Cons. Stato Sez. IV, Sent., 14-01-2011, n. 185

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – La società odierna appellante è affittuaria di un’azienda (sita in Comune di Altamura e costituita da una struttura polivalente, contenente ristorante, pizzeria, bar, sala ricevimemnti ed albergo; il tutto completamente attrezzato, arredato e funzionante in ogni suo settore) in forza di contratto d’affitto d’azienda intercorrente con la S.P. & C. s.n.c., stipulato in data 28 dicembre 1999, avente la durata di dieci anni a partire dal 1° gennaio 2000 e che si assume esser stato da ultimo prorogato di ulteriori dieci anni.

Con provvedimento in data 12 settembre 2008 (prot. n. 2008/20436/I – Puglia), l’Agenzia del Demanio le ha ordinato, nella sua qualità di effettiva utilizzatrice dell’intera, anzidetta, struttura (comprendente sia il patrimonio immobiliare della sig.ra M.M. – proprietaria dei beni immobili confluiti nell’azienda di cui sopra, oggetto di un contratto di comodato stipulato in data 21 novembre 1996 fra la stessa e la società locatrice nel predetto rapporto di affitto d’azienda successivamente instaurato con l’odierna appellante – sia i complessi aziendali delle due società), lo sgombero degli immobili occupati, avvalendosi del potere di autotutela, di cui all’art. 823 c.c., trattandosi di beni, in relazione ai quali è stata applicata in via definitiva, dall’Autorità Giudiziaria Penale, ai sensi dell’art. 2 della legge n. 575/1965 e ss. mm., la misura di prevenzione patrimoniale della confisca nei confronti della sig.ra M.M. (quanto alla proprietà dei terreni e fabbricati) e nei confronti delle due società (quanto ai "complessi aziendali unitari": così, in motivazione, il decreto del Tribunale di Bari – Sezione feriale in funzione di Tribunale per le Misura di Prevenzione, n. 310/02 in data 30 aprile 2003, divenuto definitivo).

Il citato provvedimento di autotutela, adottato dall’Agenzia del Demanio ai sensi dell’art. 823, comma 2, del Codice Civile in relazione ai beni immobili già di proprietà della sig.ra M. ed ai complessi aziendali delle due società, è stato dalla società utilizzatrice impugnato dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sede di Bari, che, con la sentenza indicata in epigrafe, lo ha respinto.

Con l’appello all’esame l’originaria ricorrente contesta "tale illegittima pronuncia", in quanto "gravemente lesiva dei propri diritti e interessi" e "fondata su una ricostruzione della fattispecie erronea sia in fatto sia in diritto", chiedendone pertanto la riforma sulla base di una puntuale riproposizione critica dei motivi di primo grado.

Si sono costituiti in giudizio, per resistere, il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia del Demanio, analiticamente controdeducendo, con successiva memoria, ai motivi d’appello.

Si sono pure costituiti, ad adiuvandum, i soggetti (società fornitrice e dipendenti dell’appellante) già intervenuti in primo grado, i quali, con successiva memoria, evidenziano le ragioni di illegittimità dell’atto oggetto del giudizio.

Con Ordinanza n. 6281/2009, pronunciata nella Camera di Consiglio del giorno 17 dicembre 2009, è stata accolta la domanda di sospensione dell’esecuzione della sentenza appellata.

Con motivi aggiunti notificati in data 5 gennaio 2010 l’appellante ha sollevato questione di legittimità costituzionale, con riferimento agli artt. 3, 24, 42 e 111 della Costituzione, dell’art. 823 cod. civ. e degli articoli 2 e seguenti della legge n. 375/1965.

Con memoria depositata in data 29 marzo 2010 l’appellante ha focalizzato l’attenzione su alcuni punti delle sue precedenti difese.

La trattazione della causa, già fissata e chiamata alla udienza pubblica del 9 aprile 2010, fu rinviata in quella sede su concorde richiesta delle parti.

