Cass. civ. Sez. I, Sent., 05-07-2012, n. 11267 Revocatoria fallimentare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il ricorrente Comune di Acqui ferme impugna la sentenza 16.12.2008, n. 1802 della Corte d’Appello di Torino che, respingendo il proprio appello – nonchè quello dell’attuale controricorrente e ricorrente incidentale Fallimento Immobiliare Covedil s.p.a. – avverso la sentenza del Tribunale di Acqui Teme del 24.5.2005, confermò l’intervenuto accoglimento, da parte del primo giudice, della domanda della banca Credito Emiliano s.p.a. (nella qualità di cessionaria delle posizioni attive già in capo all’incorporata Banca di Girgenti) volta al pagamento dei corrispettivi dovuti da detto Comune alla società Immobiliare Covedil s.p.a. per due contratti di appalto (stipulati il 6.7.1990 ed il 10.9.1990 come da fatture nn. (OMISSIS)) e da questa ceduti il 11.4.1991 alla banca Girgenti, a titolo di garanzia per un finanziamento da essa ricevuto. Riconobbe il Tribunale di Acqui Terme che il Comune, anzichè pagare direttamente i citati corrispettivi alla banca cessionaria, ne aveva regolato il saldo a mani del curatore del fallimento della società appaltatrice, nel frattempo fallita (con dichiarazione del locale tribunale del 8.7.1992) e che tuttavia, così disattendendo la domanda di revocatoria fallimentare dell’atto di cessione del credito, quest’ultima azione era inammissibile siccome proposta dal convenuto Comune e prescritta in quanto avanzata dal Fallimento (solo con la comparsa di costituzione 15.9.1999), mentre improcedibile era altra domanda riconvenzionale del Fallimento, non autorizzata dal giudice delegato.

La causa pervenne al primo giudice per effetto della riassunzione, da parte del Credito Emiliano s.p.a., dopo che il Tribunale di Agrigento, originariamente adito (citazione 3.6.1997), aveva dichiarato la propria incompetenza territoriale. A prova del proprio titolo, Credito Emiliano richiamò l’avvenuta notifica al Comune di Acqui Terme dell’atto di cessione dei crediti (9.3.1992) e l’impegno del Sindaco al pagamento a sue mani con l’approvazione dello stato di avanzamento dei lavori (lettera 3.7,1992), poi intervenuta (Delib. n. 83 del 1992), così riconoscendosi in capo a Covedil il credito di Lit 226.300.336 (oltre IVA). A sua volta il Comune eccepì l’inopponibilità a sè della cessione mancando il consenso o l’adesione dell’ente pubblico, l’inopponibilità al fallimento della cessione stessa ex art. 67, L. Fall., e l’infondatezza del credito, dato che, al momento della cessione, i lavori da capitolato non raggiungevano il 10%, così che la delibera prefettizia di riconoscimento in prosieguo era stata annullata con Delib. Giunta comunale 8 giugno 1995. Nel giudizio venne chiamato il curatore del Fallimento che, contestando la domanda, ne chiese il rigetto anche in via revocatoria, avendo nel frattempo incassato la somma (Lit 219.581.871) per il primo appalto dal Comune, come da liquidazione della giunta comunale del 10.6.1996 e in via riconvenzionale chiese la condanna del Comune per la differenza rispetto alle opere eseguite sul secondo appalto (fattura su appalto 5074, per Lit 111.128.732).

Il contraddittorio venne ulteriormente integrato verso il Sindaco del Comune, C.E., già firmatario della lettera di accettazione 3.7.1992 della cessione del credito. C. si costituì a sua volta chiedendo di essere autorizzato a chiamare in causa le quattro compagnie assicuratrici che avevano stipulato con il Comune una polizza cumulativa (Vittoria s.p.a., Milano s.p.a., La Previdente s.p.a. e Unipol s.p.a.), nel merito eccependo la decadenza della chiamata di terzo e l’infondatezza della domanda e, in subordine, la manleva delle assicurazioni.

