, e come anche di recente ribadito (Cass. 2774 de 2012, 9763 del 2011, 25567 del 2010), la presenza di censure sulla liquidazione dell’indennità, sia con riguardo al criterio sia in relazione al quantum dell’indennizzo, rende contestata da parte dell’espropriato detta statuizione e consente, provvedendo sul ricorso, di dare ingresso al nuovo criterio di indennizzo emergente dopo la sentenza 348 del 2007 della Corte Costituzionale (per le espropriazioni anteriori alla entrata in vigore della nuova disciplina ex D.P.R. n. 327 del 2001 ancora il valore venale pieno di cui alla L. n. 2359 del 1865, art. 39). Ma ciò non avviene quando sia l’espropriante a dolersi della liquidazione, non potendo i nuovi criteri beneficiare l’espropriato che della applicazione dei vecchi, e rimossi, non ha mostrato di dolersi (Cass. 3175 del 2008).

Nell’un caso o nell’altro, pertanto, la applicazione del criterio di cui all’art. 40 citato sulla base del valore venale dell’immobile, resta insensibile alla vicenda normativa (che semmai lo conferma) Conclusivamente, si rigetta il ricorso e si dispone per la condanna del Comune alla refusione delle spese.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il Comune di Vigodarzere al pagamento delle spese di giudizio in favore dei controricorrenti in solido, che determina in Euro 4.200 (di cui Euro 200 per esborsi) oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 11 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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