La stessa è stata poi nuovamente fissata per l’udienza pubblica del 7 dicembre 2010, in vista della quale le parti hanno depositato memoria (l’Avvocatura Generale dello Stato) e memoria di replica con successive note di udienza (l’appellante), sviluppando ed argomentando ulteriormente le rispettive domande e difese.

Con atto notificato in data 4 dicembre 2010 e depositato in pari data l’appellante ha proposto motivi aggiunti avverso il provvedimento del Prefetto di Bari in data 21 dicembre 2009, sopravvenuto in corso di causa, con il quale è stata disposta la vendita dei complessi aziendali di cui si tratta.

All’udienza pubblica del 7 dicembre 2010 la causa è stata nuovamente chiamata ed alfine trattenuta in decisione.

2. – Va, preliminarmente, dichiarata l’inammissibilità delle "note d’udienza" dall’appellante depositate in data 29 novembre 2010, per violazione del termine perentorio, di cui all’art. 54 c.p.a. (applicabile a qualunque scritto difensivo, comunque denominato), cui è possibile derogare, da parte del Collegio, solo su richiesta di parte, nella fattispecie nemmeno intervenuta.

3. – La causa, come s’è detto, ha ad oggetto l’ordine di rilascio di immobili e complessi aziendali acquisiti per confisca al patrimonio pubblico ai sensi degli articoli 2ter e ss. della legge 31 maggio 1965, n. 575, recante disposizioni contro la mafia.

La disposizione è stata assunta in via autoritativa dall’Autorità amministrativa a tutela della destinazione pubblicistica del bene acquisito al patrimonio indisponibile dello Stato, ai sensi e per gli effetti dell’art. 823 c.c., ossia a mezzo della "procedura in via amministrativa" in autotutela, ivi prevista in facoltativa alternativa all’esperimento dei "mezzi ordinari a difesa della proprietà e del possesso regolati dal presente codice".

La prospettazione attorea muove in appello dalla contestazione della reiezione, operata dal Giudice di primo grado, del primo e del terzo motivo del ricorso originario, con i quali, rispettivamente, si facevano valere la perdurante validità ed efficacia del contratto d’affitto d’azienda (che consente alla ricorrente di utilizzare i beni oggetto dell’ordine di rilascio) e la natura di acquisto a titolo derivativo della confisca disposta ai sensi dell’art. 2ter della legge n. 575/1965, "con la conseguenza", secondo l’appellante, "che i terzi possono far valere i diritti che hanno sulla cosa anche dopo l’adozione del provvedimento di confisca".

Tali tesi non sono condivisibili.

Sebbene l’appello sul punto sia incentrato sulla insistita argomentazione secondo cui la confisca avrebbe riguardato esclusivamente beni singoli e non le aziende intese in senso unitario (e ciò per inferirne l’inapplicabilità alla fattispecie dell’art. 2558 c.c., relativo alla successione nei contratti da parte dell’acquirente dell’azienda, ritenuto nella fattispecie rilevante dal T.A.R., nonché per affermare il già indicato carattere derivativo del provvedimento di confisca, che non estinguerebbe pertanto i diritti dei terzi specificamente gravanti sui beni stessi), rileva il Collegio che, ferma la pacifica evidenza che l’intervenuta confisca riguarda anche i "complessi aziendali unitari" delle due società coinvolte nella vicenda (come ben si ricava dalla motivazione del citato decreto del Tribunale di Bari divenuto definitivo, non contraddetto sul punto dal successivo decreto dello stesso Tribunale in data 24 ottobre 2007, che, nel ribadire che oggetto della confisca è il complesso aziendale e "non già le quote di detta società", ha ordinato all’Amministratore giudiziario di "dismettere qualsiasi gestione della società", nel senso, ritiene il Collegio, di rimettere alla libera autonomia dei socii la gestione delle rispettive quote societarie e non certo nel senso assolutamente fuorviante e sostanzialmente elusivo dell’originario provvedimento di confisca, qui propugnato dall’appellante, di lasciare nella libera disponibilità della società la gestione dell’azienda e dunque dell’attività imprenditoriale, che di quella si avvale), la non opponibilità al Demanio del contratto d’affitto d’azienda invocato dall’appellante a sostegno della sua posizione deriva dal fatto che la gran parte dei beni confluiti nell’azienda oggetto del predetto contratto è costituita dagli immobili, tutti di proprietà della sig.ra M.M. (in danno della stessa specificamente fatti oggetto di confisca), ch’ella aveva dato in comodato alla S.P. & C. s.n.c. e che detta società ha poi ricompreso nell’azienda concessa in fitto all’odierna appellante, che, in mancanza dei beni immobili predetti, viene oggettivamente meno.

