Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 05-07-2012, n. 11248 Pensioni, stipendi e salari Lavoro subordinato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso alla Corte d’appello di Roma T.M.D. ed altri litisconsorti, ex lavoratori socialmente utili, impugnavano la sentenza del 27/6/2006 con la quale il Tribunale di Roma aveva rigettato la loro domanda, proposta nei confronti del Ministero della Giustizia, diretta ad accertare la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, dal 1996 al 2000, ed al pagamento delle differenze retributive così maturate nonchè all’adempimento degli obblighi previdenziali conseguenti.

A sostegno dell’impugnazione gli appellanti deducevano la estraneità della loro attività al quadro normativo disciplinante l’impiego dei lavoratori socialmente utili; la difformità tra l’attività lavorativa in cui erano stati impiegati e la previsione legale relativa agli ambiti di utilizzo per i lavoratori socialmente utili, di cui al D.Lgs. n. 482 del 1997, art. 2; la difformità tra la previsione dell’utilizzo indicata nei progetti giustificativi della assunzione, quali lavoratori socialmente utili, e gli ambiti, gli uffici e le mansioni cui erano stati in concreto adibiti.

Concludevano per la riforma della decisione e per la declaratoria della esistenza di un rapporto di lavoro subordinato sin dal 1996, ovvero, in subordine dal 30 giugno 1998, e per il pagamento delle differenze retributive maturate, oltre all’assolvimento degli oneri previdenziali.

Con sentenza del 21/9-20/10/2010 l’adita Corte d’appello dichiarava il difetto di giurisdizione dell’AGO per il periodo precedente al 30/6/1998 mentre per il periodo successivo condannava il Ministero appellato a pagare agli appellanti le differenze retributive maturate per le prestazioni di lavoro dall’1/7/1998 all’ottobre 2000 (data di stipulazione dei singoli contratti a tempo determinato), ed agli oneri contributivi, da determinarsi in separato giudizio.

A fondamento della decisione osservava che il confronto tra i progetti da realizzare con l’apporto dell’attività dei lavoratori appellanti e l’ambito di utilizzo dei LSU come specificato dal D.Lgs. n. 486 del 1997, art. 2, denotava la non coincidenza tra gli uni e le previsioni dell’altro e, quindi, l’estraneità dell’utilizzo dei lavoratori rispetto a quanto voluto e consentito dal legislatore in tema di LSU. Pertanto, dovendosi escludere il riconoscimento di rapporto di lavoro subordinato nei confronti del Ministero – trattandosi di pubblica amministrazione, per la quale le assunzioni devono seguire norme di accesso concorsuale (non evincibile nel caso di specie) le prestazioni fornite andavano valutate e regolate come prestazioni di fatto di cui all’art. 2126 c.c., in ragione dell’art. 36 Cost..

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre il Ministero della Giustizia con due motivi.

Resistono gli intimati con controricorso.
Motivi della decisione

Con il proposto ricorso, articolato in due motivi, il Ministero della Giustizia censura la sentenza della Corte d’appello di Roma, per violazione dell’art. 2126 c.c., e del D.Lgs. n. 468 del 1997, art. 8, comma 2, (primo motivo), e per violazione del D.Lgs. n. 468 del 1997, art. 2, (secondo motivo), in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, svolgendo talune argomentazioni a sostegno delle denunciate violazioni, la cui corretta comprensione richiede alcune puntualizzazioni. Giova, anzitutto, chiarire che, in punto di fatto, è rimasto accertato che gli attuali controricorrenti, quali lavoratori socialmente utili, sono stati utilizzati dal Ministero ricorrente dal 1996 al 2000, per la realizzazione di tre distinti progetti: "Intervento in via straordinaria per garantire la funzionalità degli Uffici Giudiziari del Giudice di pace";

"Imminente istituzione delle Sezioni stralcio dei Tribunali ordinari", Completamento del processo di informatizzazione degli Uffici centrali e periferici e supporto delle strutture amministrative degli Uffici Giudiziari al momento della entrata in vigore del G.U. di primo grado".

In punto di diritto va evidenziato che la disciplina del Lavoro Socialmente Utile (LSU) è rinvenibile nel D.L. n. 299 del 1994, art. 14, convertito in L. n. 451 del 1994, e poi nel D.Lgs. n. 468 del 1997, che, abrogando il predetto art. 14, ha disciplinato integralmente l’istituto. Successivamente è intervenuta la ulteriore disciplina dettata dal D.Lgs. n. 81 del 2000, ma quest’ultima – come correttamente osservato dalla Corte di merito – non risulta applicabile alla controversia all’esame perchè, ratione temporis, regolata dalle precedenti norme sopra individuate.