Infine, anche le compagnie assicuratrici si costituirono, eccependo la prescrizione del diritto di garanzia, dato che dopo la lettera 3.7.1992 nessuna comunicazione ad esse era pervenuta, escludendosi così ogni sospensione e parimenti fu eccepita la prescrizione anche della domanda della banca verso C., poichè fondata su titolo di responsabilità extracontrattuale.

Nel corso del giudizio avanti alla corte d’appello, riunite le impugnazioni distintamente proposte avverso la medesima sentenza di primo grado da Fallimento Covedil e Comune di Acqui Terme, vi fu il decesso di C., con riassunzione verso gli eredi e, nella non costituzione di essi, la relativa dichiarazione di contumacia.

La corte d’appello, per quel che qui interessa ai fini di causa, rigettò i primi due motivi di impugnazione rispettivamente del Fallimento e del Comune riconoscendo che la cessione dei crediti in oggetto, stipulata per atto pubblico, aveva riguardato un credito esistente ed esigibile, poichè essa si era riferita non già al corrispettivo di lavori effettivamente eseguiti bensì alle somme dovute dalla amministrazione appaltante a titolo di anticipazione finanziaria, potendo invero le amministrazioni pubbliche anticipare all’impresa appaltatrice il 10% del prezzo d’appalto ed essendo stato l’istituto, già disciplinato ai sensi del R.D. n. 2440 del 1923, art. 12, mutato in diritto soggettivo L. n. 741 del 1981, ex art. 3.

Inoltre, così come le parti avevano sospensivamente condizionato l’efficacia della cessione al benestare dell’amministrazione appaltante, L. n. 2248 del 1865, ex art. 9, All. E, altrettanto ebbe a riconoscere il giudice di merito nell’adesione alla cessione della lettera 3.7.1992 del Sindaco di Acqui Terme: essa era imputabile all’ente, completa di ogni elemento formale e non disattendibile da atti interni del Comune, volti a negare, con l’esecuzione dei lavori, la fondatezza del credito, che aveva altro titolo nella legge stessa e che il Sindaco si limitò a qualificare in termini ricognitivi, senza mutare i termini dei contratti d’appalto. In ogni caso, secondo la corte, sia la cessione che l’adesione sindacale si fondarono su data certa anteriore al fallimento, il successivo annullamento in autotutela della delibera commissariale di approvazione del primo SAL non ebbe alcuna influenza sulla cessione del credito, già perfezionata, l’azione diretta alla sua revoca era improponibile da parte del Comune e prescritta quanto al fallimento, senza interruzioni per effetto di corrispondenza fra le parti.

La corte d’appello, poi, corresse la dichiarazione di improcedibilità della domanda riconvenzionale – per il pagamento di altra fattura di Covedil verso il Comune – proposta dalla curatela, essendo stato prodotto nel grado l’atto autorizzatorio del giudice delegato, a sanatoria dell’omissione rilevata dal primo giudice e, trattata la stessa nel medesimo processo, la respinse però nel merito, avendo la curatela domandato al Comune il pagamento di un credito non più nel patrimonio della fallita al momento del suo fallimento, poichè già ceduto in favore della banca.

Il ricorso del Comune di Acqui Terme è affidato a quattro motivi, resistito dal Fallimento Immobiliare Covedil s.p.a. con controricorso e ricorso incidentale, con cinque motivi e con controricorsi del Credito Emiliano s.p.a. e del Comune; le parti hanno depositato memorie ex art. 378 cod. proc. civ..
Motivi della decisione

Quanto al ricorso principale, con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione del D.L. 30 maggio 1998, n. 173, art. 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, contestandosi che il credito dell’impresa appaltatrice fosse in realtà anche esigibile, difettando la condizione cui era vincolata la corresponsione della anticipazione provvisoria, da parte della P.A., e cioè la previa dichiarazione del direttore dei lavori di avvenuto concreto inizio degli stessi.

Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 2248 del 1865, art. 339, ALL. E e L. n. 142 del 1990, artt. 32- 36, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 dovendosi disconoscere nella lettera del Sindaco C. la indispensabile accettazione dell’amministrazione interessata, ulteriore condizione cui la prima norma subordina la cessione del "prezzo dei contratti in corso", mancando infatti una formale deliberazione proveniente dall’organo competente – la giunta o il consiglio – non intervenuto in prosieguo a ratifica.

Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 2248 del 1865, art. 9, ALL. E, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 contestandosi che la dichiarazione di accettazione da parte del sindaco operasse in termini meramente ricognitivi di un diritto soggettivo al pagamento da parte dell’appaltatrice e dunque al diritto di disporre del credito cedendolo a terzi.

Con il quarto motivo si deduce omessa insufficiente contraddittoria motivazione con riguardo all’art. 1362 cod. civ. ed in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 dovendosi negare che la lettera del sindaco, in cui si dava atto dello stato di avanzamento dei lavori proveniente dal relativo direttore, potesse essere correttamente intesa come manifestazione di consenso implicita alla cessione del credito e non anche, più semplicemente, atto ricognitivo dello stato della procedura, senza alcun impegno al pagamento anche da parte dell’ente che non fosse condizionato a positivi atti di approvazione dei lavori da parte della giunta. Il che non avrebbe pertanto potuto generare alcun affidamento.

Il controricorrente Fallimento Immobiliare Covedil s.p.a., nell’avversare la domanda del Comune, perchè infondata, propone ricorso incidentale sulla base di cinque motivi. Con il primo, deduce violazione e falsa applicazione del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, art. 12, L. 10 dicembre 1981, n. 741, art. 3, D.P.R. 30 giugno 1972, n. 627, art. 2, L. 2 marzo 1989, n. 65, art. 2 e difetto di motivazione, contestandosi che la posizione soggettiva di credito dell’appaltatore fosse qualificabile come diritto soggettivo e non piuttosto degradata ad un interesse dipendente dalla discrezionalità della P.A., ricavabile dalla L. 2 marzo 1989, n. 65, art. 2 e comunque soggiacente alla prestazione di idonee garanzie bancarie o equivalenti, in fatto mai prestate dall’appaltatore ed in ogni caso non esistenti al momento della cessione. Il Fallimento contesta poi che il diritto potesse essere fatto valere dall’appaltatore in mancanza della erogazione di un mutuo ovvero per il sopraggiunto fallimento.

Con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione della L. 20 marzo 1865, art. 339, n. 2248, ALL. F) come sostituito dalla L. 12 luglio 1921, n. 203, art. 22 e L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 9, ALL. E), negandosi l’efficacia della cessione del credito verso la P.A. in difetto di riconoscimento da parte della stessa o adesione, tale non potendosi intendere la lettera del sindaco, occorrendo una delibera del competente organo consiliare comunale.

Con il terzo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2914 cod. civ, e difetto di motivazione, non avendo la sentenza considerato l’eccezione di inopponibilità al fallimento delle cessioni di crediti futuri, cioè venuti ad esistenza dopo la cessione stessa ed in particolare per lavori eseguiti dopo la cessione e con insorgenza del credito in data anche successiva al fallimento, a tale epoca risalendo l’avvenuto collaudo, prima non essendo il credito anche esigibile.

Con il quarto motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2903 cod. civ. in relazione all’art. 100 cod. proc. civ. e dell’art. 67 L. Fall. e difetto di motivazione, avendo errato la sentenza nell’affermare la prescrizione dell’azione revocatoria, per la quale il dies a quo sarebbe decorso dalla dichiarazione di fallimento, mentre in realtà solo in epoca successiva sarebbe sorto l’interesse del curatore a proporre detta azione, e cioè al collaudo o alla liquidazione delle somme o alla chiamata in giudizio della curatela.

Il fondamento dell’azione doveva poi ricondursi all’art. 67, comma 1, n. 2, L. Fall. avendo la cessione operato come strumento per assicurare in modo anomalo un pagamento.

