T.A.R. Umbria Perugia Sez. I, Sent., 13-01-2011, n. 5

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Il Direttore dell’Istituto per Sovrintendenti di Spoleto della Polizia di Stato, con provvedimento in data 11 marzo 2010, ha negato al ricorrente, assistente capo della Polizia di Stato, il beneficio dei permessi retribuiti previsti dall’articolo 33, comma 3, della legge 104/1992, come modificato dagli articoli 19 e 20 della legge 53/2000.

Il beneficio era stato richiesto dal ricorrente, con riferimento al 2010, per l’assistenza al padre, gravemente disabile, il quale vive a Terni con la moglie.

Ma l’amministrazione, richiamata le circolari ministeriali n. 333A/9806.G.3.2. in data 31 luglio 2001 e n. 333A/9806.G.3.2./1534 in data 15 febbraio 2008, nonché la giurisprudenza concernente l’applicazione dell’articolo 33, comma 3, predetto, ha considerato "che la persona portatrice di handicap è convivente con la moglie (…) persona non idonea a prestare l’assistenza richiesta" ma "da quanto si evince nell’istanza vi sono anche altri familiari (…) entro il terzo grado e specificamente il figlio Giampiero, residente a Stroncone (TR), comune confinante con quello di residenza della persona portatrice di handicap e la nuora, moglie del richiedente, entrambi idonei a fornire a loro volta l’assistenza richiesta".

Ed ha richiamato la massima della decisione della IV Sezione del Consiglio di Stato, 30 giugno 2005, n. 3526 – secondo cui "… all’Amministrazione della P.S. può ben chiedersi di tenere in debito conto i bisogni, personali e familiari, dei suoi dipendenti, ma non certo di subordinare ad essi la realizzazione dei propri compiti istituzionali, ai quali, invece, nel bilanciamento, deve riconoscersi priorità assoluta, in quanto preordinati a quella cura di interessi pubblici che non tollera soluzione di continuità" – ha respinto l’istanza del ricorrente.

Conseguentemente, ha negato la concessione del beneficio, essenzialmente "in considerazione del bilanciamento tra i compiti istituzionali cui deve assolvere il dipendente ed i bisogni del disabile che possono essere soddisfatti anche da altri familiari ed affini" (lettera b) del dispositivo).

2. Il ricorrente precisa di essere l’unico in grado di prestare assistenza in via esclusiva e con continuità al padre disabile, e disponibile a farlo, in quanto:

– la madre "avendo 80 anni è anche lei cagionevole di salute", mentre l’altro figlio, fratello del ricorrente, risiede nel Comune di Stroncone ed è "proprietario di una ditta di impiantistica con lavori distribuiti anche fuori regione ed orari prolungati nell’arco della giornata, quindi impossibilitato ad assisterlo" (cfr. dichiarazione sostitutiva in data 29 febbraio 2010, presentata a supporto della domanda non accolta), così come la moglie del ricorrente "per essere impegnata tutto il giorno con il lavoro ed in quanto madre di due bambini piccoli" (cfr. dichiarazioni versate in atti);

– il padre disabile ha sempre dichiarato la volontà che ad assisterlo fosse soltanto il ricorrente (cfr. dichiarazione versata in atti).

Sulla base di queste premesse in fatto, impugna il suddetto diniego (e chiede il conseguente accertamento del diritto al beneficio), prospettando le censure appresso sintetizzate.

2.1. L’articolo 33, comma 3, citato – che, nella formulazione vigente, estende il beneficio in questione ai "familiari lavoratori, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assistono con continuità ed in via esclusiva un parente o affine entro il terzo grado portatore di handicap, ancorché non convivente" – sottolinea il ricorrente, è stato interpretato dalla giurisprudenza nel senso che, acquisita la dichiarazione dell’interessato di prestare la propria assistenza in via continuativa ed esclusiva al congiunto disabile e di non esservi altri parenti o affini a godere del medesimo beneficio e in grado di prestare la medesima assistenza, il rigetto della domanda potrebbe giustificarsi soltanto qualora avesse accertato che quanto dichiarato non corrisponde al vero (in tal senso, richiama TAR Calabria, Reggio Calabria, 4 giugno 2009, n. 387).

2.2. Il ricorrente lamenta anche che l’Amministrazione abbia travisato quanto indicato, in ordine al modo di intendere i presupposti previsti dalla norma, nella circolare ministeriale n. 333A/9806.G.3.2., predetta, nonché nella circolare I.N.P.S. in data 23 maggio 2007, n. 90.

Nella predetta circolare ministeriale, al punto c), viene affermato che "La concessione del beneficio verrà accordata solo se l’assistenza sia prestata con continuità ed in via esclusiva ed il familiare disabile non conviva con altra persona, non lavoratore, idonea a fornire assistenza alla persona handicappata (…)".

