Cons. Stato Sez. IV, Sent., 14-01-2011, n. 186

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Con ricorso proposto dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Sezione staccata di Lecce ed ivi rubricato al n. 1282/2009 R.G., l’odierna appellata ha impugnato gli atti, con cui la sottocommissione per gli esami di abilitazione all’esercizio della professione di avvocato per la sessione 2008/2009 istituita presso la Corte d’Appello di Reggio Calabria non l’ha ammessa alla prova orale, per effetto della attribuzione agli elaborati delle prove scritte da lei redatti del punteggio complessivo di 80 (25 per la prova di diritto civile, 25 per la prova di diritto penale e 30 per l’atto giudiziario).

Il T.A.R., con Ordinanza n. 744 del 24 settembre 2009, ha accolto la domanda cautelare avanzata dalla ricorrente ed ha disposto l’ammissione diretta della stessa alla prova orale dell’esame di idoneità professionale.

In esecuzione dell’ordinanza, l’interessata ha svolto la prova orale, con ésito positivo, in data 6 ottobre 2009, dopodichè ha chiesto ed ottenuto, in data 8 ottobre 2009, l’iscrizione all’Ordine degli Avvocati di Lecce.

Nel frattempo, il Ministero della Giustizia ha appellato l’ordinanza del TAR n. 749 del 2007 ed ha chiesto l’emanazione di un decreto monocratico, per l’inibizione degli effetti della medesima ordinanza.

Questa Sezione:

– con decreto presidenziale n. 5284/2009 in data 21 ottobre 2009, ha accolto l’istanza ed ha sospeso gli effetti dell’ordinanza del T.A.R.;

– con l’ordinanza n. 5621 in data 11 novembre 2009 (RILEVATO che l’ordinanza impugnata ha disposto "…l’ammissione diretta della ricorrente alla prova orale…", sul presupposto che, "…in ordine al valore degli elaborati…", lo permettesse "…il giudizio fortemente positivo e pienamente condiviso espresso dai pareri pro veritate…" esibiti dalla stessa ricorrente; RILEVATO, inoltre, che in tal modo, il giudice di prime cure ha eliso la fase della correzione delle prove scritte, non potendosi ritenere sostitutivo di tale necessario ed insostituibile segmento procedimentale l’ulteriore disposizione impartita alla Commissione Giudicatrice "…di procedere alla discussione con il candidato del contenuto delle prove scritte…", in sede di effettuazione della prova orale, restando "…fermo l’obbligo…" per la (stessa) Commissione, di operare "… in una composizione soggettiva diversa da quella di cui alla correzione degli elaborati scritti…"; CONSIDERATO, sotto il profilo processuale, che la suddetta disposizione del primo giudice deve ritenersi esorbitante dalla sfera dei poteri rimessi dalla legge al giudice della cautela in sede di giurisdizione generale di legittimità, quale quella esercitabile nella fattispecie in esame; AVUTO PRESENTE, nel merito, che, a mente dell’art. 4, comma 2bis, del Decreto Legge 30 giugno 2005, n. 115, convertito, con modificazioni, nella legge 17 agosto 2005, n. 168, per potersi conseguire ad ogni effetto l’abilitazione professionale occorre che "…i candidati abbiano superato le prove di esame scritte ed orali previste dal bando…", mentre nel caso in esame non risulta che la ricorrente abbia superato le prove scritte, non essendo state rivalutate queste ultime dalla Commissione Esaminatrice, unico organo competente ad esprimere i relativi giudizi di merito; CONSIDERATO che, in tale situazione, deve escludersi che si siano verificati i presupposti richiesti dalla citata norma dell’art. 4, comma 2bis e che, quindi, si siano prodotti gli effetti sananti da essa previsti; CONSIDERATO che è da escludere, altresì, che l’intervenuta iscrizione dell’interessata nell’Albo degli Avvocati, mediante delibera del Consiglio dell’Ordine Forense di Lecce del 7 ottobre 2009, costituisca sopravvenienza che rende improcedibile, allo stato, l’appello cautelare in epigrafe, permanendo, in ogni caso, il potere giurisdizionale di questo giudice di sindacare il procedimento di valutazione del candidatoavvocato e di trarre le dovute conclusioni dall’illegittimo svolgersi dello stesso procedimento, attraverso l’emanazione di provvedimento giurisdizionale che riporti nell’alveo delineato dalla legge lo svolgersi delle prove di esame) ha accolto l’appello e, in riforma dell’ordinanza del T.A.R. n. 744 del 2009, ha respinto la domanda cautelare di primo grado.

2. – Con la sentenza indicata in epigrafe, il T.A.R. ha poi dichiarato improcedibile per carenza di interesse il ricorso, rilevando che l’interessata ha conseguito l’abilitazione professionale, da considerare intangibile ai sensi dell’art. 4, comma 2 bis, del decreto legge n. 115 del 2005 (come convertito nella legge n. 168 del 2005).

3. Con l’appello in esame, il Ministero della Giustizia e le Sottocommissioni d’esame competenti per la sessione de qua hanno impugnato la decisione del T.A.R. ed hanno dedotto l’inapplicabilità del richiamato art. 4, comma 2bis, nonché la violazione dei principii riguardanti la tutela cautelare (poiché "la nuova determinazione assunta dalla P.A. in esecuzione di un’ordinanza c.d. propulsiva ha rilevanza meramente provvisoria e segue le sorti della misura cautelare, nel senso che l’eventuale riforma di quest’ultima comporta l’automatica caducazione… della nuova valutazione… assunta dall’Amministrazione": pag. 12 app.).

L’appellata si è costituita nel presente grado di giudizio ed ha chiesto, anche con successive memorie, la reiezione del gravame, con la prima di dette memorie in particolare insistendo comunque sulla fondatezza delle censùre da lei sollevate col ricorso introduttivo del giudizio dinanzi al T.A.R.

Non si è costituito in giudizio l’intimato Ordine degli Avvocati.

Con Ordinanza n. 1915/2010, pronunciata nella Camera di Consiglio del giorno 27 aprile 2010, è stata accolta la domanda di sospensione dell’esecuzione della sentenza appellata.

4. – Anche gli appellanti, con memoria in data 2 novembre 2010, hanno ribadito le tesi di gravame, sottolineando in particolare come "l’intervenuta iscrizione… dell’interessata nell’albo degli avvocati mediante delibera del Consiglio dell’Ordine Forense di Lecce costituisce una sopravvenienza… che certamente non priva il giudice amministrativo del potere/dovere di sindacare il presupposto procedimento di valutazione del candidato avvocato" (pag. 2).

La causa è stata chiamata e trattenuta in decisione alla udienza pubblica del 7 dicembre 2010.

5. – La Sezione ritiene che sia fondato e vada accolto l’assorbente primo motivo di appello, con il quale si deduce l’insussistenza nella fattispecie delle condizioni per l’applicazione dell’art. 4, comma 2bis, del D.L. n. 115/2005 convertito in legge n. 168/2005, che, si afferma dagli appellanti, "presuppone il superamento di una completa procedura di abilitazione", che non potrebbe ravvisarsi nel caso all’esame, in cui "le prove scritte non sono mai state rivalutate con esito positivo dalla competente commissione" (pag. 2 mem.).

5.1 – Premesso, invero, che è applicabile alla fattispecie il consolidato indirizzo giurisprudenziale, secondo cui la spontanea esecuzione della pronuncia (anche cautelare) di primo grado, immediatamente esecutiva, non determina il venir meno dell’interesse dell’originario ricorrente alla declaratoria di illegittimità degli atti oggetto del giudizio, che potranno dirsi definitivamente superati dai nuovi atti adottati dall’Amministrazione in stretta esecuzione della sentenza di primo grado (o del dictum cautelare) solo allorché le statuizioni di questa (o di questo) siano confermate dal giudice di appello o, nella seconda ipotesi, dalla pronuncia di mérito conclusiva del primo grado di giudizio poi confermata in appello o comunque passata in giudicato (ex plurimis, C.d.S., sez. IV, 5 settembre 2007, n. 4644; 18 dicembre 2008, n. 6368; 19 maggio 2008, n. 2229; da ultimo, sez. V, 26 febbraio 2010, n. 1148 e sez. IV, 9 luglio 2010, n. 4453) e che dunque, in condizioni ordinarie, l’ulteriore attività posta in essere dalla p.a. in esecuzione di un’ordinanza cautelare (ivi compresa, nel caso di specie, la successiva iscrizione all’Ordine degli Avvocati) non costituisce esercizio di potestà amministrativa avente autonoma valenza sostanziale ma rappresenta null’altro che la doverosa conformazione alle statuizioni impartite dal giudice (che sono immediatamente esecutive) con la conseguenza che esse sono caducate dall’eventuale successiva reiezione del ricorso nel merito senza necessità di autonoma impugnazione, ritiene il Collegio che, come ha correttamente evidenziato l’appello in esame, la sentenza gravata abbia operato una falsa applicazione delle disposizioni contenute nell’art. 4, comma 2 bis, del decreto legge n. 115 del 2005 (come convertito nella legge n. 168 del 2005), che, com’è noto, riguarda i casi in cui abbia avuto luogo la rinnovazione delle prove, in esecuzione di una ordinanza o di una sentenza del giudice amministrativo, che risulti produttiva di effetti.

Come infatti ha chiarito la Corte Costituzionale con sentenza 9 aprile 2009, n. 108, "presupposto per l’applicazione della disposizione impugnata è che, a seguito di un provvedimento giurisdizionale o di iniziativa della stessa amministrazione, vi sia stato un nuovo accertamento dell’idoneità del candidato, con la ripetizione delle prove o con una nuova valutazione di esse".

La disposizione, insomma, può, secondo il Giudice delle Leggi, trovare applicazione solo quando via sia stato un "nuovo accertamento… operato a seguito di un provvedimento cautelare del giudice" (così la citata sentenza) e non, dunque, nel caso di specie, in cui la procedura di esame, originariamente conclusasi con la mancata ammissione della candidata alle prove orali, si è riavviata, a seguito della pronuncia cautelare favorevole del giudice amministrativo di primo grado, non dalla fase della revisione delle prove scritte (con un ésito positivo della rinnovata – o, meglio, rinnovabile valutazione – ch’è rimasto dunque puramente eventuale), ma da quella dello svolgimento della prova orale, ch’è stata poi effettivamente superata dall’interessata.

Ma se la disposizione impugnata "ha lo scopo di evitare che il superamento delle prove di un esame di abilitazione venga reso inutile dalle vicende processuali successive al provvedimento, con il quale un giudice o la stessa amministrazione, in via di autotutela, abbiano disposto l’ammissione alle prove di esame o la ripetizione della valutazione" e per raggiungere questo scopo, essa "rende irreversibili – secondo la giurisprudenza amministrativa – gli effetti del superamento delle prove scritte e orali previste dal bando" (così, ancora, la citata sentenza della Corte costituzionale), nel caso di specie alcun "superamento" della prova scritta può dirsi in realtà intervenuto, atteso che nella naturale sede amministrativa l’unico giudizio reso sulle prove stesse, oggetto appunto del ricorso di primo grado, risulta di segno negativo.

Né può condividersi la tesi del Giudice di primo grado, secondo il quale "nella vicenda che ci occupa… deve ritenersi che il giudizio favorevole in ordine al superamento della prova scritta sia già nel provvedimento cautelare", atteso che, come sottolineato dalla stessa Corte costituzionale nella sentenza anzidetta, l’accertamento dell’idoneità dei candidati a svolgere una determinata attività professionale "deve essere compiuto da un organo imparziale e dotato di adeguate competenze: è necessario che l’accertamento vi sia, mentre non è decisivo che esso abbia luogo nel corso dell’ordinario procedimento amministrativo di esame o a seguito di un provvedimento giurisdizionale o di autotutela amministrativa… È questo accertamento amministrativo, e non il provvedimento del giudice, a produrre l’effetto di conseguimento dell’abilitazione, che la disposizione rende irreversibile".

Alla luce di siffatti principii, è chiaro come, nel caso all’esame, essendo mancata una qualsiasi attività amministrativa di accertamento della sufficienza degli elaborati della prova scritta sostenuta dalla ricorrente ulteriore rispetto alla valutazione negativa oggetto del presente giudizio e non essendo certo dato al Giudice in violazione del principio costituzionale della separazione dei poteri di sostituire le sue valutazioni a quelle operate o da operarsi dall’organo a ciò deputato ch’è la commissione di esame quale organo straordinario ed infungibile dell’Amjministrazione, non è possibile affermare l’operatività del meccanismo di "stabilizzazione", di cui al citato comma 2 bis dell’art. 4, la cui stessa lettera significativamente riconduce i proprii effetti al superamento delle "prove d’esame scritte ed orali".

Né d’altra parte può in alcun modo attribuirsi valore di superamento della prova scritta alla discussione del contenuto delle prove scritte svolta dalla candidata in sede di prova orale, dal momento che la possibilità data alla commissione di esame dall’art. 17bis del R.D. n. 37/1934 (tradottasi nel caso all’esame in obbligo in virtù dell’espressa statuizione in tal senso contenuta nell’ordinanza cautelare del T.A.R., che ha disposto la diretta ammissione della candidata alla prova orale), vòlta a consentire al candidato di chiarire le tesi esposte nei suoi elaborati ed alla commissione di verificarne l’effettiva paternità e soprattutto la consapevolezza che ne ha accompagnato l’elaborazione, non può certo di per sé valere a surrogare l’ineludibile fase della revisione degli elaborati e della attribuzione agli stessi di un punteggio di mérito, espressamente prevista dal medesimo art. 17bis.

5.2 – In mérito, infine, alla portata della sopravvenuta "definitiva iscrizione della ricorrente all’Albo degli Avvocati", tràttasi di circostanza, come s’è già accennato, non certo idonea a determinare la sopravvenuta carenza di interesse al ricorso di primo grado, giacché la stessa presuppone una idoneità all’esercizio della professione, il cui accertamento, che costituisce appunto l’oggetto del presente giudizio, è tuttora sub iudice ed al cui ésito positivo la ricorrente stessa ha di sicuro un persistente interesse, atteso che solo una volta accertata siffatta idoneità la sua attività professionale potrà liberamente esplicarsi nel rispetto del principio della tutela della pubblica fede, nel quale trova appunto fondamento l’obbligo di iscrizione all’albo professionale.

6. – Alla luce di tutto fin qui esposto l’appello dell’Amministrazione rivolto avverso la statuizione di improcedibilità del ricorso di primo grado va accolto e, permanendo come s’è visto l’interesse dell’originaria ricorrente alla definizione del giudizio, occorre passare all’esame del mérito del ricorso di primo grado, sulla base dei motivi con lo stesso fatti valere e dall’appellata riproposti in memoria.

6.1 – Con un primo motivo di impugnazione, la ricorrente censura le valutazioni apposte sui suoi elaborati, nella parte in cui, ai fini della motivazione delle insufficienze da lei riportate in due delle tre prove scritte, si risolvono, afferma, "nell’espressione di giudizio numerico e motivazionale del tutto privo dei presupposti", per di più non accompagnata da annotazioni o segni grafici idonei ad esplicitare le ragioni delle valutazioni negative formulate dalla Commissione; inoltre, lamenta la ricorrente, la Commissione centrale e la Sottocommissione istituita presso la Corte di Appello di Reggio Calabria avrebbero commesso "gravissime… inadempienze", la prima nel dettare "criteri solo apparentemente specificati rispetto a quelli previsti dalla disciplina speciale", la seconda nel recepire "acriticamente" i criterii di valutazione fissati dalla Commissione centrale.

Al riguardo, la Sezione non ravvisa motivo per discostarsi dal proprio granitico indirizzo, secondo cui, anche dopo l’entrata in vigore dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, i provvedimenti della commissione esaminatrice – che rilevano l’inidoneità delle prove scritte e non ammettono alla prova orale degli esami di abilitazione alla professione di avvocato – vanno di per sé considerati adeguatamente motivati quando si fondano su voti numerici, attribuiti in base ai criterii predeterminati, senza necessità di ulteriori spiegazioni e chiarimenti (peraltro nel caso di specie comunque ad abundantiam forniti dalla Commissione facendo seguire al voto, nei due elaborati giudicati insufficienti, la motivazione, sintetica ma eloquente, secondo cui "l’elaborato si rivela superficiale in quanto non argomenta su alcuni punti della traccia"), valendo comunque il voto a garantire la trasparenza della valutazione (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, sez. IV, 18 febbraio 2010, n. 953; id., 22 dicembre 2009, n. 8628; id., 6 febbraio 2007, n. 607; id., 22 giugno 2006, n. 3924; da ultimo, Cons. St., IV, 4 maggio 2010, n. 2557); né può sostenersi che la circostanza che sugli elaborati di un concorso pubblico non sia stato apposto alcun segno grafico di correzione sia elemento significativo da cui desumere la carenza di motivazione, sia perché essa non può significare che la prova non sia stata oggetto di correzione, sia perché la necessaria correlazione con i predeterminati criterii di valutazione (che, come nella sessione de qua stabiliti dalla Commissione centrale istituita presso il Ministero della Giustizia e come poi vincolativamente recepiti dalla Sottocommissione che ha valutato gli elaborati della ricorrente, tenuto conto che gli stessi costituiscono espressione di discrezionalità amministrativa assurgente al massimo livello, appaiono sufficientemente specifici ed appropriati al tipo di prove che caratterizza l’esame di abilitazione di cui si tratta) è comunque garantita dalla graduazione ed omogeneità delle valutazioni effettuate mediante l’espressione della cifra del voto (la quale è di per sé espressiva del necessario collegamento tra voto e criterii, che non abbisogna di ulteriori specificazioni), con il solo limite della contraddizione tra specifici ed obiettivi elementi di fatto, criterii di massima prestabiliti e conseguente attribuzione del voto (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 953/2010, cit.; id., n. 8628/2009, cit.; Cons. Stato, sez. VI, 28 luglio 2008, n. 3710; id., 4 ottobre 2006, n. 5894; Cons. Stato, sez. V, 20 giugno 2006, n. 3670); contraddizione nel caso di specie nemmeno evocata con le censure di primo grado qui riproposte.

Quanto, poi, alla eccezione di incostituzionalità dell’art. 3 della legge n. 241/1990 laddove interpretato secondo l’ormai consolidato sopra richiamato orientamento della Sezione, sollevata con lo stesso motivo di ricorso, essa è manifestamente infondata, tenuto conto: 1) quanto alla dedotta violazione dell’art. 113 cost., delle considerazioni già svolte dalla Corte costituzionale con sentenza 30 gennaio 2009, n. 20, confermate dalla ordinanza 20 marzo 2009, n. 78, sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 22, comma nono, del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, conv., con modificazioni, dalla l. 22 novembre 1934, n. 36, sostituito dall’art. 1bis del d.l. 21 maggio 2003, n. 112, conv., con modificazioni, dalla l. 18 luglio 2003, n. 180; nonché degli artt. 17 bis, 22, 23 e 24, comma primo, del r.d. 23 gennaio 1934, n. 37 (norme integrative e di attuazione del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, sull’ordinamento della professione di avvocato e di procuratore), nella parte in cui non prevedono l’obbligo di giustificare e/o motivare il voto verbalizzato in termini alfanumerici; 2) quanto alla dedotta violazione dell’art. 3 cost., che l’idoneità della attribuzione di meri coefficienti numerici alle prove di esame quale sufficiente espressione della valutazione degli stessi costituisce regola affermata dalla giurisprudenza per ogni procedura concorsuale, salvo disposizioni specifiche (cfr. da ultimo, in materia di concorsi a pubblico impiego, Cons. di Stato, sez. VI, 28 luglio 2008, n. 3710; sez. V, 9 giugno 2008, n. 2888; sez. V, 14 aprile 2008, n. 1698; sez. IV, 29 maggio 2008, n. 2577), il che esclude che la sua applicazione alla procedura in esame concretizzi nei confronti di questa alcuna ingiustificata disparità di disciplina; 3) quanto alla dedotta violazione dell’art. 97 cost., che la valutazione mediante meri coefficienti numerici non contraddice né il principio di buon andamento della p.a. (evidenziandosi, anzi, come modalità procedimentale atta ad assicurare snellezza ed economicità all’azione amministrativa che si esplica nel procedimento di valutazione di cui si tratta), né il principio di imparzialità, la cui osservanza è sempre sindacabile da parte del giudice amministrativo attraverso la già evidenziata verificabilità, sul piano della logicità e ragionevolezza, dei punteggi attribuiti al candidato.