Con il quinto motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e difetto di motivazione, non avendo la corte d’appello deciso sulla domanda di pagamento, svolta dal Fallimento verso il Comune per il corrispettivo del contratto d’appalto, cioè per un credito diverso dall’anticipazione oggetto della cessione, nè sulla domanda di accertamento della legittimità dell’avvenuto incasso, da parte del fallimento, della somma ricevuta dal Comune a saldo del credito della fallita società per la parziale esecuzione di opere relative all’appalto n. 5035.

1. Va preliminarmente rilevato che la notifica del ricorso anche alle imprese assicurative Vittoria Assicurazioni s.p.a., Milano Assicurazioni s.p.a. (anche quale incorporante La Previdente Assicurazioni s.p.a.) ed Unipol Assicurazioni s.p.a., oltre che agli eredi di C.E., questi ultimi dichiarati contumaci già nella sede dell’appello, si correla alla circostanza per cui il Comune – e poi il ricorrente incidentale – non hanno assunto alcuna conclusione contro i predetti soggetti, che pertanto nemmeno assumono nella sede della legittimità la qualità di "parte", nonostante la predetta notifica (Cass. 9002/2007) e tenuto conto che già in appello la Banca non aveva proposto alcuna domanda verso gli eredi C., nè da costoro, contumaci, verso le assicurazioni. Per tali intimati il ricorso è dunque inammissibile.

2. Occorre poi esaminare un secondo profilo di inammissibilità, riferibile al ricorso incidentale del Fallimento. Quest’ultimo ha censurato la sentenza impugnata, quanto ai primi due motivi, per ragioni di critica sostanzialmente omogenee a quelle sviluppate dal Comune, ricorrente principale e quanto agli altri motivi con impugnazione di valenza parzialmente più autonoma, con essi dolendosi rispettivamente – motivi nn. 3-4 – del mancato accoglimento delle domande già svolte avanti al giudice di merito in punto di inefficacia e revocabilità della cessione del credito e – motivo n. 5 – della domanda di pagamento verso il Comune per l’esecuzione di lavori d’appalto. Quanto ai motivi adesivi a quelli del ricorso principale, si osserva che "la disciplina dell’art. 334 cod. proc. civ. – che consente l’impugnazione incidentale tardiva nei confronti di qualsiasi capo della sentenza impugnata "ex adverso" (per svolgere, cioè, ragioni di impugnazione ulteriori, anche se, eventualmente, comuni alla posizione della parte impugnante in via principale) – è applicabile solo all’impugnazione incidentale in senso stretto, che si identifica con quella proveniente dalla parte contro la quale è stata proposta l’impugnazione principale o che sia stata chiamata ad integrare il contraddittorio, ai sensi dell’art. 331 cod. proc. civ., e non è, pertanto, estensibile all’impugnazione incidentale di tipo adesivo (ossia a quella diretta a chiedere la riforma della sentenza per gli stessi motivi già fatti valere con l’impugnazione principale), che resta soggetta ai termini ordinari" (Cass. 6284/2008; 1610/2008; 7049/2007; 6807/2007; 6034/2007;

10367/2004) ed "a maggior ragione è soggetto ai detti termini ordinari qualsiasi ricorso proposto successivamente al primo, che ha sempre valenza d’impugnazione incidentale, qualora investa un capo della sentenza non impugnato con il ricorso principale o lo investa per motivi diversi da quelli fatti valere con il ricorso principale, trattandosi di ricorso la cui autonomia prevale comunque anche sull’eventuale contenuto adesivo al ricorso principale" (Cass. 13644/2010; 11031/2003). Nella fattispecie il ricorso in esame appare – per i primi quattro motivi – di tipo adesivo, in quanto non è diretto a contestare il ricorso principale (a cui indubbiamente aderisce e in un certo qual modo lo rafforza, con ulteriori motivi d’impugnazione), ma è rivolto contro la parte investita dell’impugnazione principale: alla stregua del principio per cui, "anche nelle cause scindibili com’è per la trattazione simultanea delle domande del Fallimento, il suddetto interesse all’impugnazione sorge dall’impugnazione principale, la quale, se accolta, comporterebbe una modifica dell’assetto delle situazioni giuridiche originariamente accettate" dal contro ricorrente (Cass. 5086/2012;

24627/2007), non può affermarsi che tale situazione ricorra. Nella vicenda, invero, non può dirsi che il ricorrente principale abbia impugnato la sentenza anche contro il Fallimento ricorrente incidentale, che a sua volta ha sviluppato un’unica doglianza sicuramente autonoma, avverso un capo della sentenza non investito dal ricorso del Comune e per il quale, dunque, il ricorso del Fallimento è stato tardivamente notificato il 10.7.2009, nonostante la sentenza gli fosse stata notificata dalla banca il 15.4.2009.

