Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 16-11-2011) 14-12-2011, n. 46274 Vendita di prodotti industriali con segni mendaci

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 12 ottobre 2010, la Corte d’Appello di Napoli, 4A sezione penale, confermava la sentenza del Tribunale in sede appellata da H.X., con la quale quest’ultima era stata dichiarata colpevole di detenzione per la vendita e ricettazione di 4.707 prodotti industriali con diversi inarchi e segni distintivi contraffatti e condannata, ritenuto il concorso formale e riconosciute le attenuanti generiche, alla pena di otto mesi di reclusione ed Euro 400 di multa.

La Corte territoriale riteneva fondata la prova della responsabilità sulla scorta delle testimonianze del verbalizzante (a nulla rilevando che il teste M. avesse riferito che, per quel che ricordava, il titolare dell’esercizio commerciale era un uomo, posto che dal verbale di sequestro risultava la costante presenza dell’imputata). A nulla rilevava la grossolanità delle contraffazioni e l’esposizione di un cartello che avvisava che si trattava di merce prodotta in Cina, perchè il delitto di cui all’art. 474 c.p. è di pericolo finalizzato alla tutela del marchio, sicchè il fatto accertato non può esser diversamente qualificato come art. 517 c.p..

Contro tale decisione ha proposto tempestivo ricorso l’imputato, a mezzo dei difensori, che ne hanno chiesto l’annullamento per i seguenti motivi: – contraddittorietà della motivazione e inosservanza di norme giuridiche in ordine all’esatta individuazione del soggetto responsabile del negozio ove la merce è stata sequestrata, questione già sollevata con l’appello e non risolta nella sentenza impugnata se non con presunzioni e con la sollecitazione di una sorta di inversione dell’onere della prova, nonostante le dichiarazioni del M.llo M.; – contraddittorietà della motivazione e inosservanza di norme giuridiche per omesso riferimento alla normale diligenza del comune cittadino, perchè la fede pubblica deve necessariamente ad essa far riferimento; – violazione degli artt. 649 e 28 c.p.p. perchè la dimostrata pendenza di altro procedimento per il medesimo fatto è stata risolta attraverso il richiamo alla disciplina della litis pendenza, ma senza seguire la procedura prevista dall’art. 28 e segg. c.p.p..
Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso è infondato, perchè la sentenza impugnata ha dato conto del convincimento espresso in ordine alla disponibilità da parte della ricorrente della merce oggetto di sequestro, disponibilità desunta da elementi di sicura valenza indiziaria, la cui valutazione è criticata in maniera generica, per difetto di indicazione di elementi specifici di segno contrario, ad eccezione delle dichiarazioni del teste M. per le quali peraltro la Corte territoriale ha fornito adeguata giustificazione che, non essendo manifestamente illogica, non può essere oggetto di censura in questa sede.

2. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato. Ed invero "integra il delitto di cui all’art. 474 cod. pen. (introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi), la detenzione per la vendita di prodotti recanti marchio contraffatto; nè, a tal fine, ha rilievo la configurabilità della cosiddetta contraffazione grossolana, considerato che l’art. 474 cod. pen. tutela, in via principale e diretta, non già la libera determinazione dell’acquirente, ma la pubblica fede, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi o segni distintivi, che individuano le opere dell’ingegno e i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione; si tratta, pertanto, di un reato di pericolo, per la cui configurazione non occorre la realizzazione dell’inganno e nemmeno ricorre l’ipotesi del reato impossibile qualora la grossolanità della contraffazione e le condizioni di vendita siano tali da escludere la possibilità che gli acquirenti siano tratti in inganno" (Cass. Sez. 5, 5.7-21.9.2006 n. 31451; Cass. Sez. 5, 14.2- 13.3.2008 n. 11240; Cass. Sez. 5, 17.4-11.8.2008 n. 33324; Cass. Sez. 5, 25.9-30.10.2008 n. 40556).

In conseguenza correttamente si è ritenuta l’irrilevanza dell’esposizione di cartello indicante che si trattava di prodotti made in Cina.

3. Anche il terzo motivo di ricorso è infondato, perchè nel caso non si verte in ipotesi di conflitto di competenza ma di litispendenza, sicchè non doveva essere attivata la procedura di cui agli artt. 28 e segg. c.p.p., ma la regola dell’art. 649 c.p.p., secondo la quale "non può essere nuovamente promossa l’azione penale per un fatto e contro una persona per i quali un processo già sia pendente (anche se in fase o grado diversi) nella stessa sede giudiziaria e su iniziativa del medesimo ufficio del P.M., di talchè nel procedimento eventualmente duplicato dev’essere disposta l’archiviazione oppure, se l’azione sia stata esercitata, dev’essere rilevata con sentenza la relativa causa di improcedibilità. La non procedibilità consegue alla preclusione determinata dalla consumazione del potere già esercitato dal P.M., ma riguarda solo le situazioni di litispendenza relative a procedimenti pendenti avanti a giudici egualmente competenti e non produttive di una stasi del rapporto processuale, come tali non regolate dalle disposizioni sui conflitti positivi di competenza, che restano invece applicabili alle ipotesi di duplicazione del processo innanzi a giudici di diverse sedi giudiziarie, uno dei quali è incompetente" (Cass. S.U. 28.9.2005 n. 34655).

4. Il ricorso deve in conseguenza essere rigettato con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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