Cass. civ. Sez. I, Sent., 05-07-2012, n. 11268 Revocatoria fallimentare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La ricorrente XX. impugna la sentenza App. Salerno 25.10.2005 n. 586 con cui, in parziale accoglimento del proprio appello avverso la sentenza emessa da Trib.
Salerno del 13.1.2003/14.2.2003, venne condannata verso il Fallimento Coinfer s.r.l. alla restituzione della minor somma di Euro 182.248,38 oltre interessi legali dalla domanda, con compensazione delle spese fra le parti, così modificando la sentenza del giudice di primo grado, recante condanna, al medesimo titolo di revoca ex art. 67, comma 2, L. Fall., ma per il maggior importo di Euro 352.089,40.
Non costituitasi in primo grado, XXs.n.c. interpose invero appello avversando nel merito la sentenza, per il difetto di prova dell’elemento soggettivo dell’azione all’epoca di ciascuno dei pagamenti revocati e comunque chiedendo che, in caso di ribadito fondamento, fosse ridotta la condanna a soli Euro 182.248,38, per essere stato quello il petitum ritualmente introdotto dal curatore, non dovendosi invero accedere alla diversa, maggiore, domanda formulata inammissibilmente solo con la comparsa conclusionale e che infine fosse disposta la condanna altresì ex art. 96 cod. proc. civ. Il fallimento, costituendosi, circoscrisse la propria pretesa alla somma minore e dunque il giudice d’appello precisò che il thema decidendum doveva essere delimitato al solo profilo della conoscenza dello stato d’insolvenza. Essa, peraltro, venne ribadita con richiamo al "rapporto genitoriale" esistente tra l’amministratore unico della s.r.l. fallita e gli appellanti", unici soci della s.n.c., nonchè alla circostanza che anche I.A. era divenuta socia al 50% della s.r.l. fallita (per dichiarazione con sentenza del 15.10.1999) ed amministrata dal padre e ciò per effetto di atto del 21.5.1992. Circa l’esistenza dell’insolvenza richiamò la sentenza dichiarativa di fallimento, passata in giudicato.
Il ricorso è affidato a due motivi e resistito con controricorso, con deposito di memorie di entrambe le parti ex art. 378 cod. proc. civ..

