T.A.R. Umbria Perugia Sez. I, Sent., 13-01-2011, n. 3

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Viene impugnata l’autorizzazione unica (sostitutiva del permesso di costruire) del Comune di Terni n. 513 in data 12 dicembre 2008, concernente un’intervento di ristrutturazione edilizia in Via Romagnosi, con destinazione ad uso extralberghiero – case vacanze, previa demolizione di immobili esistenti (già adibiti a caserma dei Carabinieri).

L’impugnazione comprende anche il provvedimento di variante parziale n. 266 in data 23 luglio 2009, nonché l’articolo 17, commi 3, 4 e 5, del regolamento edilizio comunale (nella parte in cui consentirebbe l’intervento).

2. La ricorrente è proprietaria di un appartamento prospiciente l’area da trasformare, dove abita con la famiglia. Lamenta che l’edificio da costruire abbia un altezza ed un ingombro ben superiori di quelli degli edifici demoliti, e che quindi, anche alla luce della nuova destinazione d’uso, incida negativamente sulla qualità della vita della zona e sul valore della sua proprietà.

Prospetta articolate censure – di violazione e falsa applicazione degli articoli: 33, comma 2, 3, comma 1, lettera d), 13, comma 1, lettera c), e 17, della l.r. 1/2004; 3 del d.P.R. 380/2001; 5, commi 25 e 26 delle N.G. del P.R.G. (deliberazione del C.C. n. 181/2000); 3, 4 e 21, delle N.T.A. della Variante al P.R.G. delle Aree Centrali (d.P.G.R. n. 376/1997); 16 e 17 del regolamento edilizio comunale (deliberazione del C.C. n. 298/2007); 61 della l.r. 27/2000; nonché di eccesso di potere per difetto di istruttoria, sviamento, travisamento dei fatti e dei presupposti – sostenendo che l’intervento assentito si pone in contrasto, sotto diversi profili, con le previsioni della normativa e degli strumenti urbanistici comunali in vigore.

3. Resistono, controdeducendo puntualmente, il Comune di Terni e l’impresa titolare dei provvedimenti impugnati.

4. Occorre anzitutto disattendere l’eccezione di irricevibilità per tardività sollevata dalle parti resistenti.

4.1. Il termine per l’impugnazione del provvedimento autorizzatorio edilizio, da parte dei soggetti nei cui confronti non sia prevista una comunicazione individuale, è quello di sessanta giorni, decorrenti dal momento in cui essi ne abbiano avuto "notificazione, comunicazione o piena conoscenza" (articoli 21, comma 1, legge 1034/1972, 41 e 29, cod. proc. amm.).

E’ pacifico che la ricorrente non abbia ricevuto alcuna comunicazione o notizia formale dei provvedimenti edilizi impugnati, fino alla data del 12 gennaio 2010, in cui ha ottenuto dal Comune di Terni l’accesso alla documentazione.

Si tratta pertanto di stabilire quando, tenendo conto del contesto fattuale e delle trasformazioni percepibili, la ricorrente abbia potuto (o, comunque avrebbe dovuto) acquisire una piena (adeguata) conoscenza dei provvedimenti, onde tempestivamente tutelarsi.

4.2. Va al riguardo ricordato che, secondo consolidati orientamenti giurisprudenziali (riassuntivamente, da ultimo, cfr. Cons. Stato, V, 12 luglio 2010, n. 4482 e IV, 12 giugno 2009, n. 3730), ai fini della decorrenza del termine per l’impugnazione di una concessione edilizia o del permesso di costruire:

– occorre in generale la sua piena conoscenza, che si verifica con la consapevolezza del contenuto specifico del titolo autorizzatorio o del progetto edilizio, o ancora quando la costruzione realizzata rivela in modo certo ed inequivoco le essenziali caratteristiche dell’opera e l’eventuale non conformità della stessa alla disciplina urbanistica (cfr. Cons. Stato, IV, 10 dicembre 2007, n. 6342; 12 febbraio 2007, n. 599; V, 24 agosto 2007, n. 4485; 23 settembre 2005, n. 5033; 8 ottobre 2002, n. 5312; 8 luglio 2002, n. 3805);