3. Quanto al ricorso principale, il primo motivo è in parte infondato ed in altra parte inammissibile. Nella disciplina degli appalti di opere pubbliche, la L. 10 dicembre 1981, n. 741, art. 3, comma 1 ha mutato il regime delle anticipazioni finanziarie, in precedenza improntato alla regola della facoltatività ai sensi del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, originario art. 12: l’anticipazione del 10% sul prezzo dell’appalto venne così trasformata in un automatico accreditamento in favore dell’impresa, entro sei mesi dall’offerta, nel presupposto che in tal modo la stessa P.A. costituisce nell’appaltatore le condizioni di provvista finanziaria idonee al più sicuro, cioè tempestivo e regolare, avvio dei lavori.

Tale innovazione, nel senso della obbligatorietà (Cass. 1047/2007;

23670/2006) pacificamente applicabile ratione temporis ai contratti di appalto stipulati dal sindaco di Acqui Terme, in esito a gara pubblica, il 6.7.1990 ed il 10.9.1990 in favore di Immobiliare Covedil s.p.a., da un lato è suscettibile di imporsi, pena la perdita di propria significatività economica, oltre ogni altro requisito condizionante l’erogazione delle citate somme (a parte la prestazione di idonee garanzie e l’inizio dei lavori di cui al R.D. n. 2440 del 1923, art. 12, comma 6, in punto di esigibilità, ma la questione non è affrontata dalla sentenza nè dalle impugnazioni, salvo che in uno dei motivi del Fallimento e per la prima volta in sede di legittimità e fatta salva invece l’adesione da parte della P.A.) e, dall’altro, riqualifica la posizione soggettiva dell’impresa appaltatrice, che diviene così titolare di un diritto soggettivo. La liquidità ed esigibilità di quest’ultimo proviene pertanto dalla determinazione stessa di fonte legale, mentre il montante del prezzo dell’appalto ne costituisce il parametro determinativo, senza relazione diretta con l’effettività dei lavori. Tale disciplina ben permetteva conseguentemente all’impresa appaltatrice di fatturare verso il Comune le anticipazioni finanziarie di cui ai due contratti, non quali somme dovute a corrispettivo dei lavori eseguiti, bensì come debiti della stazione appaltante già sorti e che, al medesimo titolo, potevano anche essere oggetto, come crediti, di cessione a terzi, in quanto posizioni soggettive piene ed esistenti, liquide ed esigibili.

Ne a diversa conclusione può pervenirsi invocando – come pure inammissibilmente indica il ricorrente per la prima volta nella presente sede – il D.L. 30 maggio 1988, n. 173, art. 1, comma 9 (conv. nella L. 26 luglio 1988, n. 291) ove statuisce che In deroga ad ogni altra diversa disposizione per tutti i lavori pubblici da appaltarsi o da affidarsi da parte dello Stato, delle regioni, degli enti locali o di ogni altro ente pubblico, l’importo massimo concedibile, per anticipazioni, è fissato nella misura del 15 per cento del prezzo contrattuale. L’anticipazione è corrisposta previa dichiarazione del direttore dei lavori di avvenuto concreto inizio dei lavori medesimi. Già questa S.C. ha ritenuto che la disciplina della L. n. 741 del 1981, art. 3 "non ha subito sostanziali modificazioni per effetto dell’art. 1, comma 9 cit., il quale, prevedendo che l’anticipazione è corrisposta previa dichiarazione del direttore dei lavori di avvenuto concreto inizio dei lavori stessi, ha innovato soltanto in ordine al momento dell’erogazione dell’anticipazione, ma non ha inciso sull’immediata esigibilità del relativo credito, al verificarsi dell’evento previsto" (Cass. 3768/2006). Con ciò si conferma che l’anticipazione non è assimilabile al pagamento di acconti in corso di esecuzione ("che costituisce un’obbligazione corrispettiva ed e, quindi, un momento essenziale dell’appalto di opere pubbliche") ed è invece una "deroga al principio della postnumerazione del corrispettivo di cui all’art. 1655 cod. civ., ed all’espresso divieto di corrisponderla, di cui all’art. 12 citato, per cui la stessa decorrenza del termine per l’accreditamento è "quella, risultante dalle pattuizioni intercorse tra le parti nella quale si conviene che i lavori devono essere affidati all’impresa" (Cass. 11297/2010).

