Cass. civ. Sez. I, Sent., 05-07-2012, n. 11270 Arbitrato irrituale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

I professori M.L., C.C. e D. M.S. chiedevano al Tribunale di Padova di determinare il compenso loro spettante per l’attività espletata nel procedimento arbitrale avente ad oggetto la controversia contrattuale insorta tra le società Finanziaria di Partecipazione s.p.a. (XX) e la XXs.p.a., conclusasi con il lodo emesso in data 4 maggio 1998. Il lodo aveva liquidato le spese di funzionamento del collegio arbitrale ponendole in misura di 2/3 a carico della XX e in misura di 1/3 a carico del Gruppo Basso, che non le avevano corrisposte.
Il tribunale, con sentenza del 26 giugno 2003, in accoglimento delle domande, condannava le società convenute a pagare, in solido, le somme richieste dagli attori, oltre interessi, rigettando l’eccezione sollevata dalla XX, secondo la quale nulla era dovuto agli arbitri poichè il lodo era stato depositato, pur considerando una proroga di centottanta giorni, dopo la scadenza del termine (di sessanta giorni) decorrente dal 23 luglio 1997, giorno in cui la XXaveva designato il proprio arbitro (prof. C.) e formulato i quesiti (era poi seguita, in data 1 agosto 1997, la designazione da parte della XX del proprio arbitro prof. D.M.). Il tribunale qualificava il lodo come irrituale e riteneva che la clausola compromissoria che prevedeva che il lodo dovesse essere comunicato per iscritto entro sessanta giorni dalla proposizione dei quesiti dovesse essere interpretata nel senso che il termine non potesse decorrere da data antecedente alla costituzione (avvenuta il 12 settembre 1997) del collegio arbitrale composto anche dal prof. M. designato come presidente: pertanto, tenuto conto che il termine originario di sessanta giorni scadeva l’11 novembre 1997 e della proroga di centottanta giorni, il termine veniva a scadere il 10 maggio 1998 e, quindi, il lodo era stato pronunciato tempestivamente il 4 maggio 1998.
La Corte di appello di Venezia, con sentenza 19 ottobre 2007, accoglieva gli appelli proposti dalle due società, rigettava le domande degli arbitri e li condannava, in solido, a rifondere alle società appellanti le spese processuali dei due gradi di giudizio.
I professori M. e C. propongono ricorso per cassazione affidato a undici motivi.
La società XX resiste con controricorso; la XXnon ha svolto attività difensiva; i ricorrenti hanno presentato una memoria.

Motivi della decisione

Nel primo motivo i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per avere fatto decorrere il termine di deposito del lodo, qualificato come irrituale, prima della costituzione del collegio arbitrale e cioè prima che tutti gli arbitri avessero accettato, così incorrendo in violazione e falsa applicazione dell’art. 1716 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), norma che ammette sì la derogabilità della regola della necessaria accettazione delle parti perchè il mandato abbia effetto, anche ai fini della decorrenza del termine per l’esecuzione della prestazione da parte dei mandatari, ma non in un caso in cui il mandato è necessariamente congiuntivo come quello arbitrale.
Nel secondo motivo la censurano per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) in ordine all’avvenuta stipulazione del patto contrario concernente l’efficacia del mandato congiuntivo arbitrale, imputandosi alla sentenza impugnata di non avere spiegato quando e tra chi tale patto sarebbe stato perfezionato.
Nel terzo motivo la censurano per violazione e falsa applicazione di norme di diritto (artt. 2697 e 2909 c.c.; artt. 167, 180, 183, 324, 342 e 345 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) per avere i giudici d’appello fondato la decisione sull’esistenza del patto contrario di cui all’art. 1716 c.c., comma 1, rilevandolo d’ufficio, senza che fosse stato considerato dalla sentenza di primo grado nè sottoposto all’attenzione delle parti nè dalle medesime eccepito o allegato.