Il ricorrente ne trae la considerazione che il presupposto dell’esclusività debba ritenersi mancante soltanto qualora con il disabile conviva altra persona, la quale non lavori e sia dunque in grado di dedicare il suo tempo all’assistenza (anche in questo caso, richiama la sentenza n. 387/2009, cit.).

Ciò che, pacificamente, avviene per la madre del ricorrente, ottantenne e riconosciuta non in grado di prestare assistenza al marito dalla stessa Amministrazione.

Nella circolare dell’I.N.P.S., poi, a dire del ricorrente viene, tra l’altro, espresso l’avviso secondo cui il soggetto disabile ha il diritto di scegliere chi, tra i suoi famigliari, debba prestargli l’assistenza stabilita dalla legge.

Pertanto, il diniego sarebbe viziato per violazione dell’articolo 33, comma 3, e della circolare citata, in quanto sussisterebbero i presupposti previsti dalla disposizione per la concessione del beneficio.

2.3. In ogni caso, il provvedimento sarebbe insufficientemente motivato e frutto di un’istruttoria inadeguata, anche per quanto attiene alle esigenze del servizio, che non sarebbero pregiudicate trattandosi di soli tre giorni al mese.

2.4. Inoltre, in violazione dell’articolo 10bis, della legge 241/1990, non è stato dato il preavviso di rigetto.

3. Resiste per l’Amministrazione l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Perugia, controdeducendo puntualmente.

4. Il ricorso, sulla base delle considerazioni appresso indicate (in larga parte già svolte dal Tribunale, con riferimento ad analoghe controversie, nella sentenza 15 maggio 2009, n. 244, ed approfondite da ultimo nelle sentenze 28 ottobre 2009, nn. 651653, 26 novembre 2009, nn. 737738, 22 gennaio 2010, n. 29, 16 febbraio 2010, n. 104 e 31 agosto 2010, n. 445) è infondato e pertanto deve essere respinto.

4.1. E’ ragionevole sostenere – come fa la difesa dell’Amministrazione – che, dopo il venir meno (a seguito della novella dell’articolo 33, comma 3, della legge 104/1992, disposta dalla legge 53/2000) del requisito della "convivenza" del familiare lavoratore con il disabile, la sussistenza dei requisiti della "continuità" e della "esclusività" dell’assistenza venga valutata con maggior rigore (cfr. Cons. Stato, IV, 7 febbraio 2001, n. 898).

Ora – per limitare l’esame all’unico profilo ostativo indicato nel diniego impugnato, posto che alla "continuità" dell’assistenza che il ricorrente presta o ha intenzione di prestare il provvedimento non dedica specifica attenzione – il requisito della "esclusività" è stato inteso dalla giurisprudenza amministrativa piuttosto restrittivamente, nel senso della "inesistenza oggettiva" di altri familiari che potessero assistere il disabile (cfr. Cons. Stato, 14 ottobre 2005, n. 5795; 17 aprile 2003, n. 2043; T.G.A.,Trento, 14 ottobre 2005, n. 5795; TAR Campania, 19 luglio 2004, n. 10575); mentre il giudice ordinario ha ritenuto che il requisito possa essere inteso nel senso di una "impossibilità o un’indisponibilità di tipo oggettivo" dei familiari a prestare l’assistenza necessaria (cfr. Cass. lav., 20 luglio 2004, n. 13481; Trib. Milano, 31 ottobre 2002; Trib. Terni, 3 novembre 1998).

In ogni caso, non sembra dubbio al Collegio che la prova della sussistenza dei requisiti, ai fini della fruizione del beneficio in questione, incomba sul dipendente pubblico, il quale deve dimostrare, attraverso dichiarazioni, dati o riferimenti oggettivi, che altri parenti e affini non siano in grado o comunque non siano disponibili ad occuparsi dell’assistenza del disabile (cfr. Cons. Stato, VI, 27 luglio 2007, n. 4182; 28 luglio 2004, n. 8753; 31 dicembre 2007, n. 6813).

E che, in particolare, detta dimostrazione non possa darsi mediante semplici dichiarazioni di carattere formale, attestanti impegni di vita di carattere ordinario e comune, bensì necessiti della produzione di dati ed elementi di carattere oggettivo, concernenti eventualmente anche stati psicofisici connotati da una certa gravità, idonei a giustificare l’indisponibilità sulla base di criteri di ragionevolezza tali da concretizzare un’effettiva esimente da vincoli di assistenza familiare, nel contemperamento delle posizioni dei soggetti interessati (cfr. TAR Lazio, Roma, I, 8 gennaio 2008, n. 73, 7 aprile 2008, n. 2878 e 4 maggio 2010, n. 9418; T.G.A., Trento, 13 maggio 2010, n. 131).