– la prova della piena ed effettiva conoscenza del titolo edilizio può essere desunta anche da elementi presuntivi, come l’intervenuta ultimazione dei lavori, o quando questi siano giunti almeno ad un punto tale che non si possa avere più alcun dubbio sulla consistenza, entità e reale portata dell’intervento edilizio assentito (cfr. Cons. Stato, V, 3 marzo 2004, n. 1022; VI, 10 giugno 2003, n. 3265);

– occorre, in altri termini, che le opere abbiano raggiunto uno stadio e una consistenza tali da renderne chiara l’illegittimità e la lesività per le posizioni soggettive del confinante (cfr. Cons. Stato, IV, 31 luglio 2008, n. 3849; 12 febbraio 2007, n. 599; V, 19 settembre 2007, n. 4876; 28 giugno 2004, n. 4790; VI, 10 giugno 2003 n. 3265; 14 marzo 2002 n. 1533);

– per contro, non è sufficiente il mero inizio dei lavori (cfr. Cons. Stato, V, 28 giugno 2004, n. 4790), né tanto meno l’apposizione di un cartello recante gli estremi e l’oggetto del titolo autorizzatorio edilizio (cfr. Cons. Stato, VI, 12 febbraio 2007, n. 540; IV, 11 aprile 2007, n. 1654).

Il Collegio non ravvisa motivo per discostarsi da detti orientamenti, peraltro seguiti anche da questo Tribunale (cfr., da ultimo, sent. 1 luglio 2010, n. 396 – relativa ad una controversia per molti aspetti analoga, per quanto si dirà, alla presente – in cui, richiamandosi Cons. Stato, V, 6 febbraio 2008, n. 322 e 4 marzo 2008, n. 885, viene individuato nel completamento dei lavori strutturali il momento nel quale, di norma, la piena conoscenza si può ritenere raggiunta).

4.3. Per quanto esposto, nel caso in esame non possono assumere concreta rilevanza le circostanze invocate dalle parti resistenti, vale a dire: che l’autorizzazione fosse stata rilasciata molti mesi prima; che i lavori fossero iniziati subito, con la rituale esposizione, in data 13 dicembre 2008, del cartello di cantiere recante gli estremi del provvedimento; che, in data 2 marzo 2009, il marito della ricorrente avesse manifestato all’impresa costruttrice rimostranze a causa della demolizione in atto; che nel dicembre 2009, risultassero già realizzati quattro solai dell’edificio, completato il piano terra ed in costruzione il primo piano (i primi due piani sono interrati); che, un anno prima, lo stesso titolo edilizio fosse già stato impugnato, da altri.

Tali circostanze, contrariamente a quanto sostengono le parti resistenti, non poteva evidenziare alla ricorrente che l’intervento assentito avrebbe comportato la demolizione dei quattro edifici esistenti e la realizzazione nella stessa area di un unico corpo di fabbrica, con sette piani fuori terra.

In particolare, lo stato dei lavori, al dicembre 2009, non consentiva ancora di percepire la consistenza dell’ "involucro esterno", la volumetria utile e la destinazione della nuova costruzione, elementi ai quali è esplicitamente legata la lesione della situazione giuridica fatta valere.

4.4. Il ricorso risulta notificato in data 8 marzo 2010, e pertanto è tempestivo rispetto alla data dell’accesso documentale dal quale, per quanto esposto, deve ritenersi scaturita la piena conoscenza del provvedimento.

5. Nel merito, giova precisare che l’intervento in questione (secondo quanto risulta dagli atti, e, a quanto sembra, è pacifico tra le parti):

– nonostante la documentazione progettuale presentata facesse riferimento ad una "ristrutturazione urbanistica", è stato qualificato dal Comune come "ristrutturazione edilizia" (c.d. pesante, ai sensi dell’articolo 13, comma 1, lettera c), della l.r. 1/2004), e comporta la demolizione di quattro immobili esistenti (già destinati a sede del Comando Provinciale dell’Arma dei Carabinieri, ed utilizzati come alloggi di servizio dei militari), la modifica della sagoma, del sedime ed il cambio della destinazione d’uso (si prevede un "uso extralberghierocase vacanze"), senza aumento della volumetria complessiva;

– è ubicato in un’area per la quale lo strumento urbanistico vigente (la citata Variante al P.R.G. per le Aree Centrali) prevede una destinazione ad "attrezzature d’interesse comune", che (articolo 21 delle N.T.A.) consente, tra l’altro, la realizzazione di "strutture ricettive e pararicettive" (come quelle oggetto della destinazione progettata).

6. Il Collegio ritiene fondata la prima delle censure dedotte, con cui si argomenta che l’autorizzazione impugnata incorre nella violazione e falsa applicazione degli articoli 3, 4 e 21, delle N.T.A. vigenti, in quanto il titolo edilizio avrebbe dovuto essere preceduto da un piano attuativo.

6.1. L’articolo 3, comma 1, delle N.T.A. prevede che "L’attuazione della Variante al P.R.G. delle Aree Centrali avverrà mediante Piani attuativi ed, in assenza di questi, attraverso il ricorso ad interventi urbanistici preventivi o ad interventi edilizi diretti in conformità a quanto disposto dalle presenti N.T.A.".

Tra gli ambiti territoriali dei Piani attuativi compare (con il n. 9) la Zona Battisti, di cui faceva parte il complesso immobiliare demolito.

D’altro canto, l’articolo 4 delle N.T.A. considera l’ "intervento edilizio diretto" e stabilisce che esso "si applica ed è consentito nelle aree destinate a verde pubblico attrezzato e sport, ad attrezzature per l’istruzione scolastica ed a quelle per la residenza".

Quindi, deve ritenersi che non siano consentiti interventi edilizi diretti, se non, a titolo di eccezione, in (alcune) aree residenziali, nelle aree destinate a verde pubblico e sport ed in quelle destinate ad attrezzature per l’istruzione scolastica (disciplinate, rispettivamente, dagli articoli 10, 22 e 20 delle N.T.A., disposizioni in cui viene esplicitato che "Il piano si attua per intervento edilizio diretto").

Nel senso indicato, del resto, si è già espresso questo Tribunale con la citata sentenza n. 396/2010.

6.2. La difesa delle parti resistenti fa leva sull’articolo 21 delle N.T.A., che, nel disciplinare le edificazioni nelle "aree per attrezzature di interesse comune" non prevede la preventiva adozione di un piano attuativo.

E, per disinnescare la portata dell’articolo 3, lo interpreta nel senso che "nel caso di assenza di piano attuativo, come nella fattispecie di cui trattasi, sono consentiti gli interventi edilizi diretti" (memoria della controinteressata, pagina 4).

Ma è evidente che, così interpretato, l’articolo 3 non avrebbe significato precettivo. Mentre, invece, lo assume là dove prevede che la possibilità degli interventi diretti è data "in conformità a quanto disposto dalle presenti N.T.A.", vale a dire, non soltanto entro i limiti, ma anche in coerenza con quanto previsto dalle altre disposizioni; tra cui, in primis, l’articolo 4 – che elenca, appunto, le ipotesi in cui è consentito l’intervento diretto. In questa prospettiva, la tesi delle parti resistenti avrebbe potuto condividersi qualora (e soltanto qualora) l’articolo 21 (in contraddizione con quanto disposto in generale dagli articoli 3 e 4, tra loro pienamente compatibili), per le "aree per attrezzature di interesse comune", avesse espressamente escluso la necessità di un piano attuativo, ovvero (al pari degli articoli 10, 22 e 20, in relazione alle diverse zonazioni suindicate) avesse espressamente ed univocamente previsto la sufficienza dell’intervento diretto.

In realtà, quanto disposto dall’articolo 21, presuppone la necessità di un piano attuativo, e riguarda (semplicemente) la previsione de "le modalità di attuazione e le destinazioni d’uso per ogni area (…) con deliberazione del Consiglio Comunale che determinerà nel caso di intervento da parte di privati opportune forme di convenzionamento con precisi vincoli di scadenza" (comma 2); la deroga a detta previsione, per i "fabbricati esistenti" (comma 3) e l’ammissibilità, in generale, di "interventi di ristrutturazione, di demolizione, nuova edificazione" (comma 4).

L’interpretazione dell’articolo 21 sottesa al provvedimento impugnato appare dunque avulsa dal contesto della normativa di piano ed ingiustificatamente estensiva.

6.3. Le parti resistenti invocano inoltre l’orientamento giurisprudenziale (consolidato, a partire da Cons. Stato, A.P., 6 ottobre 1992, n. 12), secondo il quale non vi sarebbe stato comunque bisogno di un piano attuativo, essendo l’area in questione ricompresa in un nucleo interamente urbanizzato ed edificato.

Il Collegio ritiene che l’applicazione di detto principio sia problematica, in presenza di una disciplina dettagliata delle modalità tecniche e procedimentali di trasformazione del territorio pianificato, che stabilisca per le singole zone la necessità della verifica del rispetto degli standard urbanistici. Del resto, l’esigenza che l’intervento edificatorio c.d. diretto presupponga la positiva verifica da parte della p.a. della superfluità del piano attuativo, in quanto non debbano essere realizzate o potenziate le opere di urbanizzazione primaria e secondaria, è presa in considerazione anche dalle pronunce che si inscrivono nel predetto orientamento (cfr. Cons. Stato, IV, 4 dicembre 2007, n. 5816; V, 17 luglio 2004, n. 5127 e 1 febbraio 1995, n. 162). Tanto più detta esigenza va salvaguardata, laddove si tratti – come avviene nel caso in esame – di demolire per ricostruire con una diversa destinazione d’uso, cui può riconnettersi un diverso carico urbanistico.

In ogni caso, occorre rilevare che le suindicate disposizioni delle N.T.A. che, secondo quanto esposto, sottopongono l’edificazione alla previa approvazione di un piano attuativo, non potevano essere disapplicate dal Comune, né sono state impugnate o possono essere disapplicate in questa sede, e quindi assumono efficacia ai fini della valutazione della legittimità del provvedimento impugnato.

6.4. In ogni caso, quanto alla sostanziale necessità e giustificazione dello strumento attuativo, può richiamarsi quanto affermato dal Tribunale nella citata sentenza n. 396/2010 – come si è detto relativa ad una controversia concernente un intervento tipo logicamente, anche se non funzionalmente, del tutto analogo a quello in questione – nel senso che: " (…)va notato che secondo la legge regionale n. 1/2004, art. 3, comma 1, lettera (d), "nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria, sagoma e area di sedime preesistenti". Nel caso in esame, stando a quanto dichiarato negli atti progettuali, l’intervento consiste in una demolizione integrale seguita da ricostruzione, mantenendo la stessa volumetria ma con diversa sagoma e diverso sedime (e anche maggiore altezza e mutamento di destinazione d’uso). E’ dunque certo che non si tratta di ristrutturazione edilizia. In realtà, come si è già detto, in tutti gli atti progettuali l’intervento viene definito "ristrutturazione urbanistica" con esplicito richiamo alla lettera (f) dell’art. 3, comma 1, legge regionale n. 1/2004 (…).Ci si chiede ora se – dato e non concesso che nel quadro normativo applicabile nella fattispecie gli interventi di ristrutturazione siano esentati dalla previa formazione del piano attuativo – ciò valga solo per gli interventi di ristrutturazione edilizia ovvero anche per quelli di ristrutturazione urbanistica. In proposito, conviene ricordare che per ristrutturazione edilizia si intendono "gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare a un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente…" inclusa anche la integrale demolizione e ricostruzione del fabbricato purché senza modifiche di volumetria, area di sedime e sagoma. Invece per ristrutturazione urbanistica si intendono gli interventi "rivolti a sostituire l’esistente tessuto urbanisticoedilizio, urbano o rurale, con altro diverso, mediante un insieme sistematico di interventi edilizi, anche con la modifica e/o lo spostamento dell’area di sedime e la modificazione del disegno dei lotti, degli isolati e della rete stradale". Non si deve pensare che quella edilizia e quella urbanistica siano due varietà della unica species ristrutturazione, tanto da meritare una disciplina sostanzialmente comune. Al contrario, si tratta di due figure radicalmente diverse, come dimostrano le rispettive definizioni, che risalgono all’art. 31 della legge n. 457/1978. Caratterizzante è l’aggettivo, non il sostantivo. La ristrutturazione edilizia esprime un progetto edilizio; la ristrutturazione urbanistica esprime un progetto urbanistico. Una ristrutturazione urbanistica effettuata con intervento diretto è una contraddizione in termini, un ossimoro. In effetti, già la legge n. 457/1978 – la quale ha introdotto nell’ordinamento l’istituto del "piano di recupero" (ora confluito nel piano attuativo) e la figura della ristrutturazione urbanistica intesa come la forma più complessa e penetrante del recupero dell’esistente – all’art. 27, quarto comma (nel testo originario) disponeva: "Qualora (i piani regolatori generali) subordinino il rilascio della concessione (edilizia) alla formazione del piano particolareggiato, sono consentiti, in assenza di questo, gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, nonché di restauro e di ristrutturazione edilizia che riguardino esclusivamente opere interne e singole unità immobiliari, con il mantenimento delle destinazioni d’uso residenziali". Gli interventi di ristrutturazione urbanistica rimanevano invece assoggettati, in ogni caso, alla previa formazione di un piano particolareggiato; e ciò, come si è visto, per una necessità logica prima che per una scelta del legislatore. (…) Non si può argomentare il contrario, basandosi sul fatto che la legge regionale n. 1/2004, all’art. 13, include la ristrutturazione urbanistica fra gli interventi che necessitano del permesso di costruire, quasi che ciò sottintendesse che il piano attuativo, invece, non è necessario. La legge regionale n. 1/2004, invero, disciplina solo l’attività edilizia e pertanto non si occupa dei piani attuativi, neppure per dire se e quando siano necessari. L’art. 13 lascia dunque aperta ed impregiudicata tale ultima questione, e ciò non solo per la ristrutturazione urbanistica, ma anche per gli altri interventi. Va considerata invece la legge regionale n. 11/2005, che disciplina la pianificazione urbanistica e si occupa anche dei piani attuativi, rimettendo ad un emanando regolamento regionale e, comunque, ai piani regolatori generali l’indicazione dei casi nei quali sia necessaria la formazione del piano attuativo. E, in questo caso, come si è visto, il piano attuativo è richiesto dal p.r.g. (variante "aree centrali", art. 4 delle N.T.A.) ".

6.5. Va precisato che, ai fini della decisione, non rileva la circostanza – segnalata dalla controinteressata – che per l’area vi sia un piano attuativo in corso di formazione, che dovrebbe comportare anche la modifica della destinazione d’uso dell’area (in senso residenziale), trattandosi di previsione in itinere inapplicabile al provvedimento impugnato.

Va anche sottolineato che, in accoglimento delle osservazioni presentate dalla impresa controinteressata a seguito dell’adozione (deliberazione consiliare n. 88 in data 31 marzo 2004) del Nuovo P.R.G., con deliberazione consiliare n. 319 in data 15 novembre 2007, l’area in questione è stata "individuata con un comparto di ristrutturazione urbanistica, con attuazione tramite p.a., nel quale è prevista la demolizione e ricostruzione con la medesima volumetria con destinazione residenziale e per una quantità non inferiore al 15 % ad attrezzature d’interesse comune (piano terra)". Ciò, a dire della ricorrente, avrebbe dovuto comportare comunque, ai sensi dell’articolo 13, comma 8, della l.r. 11/2005, quale misura di salvaguardia c.d. "procedimentale" o "strumentale", la necessità del piano attuativo, anche nei confronti dei progetti la cui autorizzazione era in itinere.

Ma tale argomentazione è stato esposta dalla ricorrente in una semplice memoria difensiva, e deve quindi ritenersi – con la difesa delle parti resistenti – che si tratti di censura nuova, irritualmente dedotta e pertanto inammissibile.

7. La censura ritenuta fondata assume carattere assorbente, posto che la eventuale rinnovazione del procedimento conseguente all’annullamento del provvedimento impugnato, una volta integrata la lacuna procedimentale, potrà (dovrà) riconsiderare i profili relativi alla dotazione di standard urbanistici, alla qualificazione della categoria di intervento, agli aspetti realizzativi specificamente oggetto delle altre censure dedotte dalla ricorrente.

Il Collegio ritiene dunque di poter prescindere dall’esaminare (o dall’approfondire, per quanto concerne la qualificazione dell’intervento, già oggetto delle considerazioni richiamate al punto 6.4.) dette altre censure.

8. In conclusione, il ricorso è fondato e va pertanto accolto, con annullamento dell’ "autorizzazione unica" e della sua variante.

9. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Umbria, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla i provvedimenti edilizi impugnati.

Condanna le parti resistenti, in solido, al pagamento delle spese legali in favore della ricorrente, che liquida in euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre agli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 3 novembre 2010 con l’intervento dei magistrati:

Carlo Luigi Cardoni, Presidente FF

Pierfrancesco Ungari, Consigliere, Estensore

Stefano Fantini, Consigliere

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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