E’ chiaro, dunque, come dalla stessa ricorrente del resto prospettato, che il contratto d’affitto d’azienda segue, quanto ad opponibilità al soggetto che ha operato la confisca del complesso dei beni, le sorti del contratto di comodato, che, secondo le tesi d’appello, "il Demanio, ricorrendone i presupposti, avrebbe dovuto risolvere".

Ma siffatta, ultima, proposizione si rivela errata.

E’ pacifico, invero, che il contratto di comodato genera un rapporto di fiducia che non tollera successioni e conferisce un diritto di carattere soltanto personale (v. Cass., 5 luglio 1999, n. 15755 e Cass. Civ., sez. II, 13 dicembre 2001, n. 15755), donde la régola generale dell’inopponibilità del comodato ai terzi e, in particolare, al soggetto che si sia reso acquirente del bene in data successiva al contratto di comodato (come appunto accade nella fattispecie all’esame), atteso che le disposizioni dell’art. 1559 c.c. invocato dall’appellante, per il loro carattere eccezionale, non sono estensibili a rapporti diversi dalla locazione.

Tanto comporta che il contratto di comodato a suo tempo stipulato dall’originaria proprietaria degli immobili (poi confiscati) in favore di S.P. & C. s.n.c. ha perso ogni vigore nei confronti dell’acquirente Demanio e ciò a prescindere da ogni questione circa la natura derivativa od originaria del relativo acquisto, sulla quale dunque invano si sofferma l’appellante.

Da quanto appena considerato deriva che il contratto di affitto d’azienda stipulato tra la citata società comodataria e l’odierna appellante, comprendente nell’azienda proprio quei beni immobili, si ritrova privo di oggetto e causa e comunque si rivela inefficace nei confronti dell’Amministrazione, dal momento che la sottrazione dei beni immobili all’affitto d’azienda vale indubbiamente a privare il complesso della sua stessa attitudine a conseguire una qualità produttiva, essendo, com’è noto, l’azienda quel complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa, sì che, una volta che il contratto d’affitto d’azienda perda uno degli elementi costitutivi dell’azienda stessa (legati tra loro da un vincolo di interdipendenza e complementarietà per il conseguimento del fine produttivo), il contratto stesso deve ritenersi improduttivo di effetti, per lo meno, come s’è detto, nei confronti dell’acquirente dei beni immobili, sottratti all’azienda (e dunque all’affitto) nel caso di specie, come s’è visto, per l’inopponibilità ad esso del contratto di comodato dei beni stessi, che rappresenta il presupposto logicogiuridico, oltre che la fonte del diritto costituito dal locatore, del contratto d’affitto.

E’ evidente, pertanto, concludendo sul punto, che, non essendo sotto alcun profilo opponibile al nuovo proprietario dei beni il contratto di comodato in data 21 novembre 1996 intervenuto tra la sig.ra M.M. e la S.P. & C. s.nc., l’odierna appellante, che da quest’ultima società ha ricevuto in affitto l’azienda ricomprendente detti immobili, non può essere titolare di alcuna pretesa nei confronti del predetto nuovo proprietario (il Demanio), nè è – in qualche modo – legittimata a far valere nei riguardi di quest’ultimo diritti derivanti dal contratto di affitto di azienda avente ad oggetto un bene, i diritti sul quale il locatore (che ha acquisito la disponibilità del bene stesso in qualità di comodatario) non può vantare nei confronti del proprietario acquirente.

