Cass. civ. Sez. I, Sent., 05-07-2012, n. 11274 Opposizione al valore di stima dei beni espropriati

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

P.A., proprietaria di un fondo di mq. 7513 sito in (OMISSIS), espropriato per ragioni di P.U. nell’interesse del Consorzio ASI di Napoli, convenne in data 15.5.1987 il Consorzio innanzi al Tribunale opponendosi alla stima ed il giudice adito con sentenza 8.6.2001 riconobbe alla istante indennità per la somma di lire 329.643.400. La sentenza venne impugnata in via principale dal Consorzio ed in via incidentale dalla P. La Corte di Napoli con sentenza 27.1.2005, disattesa la eccezione di incompetenza del primo giudice riproposta dall’appellante Consorzio (sul rilievo che nella specie non sussisteva la competenza in unico grado della Corte, non essendosi l’espropriazione svolta secondo la L. n. 865 del 1971 ma sulla base della legge 2359 del 1865) nonchè disattesa l’eccezione di prescrizione del credito, stante la sua decorrenza dalla notifica del decreto (18.4.1987) e comunque alla luce della rinunzia ad essa avveratasi con l’offerta dell’indennità, ha preso in esame le questioni poste dall’appellante con riferimento alla determinazione dell’indennizzo.

La Corte ha applicato alla specie il regime della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis ed ha considerato che alla data dell’esproprio (25.7.1974) l’area era edificabile perchè ricadeva nella zona di edificabilità industriale dell’ASI ed aveva concrete attitudini alla edificazione, che il valore all’epoca dell’ esproprio era di lire 150.260.000, che applicando il criterio della semisomma di tal importo con il decuplo del reddito dominicale si perveniva a lire 76.951.900 al quale non doveva applicarsi la decurtazione del 40%, che era anche fondato il motivo del Consorzio sulla omessa disposizione di deposito presso la Cassa DD. e PP., pertanto ordinandosi il deposito di Euro 36.786,83.

Quanto alle doglianze esposte nel ricorso incidentale e coinvolgenti la richiesta di rivalutazione monetaria ex art. 1224 c.c., spettante quale piccolo consumatore e creditrice occasionale, la Corte ha osservato che anche uno solo di tali criteri doveva però correlarsi al canone del maggior danno differenziale rispetto a quello risarcito dagli interessi, che pertanto essendo il tasso complessivo degli interessi dal 15.5.1987 all’attualità pari al 100% e quello di inflazione pari all’88,12% nulla spettava per rivalutazione men che meno rilevando l’importo complessivo degli interessi attivi sui titoli di Stato, inferiore agli interessi legali.

Per la cassazione di tale sentenza la P. ha proposto ricorso il 24.2.2006 con tre motivi ai quali ha resistito il Consorzio ASI nel controricorso. La P. ha depositato memoria finale.
Motivi della decisione

Ritiene il Collegio che i tre motivi del ricorso siano infondati ma che, nondimeno, all’esito del loro esame e provvedendo sulla impugnazione facendo necessaria applicazione dello jus superveniens, la sentenza impugnata debba essere cassata.

Primo motivo: esso denunzia la sentenza in termini di violazione di legge processuale, per ultrapetizione, per avere la Corte – facendo capo a valori del fondo di molto anteriori a quelli indicati dalla relazione peritale, e che erano correlati all’anno 1994 – liquidato una indennità inferiore a quella assegnata dal primo giudice senza che l’appellante Consorzio avesse mosso contestazioni al proposito, l’appello essendosi concentrato solo sulla natura non edificabile del fondo.

Ritiene il Collegio che la denunzia di ultrapetizione come sopra sintetizzata sia fuor di segno: la Corte di Napoli – come non avvertito dalla ricorrente – ha riportato a pag. 12 punto 5 della decisione in disamina la sua lettura della terza censura del Consorzio ASI intendendola come contestante la sproporzione ed incongruità della stima operata dal CTU e recepita dal primo giudice oltre che come diretta a lamentare l’erronea affermazione del carattere non agricolo del fondo stesso. Il giudice del merito, quindi, ha ritenuto – come poi precisato al successivo par. 6.1 – che la generica contestazione di "congruità" della stima offerta dalla relazione peritale fisse condizione necessaria e sufficiente per la revisione del giudizio tecnico sul piano dei parametri e del quantum.

Ebbene, se la statuizione appena detta è di assoluta correttezza giuridica, si sarebbe solo potuto in ricorso prospettare che neanche quella contestazione di incongruità era stata proposta, altro essendo il tenore dell’appello. Si sarebbe dovuto allora – trattandosi di censura che palesemente afferiva non già alla "omessa pronunzia" bensì, e semmai, al fraintendimento o alla indebita interpretazione estensiva dell’atto di appello – addurre con piena autosufficienza il testo dell’ impugnazione (non direttamente esaminabile da questa Corte nell’ambito di una censura di errore di interpretazione) e farne oggetto di puntuali censure di disapplicazione delle regole interpretative per avere il giudice del gravame ritenuto – erroneamente – compresa la censura sulla congruità dei parametri in quella afferente il criterio di loro valorizzazione alla stregua degli strumenti urbanistici. In difetto di tal deduzione, la odierna doglianza devesi ritenere non ammissibile.