4.2. Stante l’opinabilità di presupposti come quello in questione, una particolare importanza assumono in materia i criteri applicativi indicati dalla giurisprudenza e dalle circolari emanate dalle Amministrazioni pubbliche.

Effettivamente nella giurisprudenza e nella prassi amministrativa, vi sono orientamenti (quelli invocati dal ricorrente) che negano automatica rilevanza ostativa alla presenza (oltre che del richiedente il beneficio) di altri familiari idonei a fornire al disabile l’assistenza necessaria.

Si è già sottolineato come in giurisprudenza risultino prevalenti orientamenti diversi.

Quanto alla prassi, la difesa erariale ha precisato che le vigenti direttive dell’Amministrazione della P.S. sono contenute nella circolare (di identico protocollo – 333A/9806.G.3.2. – di quella in data 31 luglio 2001) in data 9 ottobre 2007, nonché nella circolare (col medesimo protocollo /1534) in data 15 febbraio 2008 – citate nel provvedimento impugnato – che tengono conto delle innovazioni introdotte dalla legge 53/2000 e limitano il recepimento di quanto indicato dall’I.N.P.S. nella circolare n. 90/2007.

E’ in tali circolari, che si rinvengono quei criteri applicativi che l’Istituto per Sovrintendenti di Spoleto ha seguito anche ai fini dell’adozione del provvedimento impugnato.

Il punto nodale di detti criteri, in relazione al caso in esame (e quindi al requisito della "esclusività" dell’assistenza al disabile), è rappresentato dal rilievo secondo il quale – superata la necessità che non esistano altri familiari conviventi astrattamente in grado di prestare tale assistenza – per l’Amministrazione, "In definitiva l’unicità del prestare assistenza al portatore di handicap va valutata in base alla giurisprudenza consolidata sulla base di un criterio di ragionevolezza che porti ad escludere la possibilità in concreto per gli altri familiari, pur presenti e pur astrattamente idonei, a prestare assistenza richiesta. In tale ottica" – conclude la circolare del 2007, sul punto – "la circolare I.N.P.S. non può essere applicata acriticamente, ma in relazione ai suesposti principi".

4.3. Nella prospettiva appena indicata, il Collegio ritiene che non possa essere accolta la tesi secondo la quale il familiare lavoratore (e quello studente, al primo equiparato), per il solo fatto di essere abitualmente impegnato nella propria attività di lavoro (o studio), ovvero il familiare non lavoratore, per essere impegnato quotidianamente in attività di carattere famigliare o personale, debba intendersi per ciò solo come soggetto non disponibile (impossibilitato) a prestare assistenza al disabile. L’impossibilità dovrà al contrario essere dimostrata in concreto.

Nella medesima prospettiva, in presenza di altri familiari, soprattutto se pensionati o comunque non occupati in attività di lavoro o di studio, per accedere al beneficio occorrerà dimostrare che essi – in base a elementi aventi consistenza oggettiva, quali: le condizioni di salute, la lontananza dalla dimora del disabile, particolari condizioni personali o professionali – sono concretamente impossibilitati a prestare l’assistenza per la quale vengono richiesti i contributi.

Al riguardo, c’è da precisare che l’assistenza garantita dai tre giorni di permesso mensili, per sua stessa consistenza, non può che risultare meramente integrativa di una ordinaria forma di assistenza quotidiana, pubblica o privata, esterna o famigliare, di cui il disabile grave ha necessariamente bisogno. L’occupazione in attività lavorativa o di studio, o in attività famigliari, ma anche una condizione psicofisica non pienamente efficiente, non impediscono che si possano spendere alcuni giorni al mese per assistere (integrare l’assistenza ad) un congiunto disabile; anzi, ciò corrisponde all’attuazione dei doveri di solidarietà sociale e mutua assistenza che incombono sui soggetti legati da vincoli di parentela e/o affinità, quanto meno qualora vivano nelle vicinanze.

Soprattutto, il beneficio previsto dall’articolo 33, comma 3, non può essere inteso quale oggetto di un diritto soggettivo assoluto, spettante al famigliare del disabile a prescindere dal contesto famigliare complessivo (ed in particolare, dalla esistenza e disponibilità di altri soggetti in grado di prestare l’assistenza) e dall’incidenza della fruizione del permesso retribuito sulla funzionalità dell’attività lavorativa svolta. Il diritto fondamentale alla salute del disabile è (dovrebbe essere) garantito dall’assistenza prestata nell’ambito o comunque a carico del S.S.N., dalle altre prestazioni assistenziali pubbliche, o dal ricorso alle sempre più diffuse attività di volontariato, secondo i livelli essenziali dei diritti sociali assicurati uniformemente su tutto il territorio nazionale. Ciò di cui si discute è una forma eventuale, integrativa dell’assistenza ordinaria.

