Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 27-10-2011) 14-12-2011, n. 46352

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte d’appello di Genova, con sentenza del 6 maggio del 2010, confermava quella resa dal tribunale di Savona il 29 ottobre del 2009, con cui L.T.D. e Lo.Lu. erano stati condannati alla pena ritenuta di giustizia, quali responsabili dei seguenti reati A) del reato p. e p. dall’art. 110 c.p., D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. b) perchè, in concorso fra loro, L.D. quale committente e costruttore, LO.Lu. quale direttore dei lavori, al piano seminterrato del fabbricato sito a (OMISSIS) eseguivano, in assenza del prescritto permesso di costruire, la chiusura di un porticato sito lungo i lati sud ed ovest mediante l’installazione di serramenti in alluminio, così creando un nuovo volume edilizio con destinazione d’uso d’ingresso/soggiorno, avente una superficie di circa 20 mq ed un’altezza interna di circa 2,20 mt, intervento non conforme alle prescrizioni della normativa urbanistica vigente; fatto accertato in (OMISSIS), lavori in corso al momento dell’accertamento.

Il solo Lo. del delitto di cui all’art. 481 c.p., perchè, nell’esercizio della sua professione di geometra attestava falsamente nel "certificato di collaudo finale", presentato il 20 febbraio 2006, che i lavori di ristrutturazione edilizia dell’immobile sito a (OMISSIS) erano conformi ai progetti depositati nel Comune di Pietra Ligure, fatto non corrispondente al vero in quanto era stato eseguito anche il maggior volume, descritto al capo A), non previsto nei progetti depositati in Comune e non conforme alla normativa urbanistica vigente; in (OMISSIS).

Secondo la ricostruzione della vicenda contenuta nella sentenza impugnata il 30 maggio del 2005 si era proceduto al controllo del fabbricato sito in (OMISSIS) e si era constato che i lavori erano in corso nonostante che la DIA a suo tempo presentata, per opere interne, fosse stata sospesa per richiesta di integrazioni. L.T.D. risultava essere il committente ed il costruttore mentre il Lo. figurava come direttore dei lavori.

A seguito di un successivo controllo effettuato il 17 gennaio del 2006 emerse che al piano terra si era proceduto alla chiusura del porticato per ricavare un vano abitabile in assenza del titolo abilitativo.

Il Lo. si era difeso sostenendo che al momento dell’attestazione della conformità delle opere al progetto, redatta il 21 febbraio del 2006, gli infissi non erano ancora stati apposti. A sostegno del proprio assunto aveva prodotto in primo grado una dichiarazione del L.T. che lo scagionava. Quest’ultimo a sua volta si era difeso sostenendo che il porticato era stato chiuso per eliminare barriere architettoniche, eliminazione resasi necessaria per le condizioni di salute della moglie, la quale, avendo difficoltà di deambulazione, non poteva accedere al piano superiore dell’abitazione.

Le giustificazioni dei prevenuti sono state disattese prima dal tribunale e successivamente dalla corte.

Ricorrono per cassazione i due imputati per mezzo del comune difensore deducendo:

1) la violazione dei criteri di valutazione delle prove di cui all’art. 192 c.p.p. sotto vari profili:

a) per avere i giudici del merito omesso di apprezzare la dichiarazione del L.T. che scagionava il L.;

b) per avere i giudici del merito omesso di sospendere il processo a seguito della presentazione del ricorso al tribunale amministrativo avverso il diniego della sanatoria;

c) per avere omesso di apprezzare le deposizioni dei testimoni dell’accusa, i quali avevano fornito un contributo essenziale per la difesa del Lo.:

2) mancanza di motivazione in ordine ai rilievi mossi con l’atto d’appello nel quale si era sottolineato che il L.T. aveva scagionato il Lo. affermando che gli infissi erano stati apposti dopo la redazione dell’attestazione di conformità dell’opera al progetto.
Motivi della decisione

I due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente perchè strettamente connessi essendo entrambi relativi alla valutazione delle prove, sono inammissibili, perchè sotto l’apparente deduzione di vizi di legittimità in realtà si censura l’apprezzamento delle prove da parte dei giudici del merito, la cui motivazione non presenta alcun errore giuridico o incoerenza.

I giudici del merito, avendo ritenuto con una valutazione di fatto incensurabile in questa sede, che gli infissi erano stati apposti prima dell’attestazione di conformità al progetto presentata dal Lo., hanno ovviamente disatteso l’assunto del L.T. che aveva scagionato il direttore dei lavori.

L’affermazione della responsabilità di quest’ultimo si fonda sull’esame delle fotografie e sulle deposizioni dei verbalizzanti ed in modo particolare sul sopralluogo del 17 gennaio del 2006, allorchè già si era notata la porta d’ingresso con la relativa maniglia e la struttura in cartongesso.

Per quanto concerne il L.T. i giudici del merito hanno evidenziato l’insussistenza dello stato di necessità invocato dal prevenuto. In proposito la Corte ha anzitutto osservato che la situazione della moglie del L.T. configurava una condizione cronica e risalente nel tempo e, quindi, non v’era un’impellente emergenza. Ha poi rilevato che nell’impugnazione si era enunciata in maniera confusa la necessità della donna nel senso che non era chiaro se lo stato di necessità fosse dipeso dall’impossibilità materiale della donna di accesso al piano superiore o da altra causa Se fosse dipeso dall’impossibilità o difficoltà di accedere al piano superiore, il problema poteva essere superato con la creazione di un montascale. In ogni caso secondo la Corte non era stata indicata l’inevitabilità del pericolo che, peraltro, ove consistito nell’impossibilità di accedere al piano superiore, era obiettivamente insussistente, in quanto la situazione,come già detto, poteva essere superata tramite un montascale che rappresenta un idoneo strumento per il superamento delle barriere architettoniche senza la necessità di violare la legge.

L’inammissibilità del ricorso per la manifesta infondatezza dei motivi impedisce di dichiarare la prescrizione della contravvenzione maturata dopo la sentenza impugnata secondo l’orientamento delle Sezioni unite di questa Corte espresso con la sentenza n 22 del 2000,De Luca.

Dall’inammissibilità del ricorso discende l’obbligo di pagare le spese processuali e di versare una somma, che stimasi equo determinare in Euro 1000,00, in favore della Cassa delle Ammende, non sussistendo alcuna ipotesi di carenza di colpa dei ricorrenti nella determinazione della causa d’inammissibilità, secondo l’orientamento espresso dalla Corte Costituzionale con la sentenza n.186 del 2000.
P.Q.M.

LA CORTE Letto l’art. 616 c.p.p..

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti singolarmente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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