6.2 – Venendo alla prima censura dedotta con il secondo motivo di gravame (secondo cui "né dagli elaborati della ricorrente né dai verbali della Sottocommissione risulta possibile evincere le valutazioni espresse dai singoli") anch’essa risulta infondata alla luce della costante giurisprudenza, la quale ha più volte rilevato che nessuna norma prescrive la verbalizzazione della votazione attribuita da ciascun commissario, dovendo presumersi l’unanimità ed uniformità del punteggio assegnato, salvo che risulti il dissenso da parte di taluno dei commissarii (Cons. di Stato, sez. IV, 19 maggio 2008, n. 2293; sez. IV, 27 marzo 2008, n. 1257; sez. IV, 5 dicembre 2006, n. 5794).

Infondata, infine, è pure la seconda censura dedotta con il motivo predetto, relativa all’intervenuta sottoscrizione dei verbali e degli elaborati della ricorrente soltanto da parte del Presidente e del Segretario della Sottocommissione, alla stregua del chiaro disposto dell’art. 24, comma 1, del R.D. n. 37/1934 ("Il voto deliberato deve essere annotato immediatamente dal segretario, in tutte lettere, in calce al lavoro. L’annotazione è sottoscritta dal presidente e dal segretario") e del successivo art. 30 ("Di tutte le operazioni attinenti allo svolgimento degli esami è redatto verbale a cura del segretario. Il verbale è sottoscritto dal presidente e dallo stesso segretario.").

Né, d’altro canto, sempre a proposito delle dedotte omissioni pretesamente intervenute in sede di verbalizzazione, alcuna norma prescrive che l’obbligo di verbalizzazione delle operazioni della commissione si estenda, come pretenderebbe la ricorrente, alla "indicazione dell’orario di inizio e termine delle singole operazioni di correzione", essendo positivamente prevista, in relazione a tali operazioni, la sola annotazione del voto deliberato (art. 24 cit.).

7. – In conclusione l’appello va accolto e, in riforma della declaratoria di improcedibilità del ricorso di primo grado pronunciata con la sentenza impugnata, detto ricorso dev’essere respinto.

8. – Quanto alle spese del doppio grado di giudizio, ritiene il Collegio che l’onere delle stesse, liquidate nella misura indicata in dispositivo, segua, come di régola, alla soccombenza.
P.Q.M.

il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.

Condanna l’appellata al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio, che liquida in euro 2.500,00 (euro duemilacinquecento/00) per il primo grado di giudizio ed in euro 3.500,00 (euro tremilacinquecento/00) per il grado di appello, ivi comprese competenze di legge ed onorarii di avvocato.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, addì 7 dicembre 2010, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quarta – riunito in Camera di consiglio con l’intervento dei seguenti Magistrati:

Gaetano Trotta, Presidente

Anna Leoni, Consigliere

Salvatore Cacace, Consigliere, Estensore

Sergio De Felice, Consigliere

Raffaele Greco, Consigliere

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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