Perciò, la posizione del famigliare non è sottratta ad una valutazione discrezionale del datore di lavoro alla stregua del generale principio di bilanciamento degli interessi (come sembra desumibile, peraltro con riferimento al beneficio di cui all’articolo 33, comma 5, dalla giurisprudenza: cfr. Cass., sez. lav., 25 gennaio 2006, n. 1396; Cons. Stato, I, n. 588/2006; Corte Cost., 22 luglio 2002, n. 372).

In altri termini, non può addossarsi senz’altro al lavoro dipendente, ed in particolare, per quel che qui interessa, allo svolgimento delle funzioni pubbliche affidate agli operatori della P.S., l’onere derivante dall’assistenza al disabile, senza considerarne l’incidenza e la possibilità di far fronte in modo alternativo – vale a dire, utilizzando le energie personali di altri famigliari, in ipotesi, non occupati in attività lavorative dipendenti, oppure l’assenza dei quali dal lavoro comporterebbe minori difficoltà per l’organizzazione in cui sono inseriti. Cioè, senza considerare l’equa ripartizione dell’onere assistenziale tra i vari famigliari (cfr. Cons. Stato, I, 25 agosto 2004, n. 9772).

4.4. Può aggiungersi che, proprio il richiamo, nel provvedimento impugnato, della citata massima tratta dalla decisione n. 3526/2005 (anche se originata da una controversia relativa alla scelta della sede di lavoro, ai sensi dell’articolo 33, comma 5), viene chiaramente utilizzato per poi esplicitare, nel dispositivo, il principio interpretativo di fondo che conduce ad attribuire alle disposizioni della legge 104/1992 un’equilibrata portata applicativa.

Non appare dubbio che alle esigenze assistenziali del disabile (la cui portata, con riferimento al beneficio dei permessi retribuiti, va intesa nel senso sopra precisato), non possa essere attribuita una prevalenza in senso assoluto – ciò che, nella individuazione del familiare idoneo, condurrebbe ad attribuire rilevanza decisiva alla scelta operata dal disabile, o alla continuità della situazione di assistenza in atto – bensì debba essere contemperata con l’interesse alla continuità ed efficienza del servizio cui è adibito il richiedente il beneficio (ovvero, il parente prescelto per l’assistenza).

Tanto, a prescindere dal tipo di beneficio concretamente in questione, così che il predetto principio non può che valere anche per il beneficio dei permessi retribuiti.

4.5. Le predette considerazioni risultano pienamente aderenti alle caratteristiche del rapporto di lavoro del ricorrente.

Infatti, come sottolinea l’Amministrazione, la concessione dei permessi ai sensi della legge 104/1992 preclude (o comunque, rende problematica) la funzionalità del servizio presso l’Istituto per Sovrintendenti di Spoleto (dove 18 dipendenti sui 95 in organico, fruiscono dei permessi in questione).

4.6. In conclusione, può sintetizzarsi che la concessione del beneficio in questione presuppone in sostanza l’inesistenza di altri parenti o affini stretti, che siano in grado di prestare l’assistenza per la quale vengono richiesti i permessi retribuiti; oppure, esistendo tali familiari, presuppone l’impossibilità che essi, a causa di impedimenti oggettivi o comunque di motivi seri ed apprezzabili, che l’interessato è tenuto ad allegare alla domanda, prestino in concreto l’assistenza in questione.

Alla luce di tale configurazione del presupposto del beneficio, nel caso in esame non sembra dubbio che – come analiticamente affermato nel provvedimento impugnato, il che esclude l’insufficienza della motivazione e dell’istruttoria – non sia stata dimostrata l’inidoneità o l’impossibilità in concreto del fratello del ricorrente e della moglie del ricorrente ad occuparsi del (rispettivamente: padre e suocero) disabile, non apparendo in tal senso sufficienti le allegate circostanze che gli stessi abbiano manifestato l’esigenza di occuparsi a tempo pieno delle proprie attività lavorative o dei bambini, e che il disabile abbia prescelto per l’assistenza il figlio dipendente pubblico.

4.7. Va infine rilevato che l’omissione del preavviso di rigetto non inficia il provvedimento, ai sensi dell’articolo 21octies, secondo periodo, avendo l’amministrazione dimostrato in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

5. Sussistono giustificati motivi per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese di giudizio.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Umbria, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 17 novembre 2010 con l’intervento dei magistrati:

Carlo Luigi Cardoni, Presidente FF

Pierfrancesco Ungari, Consigliere, Estensore

Stefano Fantini, Consigliere

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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