Né, per finire, soccorre l’appellante il richiamo alla giurisprudenza, secondo cui il provvedimento di confisca non estingue i diritti dei terzi gravanti sui beni, omettendo essa di precisare che la giurisprudenza stessa circoscrive la tutela dei diritti dei terzi alla proprietà ed ai diritti reali di godimento e di garanzia, che non vengono affatto qui in considerazione (Cass., Sez. un. pen., 18 maggio 1994 e 28 aprile 1999; Cass. Pen., sez. I, 9 marzo 2005, n. 13413).

Sotto altra prospettiva, per completezza, valga altresì rilevare che l’odierna appellante non si pone nemmeno propriamente come terzo rispetto al bene oggetto di confisca, dal momento che, una volta accertato, come correttamente rilevato dal T.A.R., "che proprio il complesso aziendale facente capo alla ricorrente… è rientrato a tutti gli effetti… nell’ambito della confisca", è la stessa attività imprenditoriale per l’esercizio della quale la società è costituita a risultare direttamente incisa dalla confisca, risultandone estranee soltanto, come del resto precisato dallo stesso Tribunale che ha irrogato la misura di prevenzione, "le quote" della società medesima.

Con il secondo motivo di appello, la sentenza impugnata viene censurata laddove ha respinto il secondo motivo dell’originario ricorso, con il quale si sosteneva che la P.A. non possa esercitare i poteri di cui all’art. 823 c.c. prima dell’adozione del provvedimento di destinazione finale del bene.

La doglianza si rivela inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse, alla luce del decreto prefettizio sopravvenuto in corso di causa (prot. n. 27688/09/12.B.1 del Prefetto della Provincia di Bari in data 21 dicembre 2009, che risulta fatto oggetto di impugnazione con il secondo atto di motivi aggiunti proposto nel presente secondo grado di giudizio, di cui si dirà più innanzi), di mantenimento dei beni di cui si tratta al patrimonio dello stato per essere destinati alla vendita.

Né un qualche interesse alla censura può ritenersi permanere in relazione agli effetti comunque prodotti dal provvedimento oggetto del giudizio nel periodo anteriore all’emanazione di detto decreto, dal momento che il primo non risulta comunque a tutt’oggi esser stato portato ad esecuzione.

La doglianza è peraltro infondata.

Invero, la speciale normativa della legge n. 575 del 1965 – più volte modificata in virtù del d.l. 14.6.1989, n. 230, convertito in l. 4.8.1989, n. 282, della l. 7.3.1996, n. 109 e della l. 22.12.1999, n. 512 – in materia di confisca quale misura di prevenzione patrimoniale, dopo avere disposto che "i beni confiscati sono devoluti allo Stato" (art. 2nonies), stabilisce, al comma 2undecies, che i beni immobili devoluti possono essere: "a) mantenuti al patrimonio dello Stato per finalità di giustizia, di ordine pubblico e di protezione civile, salvo che si debba procedere alla vendita degli stessi finalizzata al risarcimento delle vittime dei reati di tipo mafioso; b) trasferiti al patrimonio del comune ove l’immobile è sito, per finalità istituzionali o sociali. Il comune può amministrare direttamente il bene o assegnarlo in concessione a titolo gratuito a comunità, ad enti, ad organizzazioni di volontariato di cui alla legge 11 agosto 1991, n. 266, e successive modificazioni, a cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, o a comunità terapeutiche e centri di recupero e cura di tossicodipendenti di cui al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309. Se entro un anno dal trasferimento il comune non ha provveduto alla destinazione del bene, il prefetto nomina un commissario con poteri sostitutivi; c) trasferiti al patrimonio del comune ove l’immobile è sito, se confiscati per il reato di cui all’art. 74 del citato testo unico approvato con d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309. Il comune può amministrare direttamente il bene oppure, preferibilmente, assegnarlo in concessione, anche a titolo gratuito, secondo i criteri di cui all’art. 129 del medesimo testo unico, ad associazioni, comunità o enti per il recupero di tossicodipendenti operanti nel territorio ove è sito l’immobile".

Da tale peculiare disciplina emerge univocamente che gli immobili confiscati a norma della legislazione antimafia sono inalienabili, con l’unica eccezione della vendita finalizzata al risarcimento delle vittime dei reati di tipo mafioso ed acquisiscono, per effetto della confisca, una impronta rigidamente pubblicistica, che tipicizza la condizione giuridica e la destinazione dei beni, non potendo essere distolti da quella normativamente stabilita ("finalità di giustizia, di ordine pubblico e di protezione civile", ovvero "finalità istituzionali o sociali" in caso di trasferimento degli immobili nel patrimonio dei comuni).

Pertanto, va riconosciuto che, a seguito dell’insorgenza del vincolo di destinazione a finalità pubbliche (che rappresenta il nucleo dell’istituto della confisca ancor prima dell’adozione del provvedimento di individuazione della concreta destinazione prescelta dall’Amministrazione per il singolo bene di cui si tratta), il regime giuridico dei beni confiscati a norma della legge n. 575 del 1965 è assimilabile a quello dei beni demaniali od a quello dei beni compresi nel patrimonio indisponibile.

La conclusione trova inequivoca conferma nell’art. 2decies della stessa legge, laddove è specificato che la destinazione degli immobili a finalità di pubblico interesse è effettuata con provvedimento dell’Amministrazione demaniale (comma 1) e che "anche prima dell’emanazione del provvedimento del direttore centrale del demanio del Ministero delle finanze, per la tutela dei beni confiscati si applica il secondo comma dell’art. 823 del codice civile" (comma 3); ed il richiamo fatto dall’art. 2decies all’art. 823 c.c. è univocamente significativo del regime, al quale viene a trovarsi sottoposto l’immobile confiscato, dato che quest’ultima disposizione riguarda proprio la condizione giuridica dei beni compresi nel demanio pubblico e – secondo l’opinione unanime della dottrina e della giurisprudenza – di quelli appartenenti al patrimonio indisponibile dello Stato.

Con il terzo motivo di appello si contesta, infine, la sentenza impugnata, nei punti in cui ha dichiarato inammissibili per difetto di giurisdizione il quarto ed il quinto motivo del ricorso introduttivo, con i quali, rispettivamente, si lamentavano la violazione degli artt. 27 e 28 della legge n. 392 del 1978 relativamente alla parte del provvedimento gravato nella quale si dà formale disdetta a fini cautelativi della locazione in essere e la ricomprensione nell’ordine di rilascio di beni immobili non oggetto di confisca.

Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.

Inammissibile, nella parte in cui contesta la formale disdetta del contratto d’affitto d’azienda di cui è parte la ricorrente, come s’è sopra visto in ogni caso non valido e non efficace nei confronti del Demanio (il che conferma la natura puramente cautelativa, del resto espressamente risultante dall’atto, della disdetta intimata).

Infondato, laddove insiste apoditticamente (senza concrete critiche alla sentenza impugnata) sulla giurisdizione del Giudice amministrativo sul provvedimento amministrativo asseritamente attinente a beni non oggetto di precedente confisca, laddove, invece, è pacifico che, nel caso in cui la P.A. emetta ordinanza di rilascio di un immobile sul presupposto della sua appartenenza al demanio ed il privato occupante insorga avverso tale ordinanza al fine di sentir negare la demanialità del bene ed accertare il proprio pieno e libero diritto di proprietà, la relativa controversia spetta alla cognizione del giudice ordinario, in quanto non investe vizii dell’atto amministrativo, ma si esaurisce nell’indagine sulla titolarità della proprietà e, quindi, è rivolta alla tutela di posizioni di diritto soggettivo (Cass 17 giugno 1996 n. 5522).

In questa sede, infine, si rivela inammissibile la questione di legittimità costituzionale proposta con il primo atto di motivi aggiunti, sia perché sollevata per la prima volta in appello (Cons. St., VI, 22 maggio 2008, n. 2432), sia perché i motivi aggiunti, con cui si deducono per la prima volta in appello censure avverso gli atti impugnati (ivi comprese, è da ritenersi, quelle con cui si eccepiscono questioni di legittimità costituzionale), sono ammissibili laddove – come nella specie con tutta evidenza non è avuto riguardo al contenuto del motivo stesso – sia dimostrata l’impossibilità della loro presentazione in primo grado, giustificandosi gli stessi solo a seguito di produzioni documentali eseguite in appello (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 7 agosto 2008, nr. 3899; v. anche, da ultimo, Cons. St., IV, 3 marzo 2009, n. 1219 e l’art. 104, comma 3, c.p.a.).