Il D.Lgs. n. 468 del 1997, art. 1, definisce la qualità dei LSU, indicando che gli stessi hanno per oggetto "la realizzazione di opere e la fornitura di servizi di utilità collettiva, mediante l’utilizzo di particolari categorie di soggetti, alle condizioni contenute nel presente decreto legislativo". Specifica poi al secondo comma che le attività di cui ai LSU sono distinte secondo la seguente tipologia:

"a) lavori di pubblica utilità mirati alla creazione di occupazione..; b) lavori mirati alla qualificazione di particolari progetti formativi volti alla crescita professionale in settori innovativi…; c) lavori mirati alla realizzazione di progetti aventi obiettivi di carattere straordinario… con priorità per i soggetti titolari di trattamenti previdenziali; d) prestazioni da parte di tipolari di trattamenti prvidenziali…". Precisa che le attività indicate nelle lettere a), b) e c) del comma 2 "sono definite mediante la predisposizione di appositi progetti".

L’art. 2 dello stesso Decreto indica poi espressamente, specificando l’ambito di utilizzo dei LSU, i settori in cui possono essere attivati i progetti di lavori di pubblica utilità: cura della persona, dell’ambiente, dei territorio e della natura, dello sviluppo rurale, montano, e dell’acquacoltura del recupero e della riqualificazione degli spazi urbani e dei beni culturali.

In particolare, la stessa disposizione, in prosieguo, indica gli specifici settori di utilizzo, secondo gli ambiti sopra indicati (cura all’infanzia, agli anziani, riabilitazione tossicodipendenti…

raccolta differenziata, tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro…, bonifica dall’amianto, miglioramento della rete idrica, opere per la modernizzazione dell’agricoltura…, messa in sicurezza edifici a rischio…, valorizzazione del patrimonio culturale…).

Orbene, la Corte d’appello, dopo avere distinto, ai fini della giurisdizione il periodo ante giugno 1998, per il quale la giurisdizione è stata attribuita al giudice amministrativo, ed il periodo successivo, oggetto di giudizio – su tale distinzione, infatti, non vi è stata impugnativa alcuna – ha osservato, con riguardo a tale secondo periodo, che gli appellanti erano stati inseriti nei progetti sopra elencati, così come pacificamente risultante in causa. E, proprio tenendo presente i suddetti progetti, ha ritenuto fondate le pretese dei lavoratori sotto un duplice profilo: da un lato, ha rilevato che il confronto tra i progetti elencati ed il dettato legislativo di cui all’art. 2 sopra riportato, denotava la non coincidenza tra gli uni e le previsioni dell’altro, e quindi l’estraneità dell’utilizzo dei lavoratori rispetto a quanto voluto e consentito dal legislatore in tema di LSU; ciò in quanto il settore "Giustizia", in cui ciascuno degli appellanti era stato utilizzato (anche se in uffici di differente estrazione e competenza), non rientrava affatto nei settori di intervento del LSU, poichè non era assimilabile ad alcuna delle categorie di cui al citato art. 2.

Queste ultime – afferma la Corte – sono espressamente indicate nella prima parte della norma (cura della persona, del territori, e della natura, dello sviluppo rurale, montano e dell’acquacoltura, del recupero e della riqualificazione degli spazi urbani, e dei beni culturali), e poi meglio e specificamente dettagliate nella seconda parte, allorchè la disposizione elenca le singole attività che di quelle grandi categorie devono intendersi facenti parte.

Pertanto – prosegue la Corte territoriale -, rispetto ad una espressione legislativa così attenta e dettagliata, significativa di una precisa volontà di convogliare l’utilizzo di detta categoria di lavoratori in attività scelte e contrassegnate da un comune denominatore di recupero di impegno pubblico i settori emergenti, quali la cura di soggetti deboli e la cura dell’ambiente, l’impiego in attività tutte interne a quella istituzionale del Ministero della Giustizia e degli uffici giudiziari, non poteva che risultare estraneo alla previsione di legge, e non coincidente con le finalità poste dal legislatore.

Sotto altro profilo, – osserva ancora la Corte d’appello – vi era stata diversità tra i progetti di assunzione originari e specifici riguardanti i lavoratori in questione e l’utilizzo concreto, poichè i lavoratori appellanti erano stati impegnati ed impiegati in uffici del tutto differenti rispetto a quelli oggetto del progetto, e pertanto nessuno di loro era stato inserito negli Uffici dei Giudici di Pace o nelle Sezioni Stralcio dei Tribunali, o ancora, negli Uffici del GU di primo grado (come risultante dalle indicazioni inserite dai singoli appellanti e non smentite e contestate dal Ministero).