Secondo motivo: censura di contraddizione l’avere la Corte di Napoli collegato alla data di notifica del decreto di esproprio (18.4.1987) il momento di nascita del diritto al Indennizzo e poi correlato il suo quantum agli incongrui parametri applicabili alla anteriore data della sua adozione (25.7.1974). Il motivo non ha fondamento. Non vi è infatti alcuna contraddizione nell’argomentare della Corte territoriale posto che la correlazione alla data di notifica è stata effettuata al solo fine di conoscere della eccezione di prescrizione del diritto all’indennizzo, eccezione risolta con la puntuale applicazione dell’art. 2935 c.c., nel mentre la coincidenza della stima del valore con la data della emissione del decreto – che determina la perdita della proprietà dell’area a prescindere dalla soggettiva informazione dell’espropriato – è scelta di diverso segno e di assoluta correttezza logica e giuridica. Non può che richiamarsi al proposito quanto statuito da S.U. 833 del 1999 e seguito dalle successive pronunzie della Sezione Prima di questa Corte, tra le quali si rammentano 17337 del 2002 e 7696 del 2006.

Terzo motivo: si duole della statuizione della sentenza per la quale il diritto alla rivalutazione sarebbe stato riconoscibile ex art. 1224 c.c. solo se il saldo differenziale fosse stato attivo a favore dell’espropriato rispetto al saggio dell’interesse legale, circostanza negata sulla base della comparazione delle due percentuali. La statuizione in questa sede contestata – senza neanche comprenderla appieno – è assolutamente corretta alla luce del condiviso principio per il quale, qualora, in materia di crediti di valuta (quale è quello alla indennità di esproprio), il maggior danno lamentato consista unicamente nella differenza, su base annua, tra il saggio degli interessi legali previsto nel periodo in osservazione ed il tasso di svalutazione monetaria fissato dall’Istat, deve essere riconosciuta la sola rivalutazione per i periodi in cui la relativa percentuale sia superiore al tasso degli interessi legali, mentre nella ipotesi inversa sono dovuti solo questi ultimi (in tal senso la massima di Cass. 13359 del 2007). E poichè la Corte di merito ha accertato che dalla data della domanda (citazione del 15.5.1987) alla data della decisione (12.2004) il monte interessi legali maturati era nettamente superiore al complesso della svalutazione monetaria, ha rettamente respinto la domanda ex art. 1224 c.c..

Se le censure sono dunque prive di fondamento, nondimeno, e come anche di recente ribadito (Cass. 2774 del 2012, 9763 del 2011, 25567 del 2010), la presenza di censure sulla liquidazione dell’indennità, sia con riguardo al criterio sia in relazione al quantum dell’indennizzo, rende contestata da parte dell’espropriato detta statuizione e consente, provvedendo sul ricorso, di dare ingresso al nuovo criterio di indennizzo emergente dopo la sentenza 348 del 2007 della Corte Costituzionale (per le espropriazioni anteriori alla entrata in vigore della nuova disciplina ex D.P.R. n. 327 del 2001 ancora il valore venale pieno di cui alla L. n. 2359 del 1865, art. 39), come più volte ribadito da questa Corte (Cass. n. 22409 del 2008 – n. 28431 del 2008 – n. 11004 del 2010). E poichè la Corte di Napoli ha applicato (pag. 17) il criterio dell’adora vigente disposto della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis ed il secondo motivo del ricorso ha contestato la congruità della stima, ne discende la cassazione della pronunzia in applicazione delle nuove norme e l’esigenza di ricalcolare l’indennità a valore venale pieno. Non occorrendo ulteriori accertamenti, cassata la sentenza e decidendo ex art. 384 c.p.c. si procede quindi a nuova determinazione dell’indennità da depositare, alla stregua delle esatte indicazioni della sentenza e con gli accessori ivi indicati.

E pertanto, per la determinazione, si fa capo alla intera somma spettante di lire 150.260.000, e quindi di Euro 77.603 e si dispone il deposito, conclusivamente, in una con gli interessi legali dal 25.7.1974 a saldo, de saldo rispetto a quanto già depositato ab initio e di quanto depositato dopo la sentenza 27.1.2005 cassata.

Rimane ferma la liquidazione delle spese effettuata dal primo giudice e si dispone, in relazione all’esito della lite, che siano compensate per intero tra le parti tanto le spese del grado di appello quanto quelle del grado di legittimità.
P.Q.M.

Provvedendo sul ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, determina l’indennità dovuta in complessivi Euro 77.603,00 oltre interessi legali dal 25.7.1074 alle date di pagamento dei ratei ed al saldo finale, e dispone il deposito della detta somma presso la Cassa DD.PP. al netto di quanto già depositato; conferma la statuizione sulle spese del primo giudice e compensa per intero tra le parti le spese dei due successivi gradi.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 11 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2012

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