Motivi della decisione

Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 67, comma 2, L.Fall. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, contestandosi che la sentenza, contravvenendo alla dislocazione dell’onere della prova in capo al curatore, si sia limitata a rinvenire l’elemento soggettivo dell’azione dal mero accertamento dell’insolvenza di cui alla dichiarazione di fallimento e dai rapporti di parentela tra i soci e con gli amministratori delle due società.
Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, per non avere la sentenza deciso sulla domanda di condanna risarcitoria formulata dall’appellante ex art. 96 cod. proc. civ., pur ben sapendo la curatela dell’erroneità della sentenza in punto di importo oggetto di restituzione, come ammesso per le conclusioni conformi nel grado ed invece contraddetto dal precetto per l’importo originario.
1. Il primo motivo di ricorso è infondato. La censura è stata espressa peraltro in un ambito narrativo non del tutto proprio quanto alla sua rubrica, avendo fatto riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 4, e tuttavia accostandovi la violazione e la falsa applicazione dell’art. 67, comma 2, L.Fall., la norma che pacificamente il giudice di merito mostra di aver voluto applicare. In tema, ritiene il Collegio di dover dare continuità all’indirizzo per cui "la configurazione formale della rubrica del motivo di gravame non ha contenuto vincolante per la qualificazione del vizio denunciato, poichè è solo la esposizione delle ragioni di diritto della impugnazione che chiarisce e qualifica, sotto il profilo giuridico, il contenuto della censura" (Cass. 7882/2006; 7981/2007 per fattispecie relative a ricorsi in cui la dedotta violazione e falsa applicazione di norme si connetteva ad una contestazione concernente anche la incongruità della motivazione e, rispettivamente, viceversa). Lo scorretto richiamo all’art. 360 c.p.c., n. 4 non preclude dunque, assolvendo a ciò il principio di diritto dei citati precedenti, l’individuazione del supposto errore del giudice di merito, consistente nell’additata cattiva applicazione della disciplina che regola, quanto all’azione revocatoria fallimentare, l’assolvimento dell’onere della prova, nonchè il suo oggetto e che in particolare, per le fattispecie di cui all’art. 67, comma 2, L.Fall. (nel testo, ratione temporis applicabile, anteriore alla riforma inaugurata dal D.L. n. 35 del 2005), impone che nell’elemento soggettivo siano posti in stretta correlazione anche temporale lo stato d’insolvenza alla sua conoscenza in capo all’accipiens.
2. Nella sentenza impugnata – dopo il richiamo ai numerosi pagamenti per cassa, descritti nello svolgimento del processo – i giudici di Salerno distinguono l’esistenza di segnali d’insolvenza dalla conoscenza degli stessi. Circoscritta programmaticamente la controversia proprio al menzionato elemento soggettivo dell’azione, essi fanno così discendere la prova della prima dall’accertamento di cui alla sentenza di fallimento e della seconda dalle relazioni parentali tra soci della s.n.c. accipiens e soci ed amministratore della s.r.l. fallita. Pur osservando il Collegio la sbrigatività del ragionamento probatorio ove sembra collegare i sintomi cognitivi del dissesto alle mere statuizioni della sentenza di fallimento, va dato atto che la conoscenza dello stato di insolvenza riceve comunque, nella sentenza impugnata, una univoca indicazione – anche con riguardo al lungo periodo in cui si trovano dispiegati gli atti revocati – dalla fitta rete parentale connotante le relazioni tra la società fallita (disponente i pagamenti) e la società accipiens, così da riflettersi nell’avvenuta dimostrazione, di spettanza del curatore che agisce, di una apprezzabile condizione almeno informativa (e dunque, ai fini dell’azione, anche psicologica) in capo alla parte che ricevette il saldo delle fatture rispetto alla situazione in cui versava la società debitrice.
3. Paiono così osservate le regole di diritto proprie dell’art. 67, comma 2, L.Fall., per le quali il convenuto non potrebbe provare che "il debitore, nel cosiddetto periodo sospetto anteriore alla dichiarazione di fallimento, non versava in stato di insolvenza, ma solo in una situazione di temporanea difficoltà ad adempiere, atteso che detto stato di insolvenza è oggetto di presunzione "iuris et de iure" derivante dalla stessa apertura della procedura concorsuale;
nè, a maggior ragione, siffatto accertamento può essere compiuto d’ufficio dal giudice del merito, il quale deve invece verificare, ai fini della prova dell’elemento soggettivo dell’anione, se, nel medesimo periodo e con riguardo al tempo degli atti revocando, si siano manifestati all’esterno i sintomi del dissesto e come tali siano stati percepiti dall’accipiens" (Cass. 4559/2011). Così, se è vero che chi agisce in revocatoria fallimentare deve dimostrare la conoscenza dello stato di insolvenza del convenuto all’epoca dei pagamenti (Cass. 8827/2011; 10573/2008; 4318/1998), il principio ha trovato declinazione corretta anche nella sentenza impugnata, la quale, enunciando la norma con cui scrutinare il materiale probatorio versato in atti dal Fallimento, ha ritenuto assolto il requisito storico dei sintomi dello stato d’insolvenza (l’oggetto necessario della dimensione cognitiva in capo all’accipiens) saldando la portata normativa attribuita alla sua dichiarazione giudiziale conseguente alla sentenza di fallimento (che pur ha riguardo innanzitutto alla situazione economico-finanziaria in cui versa il debitore all’epoca della pronuncia stessa) con la citata relazione di parentela dei soci della società in nome collettivo, destinataria dei pagamenti, con l’amministratore della società a responsabilità limitata fallita: i soci della s.n.c. erano suoi figli e parimenti alla s.r.l.
partecipava altra figlia del medesimo amministratore, circostanze che, per la loro collocazione non circoscritta ad un singolo momento, nè contestate dal ricorrente, hanno assunto, nell’apprezzamento del giudice di merito, una valenza significativa tale da assurgere ad unitario fattore sintomatico di permanente fonte di informazioni e particolare posizione di vicinanza organizzativa circa i fatti relativi alla società disponente, fallita il 15.10.1999, compresi i suoi pagamenti, intercorsi tra il 11.12.1998 ed il 2.10.1999.
4. Si tratta dunque di un quadro sintomatico correttamente ritenuto rilevante (secondo motivazione congrua e logica), coerente con la ratìo della disposizione di cui all’art. 67, comma 2, L.Fall. ed oltre tutto non contestato con l’allegazione di alcuna altra circostanza da parte del convenuto, così potendosi intendere ulteriormente dislocato a carico di questi – e definitivamente non assolto – l’onere di contrastare il significato derivante dalle produzioni versate in atti dalla curatela.
5. Circa il secondo motivo di ricorso, esso è in parte infondato ed in parte inammissibile. Il ricorrente ha omesso anche solo di allegare qualsivoglia concreto pregiudizio asseritamente ritratto dal precetto intimato per la maggiore somma di cui alla sentenza di primo grado (poi ridotta in appello), solo limitandosi a censurare il mancato esame esplicito della domanda di cui all’art. 96 cod. proc. civ., evidentemente ritenuta assorbita dalla corte di merito in considerazione della decisione assunta e qui comunque dovendosene predicare la riferibilità, in astratto, ad un’impugnazione tipica dell’opposizione pre-esecutiva di cui all’art. 615 cod. proc. civ., con conseguente inammissibilità del suo esperimento nel presente giudizio di revocatoria.
6. Il ricorso va dunque respinto, nei sensi di cui in motivazione, con liquidazione delle spese come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso ai sensi di cui in motivazione; condanna il ricorrente alle spese del giudizio di cassazione in favore del controricorrente, che si liquidano in Euro 3.200, di cui 3.000 per onorari e 200 per spese, oltre a spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2012

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