Orbene, con il proposto ricorso il Ministero, denunciando, con il secondo motivo – da esaminare preliminarmente nell’ordine logico – violazione del D.Lgs. n. 468 del 1997, art. 2, (art. 360 c.p.c., n. 3), contesta solo il primo profilo argomentativo presente nella sentenza impugnata, sostenendo che questa "sembra confondere i Lavori socialmente utili ed i Lavori di pubblica utilità: soltanto questi ultimi possono, infatti, essere espletati nei settori previsti dal D.Lgs. n. 468 del 1997, art. 21 (recte: art. 2), (cura della persona, dell’ambiente, del territorio, riqualificazione di spazi urbani etc.).

Diversamente, per i Lavori socialmente utili (ex art. 12 (recte art. 1), comma 2, lett. c), la disciplina prevede che questi siano preordinati alla "realizzazione di progetti aventi obiettivi di carattere straordinario, della durata di sei mesi, prorogabili al massimo di sei mesi, con priorità di soggetti titolari di trattamenti previdenziali".

E nel caso di specie – prosegue il Ministero ricorrente – i progetti avevano evidente carattere di straordinarietà (ed urgenza), essendo connessi al processo di informatizzazione degli Uffici centrali e periferici del Ministero di Giustizia, nonchè finalizzati (anche) al supporto delle strutture amministrative degli uffici giudiziari al momento dell’entrata in vigore della normativa istitutiva del giudice unico di primo grado.

Ora, anche a rimanere in siffatta prospettiva, di fronte al chiaro disposto del comma 3, del medesimo articolo, secondo cui – giova ripetere – "Le attività indicate nelle lettere a), b) e c) del comma 2, sono definite mediante la predisposizione di appositi progetti", il Ministero avrebbe dovuto impugnare l’assunto della Corte territoriale in ordine alla difformità dei progetti di assunzione rispetto all’attività in concreto espletata; difformità che – come correttamente affermato nella impugnata sentenza – vale ad escludere la possibilità di invocare la disciplina in materia di LSU quale fonte regolativa delle prestazioni in questione, essendo le condizioni di fatto verificatesi, estranee a quanto voluto dal legislatore in tema di LSU. Il motivo va, quindi, disatteso.

Anche il primo motivo non può trovare accoglimento. Con esso si censura la determinazione delle differenze retributive, come operata dalla Corte d’appello, fondata sulla considerazione che le prestazioni fornite andavano valutate e regolate come prestazioni di fatto di cui all’art. 2126 c.c., alla cui stregua la "prestazione di lavoro" svolta (così qualificabile per quanto sopra detto in tema di prestazione di lavori degli LSU ed ancora per prestazioni di lavoro comunque eseguite fuori dagli schemi legali dei LSU), comporta in ogni caso il diritto alla retribuzione.

Così argomentando il Giudice di merito si è uniformato alle pronunce di questa Corte in materia per le quali, in tema di occupazione in lavori socialmente utili, rispetto alla prestazione che, per contenuto ed orario, si discosti da quella dovuta in base al programma originario e che venga resa in contrasto con norme poste a tutela del lavoratore, trova applicazione la disciplina sul diritto alla retribuzione, in relazione al lavoro effettivamente svolto, prevista dall’art. 2126 c.c., da reputarsi compatibile con il regime del lavoro pubblico contrattualizzato (Cass. n. 10759/2009).

Deve, pertanto, affermarsi il principio secondo cui, se è provato che è stato prestato un diverso o ulteriore lavoro rispetto a quello oggetto del lavoro socialmente utile e tale diverso od ulteriore lavoro si è svolto in contrasto con norme poste a tutela del lavoratore (circostanze ritenute non controverse e non oggetto di specifiche censure nel ricorso in appello dalla Corte di merito), allora non vi sono ostacoli al riconoscimento dei diritti retributivi dichiarati dal giudice in relazione all’effettivo lavoro svolto.

Quanto poi alla compatibilita tra la regola dettata dall’art. 2126 c.c., ed i rapporti di pubblico impiego contrattualizzato, essa sussiste, come è stato dimostrato in più decisioni di questa Corte (fra le altre, Cass. n. 12749/2008 e Cass. n. 20009 del 2005).

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo con attribuzione agli avv.ti Paolo Maria Montaldo ed Enrico Luberto, dichiaratisi antistatari.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente Ministero alle spese di questo giudizio, liquidate in Euro 100,00 oltre Euro 6.000,00 per onorari ed oltre spese generali, IVA e CPA con attribuzione agli avv.ti Paolo Maria Montaldo ed Enrico Luberto.

Così deciso in Roma, il 6 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2012

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