Nel quarto motivo i ricorrenti deducono la omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) in ordine alla individuazione della volontà delle parti quanto alla fissazione del termine di deposito del lodo, avendo dato rilievo al solo senso letterale delle parole usate nella clausola compromissoria, senza indagare sulla effettiva volontà delle parti (art. 1362 c.c.) e violando il canone della interpretazione del contratto in senso conservativo (art. 1367 c.c.).
I suddetti quattro motivi possono essere esaminati congiuntamente e vanno accolti per quanto di ragione. Gli argomenti valorizzati dalla sentenza impugnata e specificamente contestati dai ricorrenti, a dimostrazione della ritenuta decorrenza del termine di deposito del lodo da una data – quella (23 luglio 1997) in cui una delle parti aveva comunicato all’altra di volere dare corso al procedimento arbitrale designando il proprio arbitro e proponendo i quesiti – antecedente a quella di accettazione degli arbitri (prevista in dieci giorni dalla comunicazione della loro nomina) e comunque antecedente alla costituzione del collegio arbitrale (avvenuta il 12 settembre 1997), sono così riassumibili: a) la clausola compromissoria sarebbe letteralmente formulata in modo da non consentire interpretazioni diverse da quelle evidenziate dalle parole usate, nel senso che il termine per la pronuncia del lodo doveva decorrere dal primo dei predetti termini; b) la richiesta avanzata dagli arbitri di ottenere una proroga il medesimo giorno della costituzione del collegio (il 12 settembre 1997) poteva giustificarsi in quel momento solo se gli iniziali sessanta giorni fossero già decorsi e quindi volgessero alla fine e non anche se il termine avesse dovuto iniziare a decorrere solo da quel giorno; c) infine i centottanta giorni di proroga, chiesti e ottenuti dagli arbitri, non potevano (contrariamente alla valutazione del tribunale) essere considerati come aggiuntivi rispetto al termine originario di sessanta giorni il quale, essendo essenziale, non era prorogabile.
Quest’ultimo argomento (sub c) è errato in diritto. Deve convenirsi che nell’arbitrato irrituale – in cui gli arbitri, in funzione e con posizione di mandatari, esercitano un potere connotato dalla sua derivazione dalla volontà delle parti ed emettono una determinazione che risolve la controversia in via negoziale, vincolando le parti alla stregua di un proprio atto di autonomia – il termine prefissato per la pronuncia del lodo sia strutturalmente "conformativo" del potere stesso, con la conseguenza che la scadenza del termine assegnato per l’espletamento dell’incarico priva gli arbitri del relativo potere (art. 1722 c.c., n. 1) e rende inefficaci gli atti successivamente compiuti (v. Cass. n. 58/2001, n. 574/1985, n. 4794/1984, n. 4785/1984). Tuttavia, proprio in ragione della genesi negoziale del potere di arbitrato (irrituale), non può negarsi che i compromittenti, nell’esercizio della loro autonomia, possano prorogare il termine ove già scaduto e, allo stesso modo, escluderne ab initio la natura essenziale (v. Cass. n. 24562/2011, n. 10462/1994, n. 5523/1983).
