Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 15-11-2011) 14-12-2011, n. 46268

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza 15.3.10 il GUP del Tribunale di Roma condannava C. C. alla pena complessiva di anni 5 di reclusione ed Euro 1.400,00 di multa (oltre pena accessoria e misura di sicurezza) per concorso in plurimi reati di rapina, furto, porto e detenzione di armi e traffico di stupefacenti.

Con sentenza 13.1.11 la Corte d’appello di Roma assolveva il C. dal solo reato di cui al capo O) della rubrica – per non aver commesso il fatto – e, per l’effetto, riduceva la pena ad anni 4 e mesi 11 di reclusione ed Euro 1.366,00 di multa, con modifica dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici in interdizione temporanea e conferma nel resto.

Tramite il proprio difensore il C. ricorreva contro la sentenza, di cui chiedeva l’annullamento per i motivi qui di seguito riassunti nei limiti prescritti dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1:

a) omessa, contraddittoria e manifestamente illogica motivazione e violazione dell’art. 192 c.p.p. nella parte in cui la Corte territoriale aveva ridimensionato come labili i motivi di rancore nutriti dal R. (chiamante in correità) nei confronti del C., il che, investendo la credibilità intrinseca del chiamante, prevaleva sui riscontri esterni ed individualizzanti delle relative dichiarazioni eteroaccusatorie;

b) vizio di motivazione e violazione dell’art. 110 c.p. laddove l’impugnata sentenza aveva affastellato la posizione del ricorrente in una sorta di responsabilità di tipo collettivo con i concorrenti nei reati, senza motivare in ordine ad un provato suo contributo causale;

c) vizio di motivazione in ordine al reato di porto e detenzione di armi, giacchè – una volta venuta meno la credibilità della chiamata di correo a suo carico – non vi sarebbero stati elementi sufficienti a suffragare l’accusa;

d) mancanza di motivazione del diniego di prevalenza delle attenuanti dell’art. 62 bis c.p., che aveva finito con lo svuotare il riconoscimento dello stato di semi-infermità del ricorrente.
Motivi della decisione

1- Il ricorso è inammissibile perchè manifestamente infondato.

Il motivo che precede sub a) si colloca al di fuori del novero di quelli spendibili ex art. 606 c.p.p., perchè in esso sostanzialmente si svolgono mere censure sulla valutazione operata in punto di fatto dai giudici del gravame, che con motivazione esauriente, logica e scevra da contraddizioni hanno escluso – nell’interpretare le dichiarazioni del chiamante in correità R. – i motivi di rancore ipotizzati dal C..

Per l’esattezza, la Corte territoriale su tali pretesi motivi di rancore relativi ad un a sorta di tradimento con la moglie e a un debito verso lo stesso C. ha correttamente osservato che nulla di ciò si evince dalla confusa allegazione in proposito e che, per quanto concerne il debito del R. verso l’odierno ricorrente, semmai tale circostanza avrebbe giustificato un motivo di astio del C. verso il R. e non il contrario.

Le contrarie considerazioni a riguardo svolte dal ricorrente involgono soltanto un nuovo apprezzamento in punto di fatto delle risultanze probatorie, il che è precluso in questa sede.

Nè la censura può intendersi come sostanziale denuncia di travisamento della prova, per l’assorbente e preliminare rilievo del difetto di autosufficienza a riguardo, noto essendo che il travisamento della prova da cui si assume essere affetta la sentenza d’appello deve essere dedotto con precise formalità, ossia la parte che lamenti un travisamento della prova deve necessariamente trascriverla od allegare in copia il documento in cui essa è consacrata, evidenziando l’esatto passaggio in cui si annida il vizio: diversamente, il ricorso non è autosufficiente (cfr., da ultimo, Cass. Sez. F n. 32362 del 19.8.10, dep. 26.8.10).

2- Il motivo che precede sub b) è generico, in quanto con esso il ricorrente non esamina specificamente – per confutarle – le considerazioni già svolte dal provvedimento impugnato.

A riguardo è appena il caso di ricordare che è inammissibile – per mancanza della specificità del motivo prescritta dall’art. 581, lett. c) – il ricorso per cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto d’impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato senza cadere nel vizio di aspecificità, che conduce, ex art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all’inammissibilità del ricorso (cfr. Cass. n. 19951 del 15.5.2008, dep. 19.5.2008; Cass. n. 39598 del 30.9.2004, dep. 11.10.2004; Cass. n. 5191 del 29.3.2000, dep. 3.5.2000; Cass. n. 256 del 18.9.1997, dep. 13.1.1998).

3- Anche il motivo di doglianza che precede sub e) si basa sulla non credibilità intrinseca del chiamante in correità, sicchè pure a tale riguardo valgano le considerazioni già svolte in relazione al primo motivo di ricorso.

4- Manifestamente infondato risulta, infine, l’ultimo motivo di censura, noto essendo in giurisprudenza che ai fini della determinazione della pena e dell’applicabilità delle circostanze attenuanti di cui all’art. 62 bis c.p. non è necessario che il giudice, nel riferirsi ai parametri di cui all’art. 133 c.p., li esamini tutti, essendo invece sufficiente che specifichi a quale di essi ha inteso fare riferimento reputandolo di preminente importanza.

Ne consegue che con il richiamo alla capacità a delinquere desunta dalle gravi modalità dei numerosi fatti delittuosi ascritti all’odierno ricorrente e al livello di organizzazione dimostrato nel traffico di stupefacenti l’impugnata sentenza ha adempiuto l’obbligo di motivare sul punto (cfr. ad esempio Cass. Sez. 1^, n. 707 del 13.11.97, dep. 21.2.98; Cass. Sez. 1^, n. 8677 del 6.12.2000, dep. 28.2.2001 e numerose altre).

Le difformi considerazioni svolte in ricorso sollecitano soltanto un nuovo apprezzamento in punto di fatto dell’entità del trattamento sanzionatorio, il che non è consentito innanzi alla S.C..

5- All’inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento a favore della Cassa delle Ammende di una somma che stimasi equo quantificare in Euro 1.000,00 alla luce dei profili di colpa ravvisati nell’impugnazione, secondo i principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186/2000.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Sezione Seconda Penale, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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