4. Gli ulteriori motivi possono essere trattati congiuntamente, per evidente connessione e sono, il secondo ed il terzo, infondati ed il quarto, in parte infondato ed in parte inammissibile. Le parti avevano subordinato l’efficacia della cessione, in ciò conformandosi alla regola di cui alla L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 9, ALL. E), all’adesione dell’amministrazione appaltante ed il giudice di merito – con motivazione logicamente corretta e congrua – ha individuato l’adesione alla cessione del credito nella lettera 3.7.1992 con cui C. – sindaco del Comune di Acqui Terme ed in tale qualità – comunicò al Credito Emiliano (cessionario del credito) e per conoscenza alla società appaltatrice Covedil (cedente) che era in corso di approvazione (da parte della Giunta) il SAL concernente i lavori su uno dei due edifici (per i lavori dell’appalto n. 5035), oggetto di rinvio per scioglimento della Giunta (commissariata) e "gli eventuali pagamenti conseguenti alla approvazione del SAL saranno effettuati, da questa Amministrazione, a favore del Credito Umiliano". Ricordato che la cessione (stipulata per atto pubblico) era stata notificata al Comune il 9.3.1992, la successiva protocollazione di segreteria comunale della missiva del Sindaco, con il suo inequivoco riferimento sia ai lavori dei due appalti (poi approvati per il SAL dal commissario prefettizio con atto 83/92 e riconoscimento alla Covedil di Lit 226.300.336, oltre IVA, somma maggiore del credito ceduto) sia alla indicazione che i pagamenti ad essi correlati sarebbero stati disposti dall’amministrazione al Credito Umiliano, esprime un atto correttamente imputato dalla sentenza di merito al Comune di Acqui Terme e dotato di esplicitata consapevolezza, in capo a tale ente, dell’avvenuta disposizione del credito, da parte dell’appaltatore, in favore della banca, dunque con ciò, nei termini di una motivazione del tutto immune da censure per la sua chiarezza e consequenzialità argomentativa, non censurabile nella presente sede di legittimità, dandosi conto dell’adesione alla cessione del credito già intervenuta tra le parti ed esattamente in quei termini. Va invero osservato che la stessa giurisprudenza amministrativa, in coerenza con suggestioni dottrinali, non ha mancato di riconoscere la menzionata adesione come circostanza potenzialmente desumibile anche da operazioni dell’ente pubblico incompatibili con una diversa destinazione dal pagamento al cessionario (così TAR Campania, 5^, 8 luglio 2004, n. 10012), sul presupposto che sì tratti non di un atto di diritto pubblico, bensì di un atto negoziale di diritto privato. Tale ricostruzione dell’istituto, in una lettura restrittiva della sua portata impeditiva poichè esso stesso eccezione alla discrezionale cedibilità del credito verso la P.A., dal lato del cedente, permette di raccordare la sua necessità ai soli fini dell’efficacia del negozio di cessione verso il soggetto pubblico (Cass. 8525/1996;

11475/2008), non configurandosi detta adesione ad elemento costitutivo della cessione stessa.