La questione (con la quale, con riferimento agli artt. 3, 24, 42 e 111 della Costituzione, si contesta la legittimità costituzionale dell’art. 823 cod. civ. e degli articoli 2 e seguenti della legge n. 375/1965, "nella parte in cui permettono all’amministrazione di procedere allo sfratto in base ad un provvedimento di confisca anche nei confronti di soggetto incensurato"), così come proposta, è peraltro priva di rilevanza nel presente giudizio, in quanto riferita in via principale a norme (gli artt. 2 e ss. della legge n. 575/1965), di cui questo Giudice non deve fare applicazione in questo giudizio ed in via soltanto derivata all’art. 823 cod. civ., che non opera alcun riferimento alle modalità, di cui qui in sostanza si contesta la costituzionalità, d’acquisto del bene pubblico oggetto del provvedimento di autotutela.

Quanto, infine, al secondo atto di motivi aggiunti (rivolti avverso il provvedimento del Prefetto di Bari in data 21 dicembre 2009, sopravvenuto in corso di causa, con il quale è stata disposta la vendita dei complessi aziendali di cui si tratta), si può prescindere dalla questione della sussistenza o meno di una lesione al principio del contraddittorio in presenza di una loro proposizione a soli due giorni liberi prima dell’udienza fissata per la trattazione della causa (questione peraltro superata dall’espressa rinuncia ai termini espressa da controparte in sede di trattazione orale della causa), gli stessi vanno dichiarati inammissibili.

Invero, come questo Consiglio ha già rilevato, la previsione (recata prima dall’art. 21 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 e poi dall’art. 43 c.p.a.) della proponibilità di motivi aggiunti anche per l’impugnazione di nuovi provvedimenti emessi in corso di giudizio connessi con l’oggetto del ricorso e concernenti le stesse parti, deve essere interpretata nel senso di riferirsi al solo giudizio di primo grado, atteso che una diversa interpretazione finirebbe per ammettere l’impugnazione "per saltum", con ampliamento dell’oggetto del giudizio, in violazione delle regole, che governano il processo nel grado di appello (Cons. Stato, V, n. 1330/2007 e, da ultimo, Cons. St., VI, 28 luglio 2010, n. 5029) e col porsi in contrasto con il disposto dell’art. 104, comma 3, c.p.a., che ammette la proponibilità, in tassative ipotesi, di motivi aggiunti in appello esclusivamente ai fini della deduzione di "vizi degli atti o provvedimenti amministrativi impugnati" e che dunque costituiscano oggetto del giudizio sin dal primo grado.

4. – L’appello, in definitiva, è in parte da respingere ed in parte da dichiarare inammissibile.

Spese ed onorarii del presente grado di giudizio, liquidati nella misura indicata in dispositivo, séguono, come di régola, la soccombenza.
P.Q.M.

il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, in parte lo respinge ed in parte lo dichiara inammissibile e, per l’effetto, conferma, nei sensi di cui in motivazione, la sentenza impugnata.

Condanna in solido l’appellante e gli intervenienti ad adiuvandum alla rifusione delle spese del grado in favore delle Amministrazioni appellate, liquidandole in complessivi Euro 10.000,00=.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Cessano gli effetti dell’ Ordinanza n. 6281/2009, pronunciata nella Camera di Consiglio del giorno 17 dicembre 2009, di accoglimento della domanda di sospensione dell’esecuzione della sentenza appellata.

Così deciso in Roma, addì 7 dicembre 2010, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quarta – riunito in Camera di consiglio con l’intervento dei seguenti Magistrati:

Gaetano Trotta, Presidente

Anna Leoni, Consigliere

Salvatore Cacace, Consigliere, Estensore

Sergio De Felice, Consigliere

Raffaele Greco, Consigliere

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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