Inconsistente è l’argomento presuntivo (sub b) secondo cui gli arbitri chiesero la proroga di centottanta giorni al momento in cui si costituirono in collegio arbitrale, essendo consapevoli che il termine stava per scadere, perchè già decorso dalla precedente notificazione dei quesiti da parte di una delle società contendenti:
infatti la decorrenza del termine è un dato oggettivo e giuridicamente rilevante che non può essere desunto dai (o confuso con i) soggettivi convincimenti delle parti interessate, tanto più che è equivoca la ricostruzione della volontà degli arbitri, i quali potrebbero avere chiesto la proroga semplicemente perchè resisi conto della complessità dell’incarico e quindi dell’inadeguatezza del termine iniziale di sessanta giorni. Si tratta pertanto di motivazione inidonea a consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito per giungere alla decisione. L’ultimo e unico argomento (sub a.) utilizzato dai giudici d’appello fa leva, in sostanza, sul canone non codificato in claris non fit interpretatio a proposito della clausola compromissoria che prevedeva che il lodo dovesse essere "comunicato per iscritto alle parti entro 60 (sessanta) giorni dalla proposizione dei quesiti, che dovrà essere fatta per iscritto, anche ad opera di una sola delle parti" (il testo della clausola è stato riportato in ricorso). In realtà, già il dato letterale avrebbe richieste una motivazione, invece assente, sulle ragioni che hanno indotto la corte di merito a dare esclusivo rilievo, ai fini della decorrenza del termine di deposito del lodo, al momento in cui una delle parti aveva designato il proprio arbitro e proposto i quesiti all’altra parte contendente (cioè alla XX), senza considerare che l’incarico arbitrale non era esigibile nei confronti del primo arbitro designato fintantochè non fossero stati quantomeno designati anche gli altri arbitri e senza "collegare" in via interpretativa la suddetta clausola a quella, immediatamente precedente, secondo la quale gli arbitri dovevano dare comunicazione scritta dell’accettazione dell’incarico, presumendosi in mancanza la mancata accettazione.
E’ noto che l’art. 1362 c.c. pone il principio della ricostruzione della volontà delle parti e non dell’interpretazione letterale, la quale rappresenta solo un’imprescindibile dato di partenza dell’indagine ermeneutica (v. Cass. n. 14495/2004), che non può prescindere nè dall’intero contesto contrattuale nel quale le singole clausole sono inserite nè dall’esigenza che il contratto non risulti neppure in parte frustrato e che la sua efficacia potenziale non subisca alcuna limitazione, nel rispetto del principio di conservazione dello stesso (v. Cass. n. 8301/1997). E’ rispetto a questi principi legali di interpretazione del contratto che dev’essere valutato l’esito ermeneutico fatto proprio dalla corte veneziana secondo cui il termine (di adempimento) previsto nella convenzione arbitrale per il deposito del lodo decorrerebbe da una data – quella di proposizione dei quesiti ad uno solo dei tre arbitri – antecedente a quella in cui gli altri arbitri furono investiti dell’incarico e lo accettarono.
I ricorrenti contestano tale esito ermeneutico per l’effetto che si avrebbe, in caso di mancata accettazione degli altri arbitri successivamente investiti dell’incarico, di trasformare l’arbitrato congiuntivo in arbitrato disgiuntivo o (al limite) monocratico, essendo il primo arbitro designato (accettante) obbligato a decidere da solo per non incorrere in un inadempimento. La società resistente ritiene invece che la congiuntivite del mandato a più mandatari, essendo nell’interesse del mandante, sia derogabile per patto contrario ex art. 1716 c.c., comma 1, che può essere manifestato anche implicitamente (v. Cass. n. 729/1971), "se ciò, come nella specie, corrisponde ad un interesse delle parti" (così si esprime anche la sentenza impugnata a pag. 20).
A prescindere dalla mancata esplicitazione di quale sia detto "interesse delle parti" e di quali siano le parti cui ci si riferisce, il che aggrava il giudizio di inadeguatezza della motivazione, occorre considerare la peculiarità del negozio arbitrale già evidenziata nella giurisprudenza di questa Corte e ignorata dai giudici d’appello. L’arbitrato irrituale è infatti riconducibile ad un mandato conferito congiuntamente e da vita ad un rapporto che interessa non solo una delle parti compromittenti, ma anche l’altra, in quanto solo dal concorso della volontà di entrambe le parti viene conferito al collegio arbitrale il mandato a definire la controversia con il proprio dictum (v. Cass. n. 16678/2002, n. 8243/1995). Il profilo della congiuntivite del mandato arbitrale che qui rileva è quello dell’adempimento da parte degli arbitri, ai quali i mandanti hanno conferito un incarico necessariamente indivisibile e ad attuazione congiunta, nel senso che tutti gli arbitri devono accettare e partecipare alle singole operazioni richieste per l’esecuzione dell’incarico. Ne danno una dimostrazione l’art. 1716 c.c., secondo cui il mandato conferito a più persone designate a operare congiuntamente non ha effetto se non è accettato da tutte, e l’art. 1730 c.c., secondo tale mandato si estingue anche se la causa di estinzione concerne uno solo dei mandatari (e può essere revocato solo di comune accordo fra tutti gli interessati:
Cass. n. 8243/1995 citata).
L’esigenza dell’ accettazione da parte di tutti i mandatari (i quali, secondo una dottrina, danno luogo ad una "parte soggettivamente complessa") si giustifica nell’interdipendenza delle attività che ciascun arbitro deve svolgere con la necessaria compartecipazione degli altri, ai fini della pronuncia di un atto paragiurisdizionale com’è quello di risoluzione della controversia in via negoziale.
Questa Corte ha rilevato che l’arbitrato irrituale (come quello previsto dall’art. 7, comma 6, dello Statuto dei lavoratori) costituisce un analogo strumento di composizione privatistica in cui è insita la rinuncia delle parti alla tutela giurisdizionale dei diritti nascenti dal rapporto controverso, effetto questo che non si produce con la (sola) manifestazione della volontà di adire il (o con la sola nomina del) giudice privato, ma solo nel momento in cui tutti gli arbitri abbiano accettato l’incarico, pur a prescindere da atti formali in tal senso; prima di questo momento ancora non esiste l’organo giudicante, nè è possibile parlare di pendenza del procedimento arbitrale (v. Cass. n. 6411/1993). Si spiega perchè il termine di deposito del lodo è fatto decorrere dalla data di costituzione del collegio giudicante, desumendosi implicitamente dal verbale di prima riunione degli arbitri la manifestazione della loro volontà di accettare la nomina (v., su quest’ultimo punto, Cass. n. 8177/1997, n. 2439/1973).
La sentenza impugnata ha violato questi principi, avendo fatto decorrere il termine per il deposito del lodo da una data antecedente al momento in cui il procedimento arbitrale poteva dirsi pendente, senza considerare che il mandato congiuntivo corrisponde ad un interesse dei mandanti ma anche dei mandatari, atteso che l’eventuale adempimento da parte di alcuni soltanto di essi anzichè di tutti sarebbe inesatto.
La società resistente, in linea con la sentenza impugnata, oppone che la clausola compromissoria di cui si discute valorizzava l’autonomia negoziale, avendo le parti inteso pattuire per la decorrenza del termine di deposito del lodo una data antecedente all’accettazione della nomina da parte di tutti gli arbitri, come sarebbe consentito dall’art. 1716 c.c., comma 1, che prevede la possibilità di un "patto contrario" alla regola dell’attuazione congiunta dell’incarico da parte dei mandatari, regola nella quale può ritenersi implicito che il termine (comunque unico) di adempimento da parte degli arbitri inizi a decorrere dal momento in cui essi siano effettivamente investiti del potere negoziale conferito loro dai mandanti. A fondamento di tale impostazione potrebbe sostenersi che, accettando un incarico che preveda per il deposito del lodo un termine particolarmente ristretto o decorrente da una data persino antecedente alla loro accettazione della nomina, gli arbitri (e le parti contendenti) abbiano esercitato autonomamente un potere negoziale riconosciuto dalla legge in materia disponibile.
Tuttavia, dell’esistenza di un simile patto, quando sia contestato nel processo, i giudici di merito devono dare adeguata motivazione, che è mancata da parte della sentenza impugnata, la quale dev’essere pertanto cassata, con rinvio della causa alla Corte di (appello di Venezia che, in diversa composizione, si atterrà ai principi sopra enunciati.
Gli altri motivi di ricorso sono assorbiti: il sesto, settimo e ottavo concernenti la qualificazione dell’arbitrato come irrituale o rituale e i relativi effetti; il quinto e il nono concernenti dedotti errores in procedendo; il decimo e l’undicesimo concernenti la liquidazione delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi quattro motivi di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 7 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2012

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