Altrettanto correttamente va rilevato che la L. 8 giugno 1990, n. 142, art. 36 permette di non escludere che all’atto del sindaco – che rappresenta il Comune – sia ascritta natura ricognitiva del debito dell’ente verso la banca, senza alcuna innovazione sul fronte delle spese comunali, trattandosi dunque di atto sostanzialmente neutro, perchè correlato non ad un’inedita obbligazione ma ad una mera modalità esecutiva del rapporto di appalto già instaurato e dunque nemmeno impingendo esso nella violazione delle prerogative deliberative degli altri organi dell’amministrazione, peraltro non positivamente ed anzi del tutto genericamente indicate dal ricorrente.

Con tale fattispecie, invero, può dirsi giustificatamente integrata la prescrizione di cui alla L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 9, ALL. E), cui le parti della cessione si erano sostanzialmente richiamate allorchè ne avevano subordinato l’efficacia, ove l’erogazione del finanziamento era stata dalla Banca (di Girgenti) sospensivamente condizionata "al ricevimento … di comunicazione idonea con la quale l’Amministrazione del Comune… aderisce, dichiarando che nessun vincolo o privilegio grava sul credito ceduto". Si osserva invero che la sentenza da conto che detta banca aveva assunto l’impegno al finanziamento della società fino a concorrenza del 70% delle somme di cui alle due fatture emesse da questa verso il Comune, acquisendo prò solvendo i relativi crediti e che, come anticipato, la ratio del citato divieto di cessione va intesa in senso restrittivo poichè si "applica esclusivamente ai rapporti di durata come l’appalto e la somministrazione (o fornitura), rispetto ai quali soltanto il legislatore ha ravvisato, in deroga al principio generale della cedibilità dei crediti anche senza il consenso del debitore (art. 1260 cod. civ.), l’esigenza di garantire con questo mezzo la regolare esecuzione, evitando che durante la medesima possano venir meno le risorse finanziarie al soggetto obbligato e possa risultare così compromessa la regolare prosecuzione del rapporto. Ne consegue che la necessità dell’adesione dell’amministrazione interessata sussiste solo fino a quando il contratto è in corso e cessa quando questo viene meno con la conclusione del rapporto contrattuale; da tale momento torna ad applicarsi la regola generale di cui all’art. 69, R.D. cit. e art, 1264 cod. civ., secondo cui l’efficacia della cessione nei confronti del debitore ceduto postula esclusivamente la notificazione a quest’ultimo" (così Cass. 2209/2007; 18610/2005). Ne deriva che l’ente, cui la cessione era stata previamente notificata, prendendo così atto della vicenda di finanziamento intrapresa dall’appaltatore, ben poteva provvedere al citato assentimento, mediante il proprio organo rappresentativo abilitato a concludere negozi giuridici e contratti per suo conto, così riconoscendo – anche implicitamente – l’inesistenza di una situazione di pericolo nella disponibilità delle risorse della parte alla continuazione esecutiva del contratto d’appalto. Nè parte ricorrente ha indicato in modo specifico e con riguardo alla adesione della cessione di credito anche solo le diverse norme che avrebbero imposto la competenza comunale in capo alla Giunta od al Consiglio, non essendo a tal proposito sufficiente il più generico richiamo alla disciplina dell’appalto, che di tale supposte competenze alternative era il mero contratto-presupposto.

5. Il ricorso principale va dunque respinto, mentre è inammissibile quello incidentale. Quanto al regolamento delle spese, se ne dispone la liquidazione, nella misura indicata in dispositivo, secondo le regole della soccombenza.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibili i ricorsi contro C. V., nonchè Vittoria Assicurazioni s.p.a., Milano Assicurazioni s.p.a., Unipol Assicurazioni s.p.a.; dichiara inammissibile il ricorso incidentale del Fallimento Immobiliare Covedil s.p.a.; rigetta il ricorso principale del Comune di Acqui Terme; condanna in solido il ricorrente in via principale ed il ricorrente in via incidentale alle spese del giudizio di cassazione in favore della contro ricorrente banca, che si liquidano in complessivi Euro 7.200, di cui 7.000 per onorari e 200 per spese, oltre a spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 22 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2012
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *