Cons. Stato Sez. IV, Sent., 14-01-2011, n. 183

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sede di Napoli, ha accolto il ricorso proposto dall’odierno appellato/appellante incidentale:
1) PER L’ANNULLAMENTO:
– della concessione edilizia n. 21/2003 rilasciata in data 17.11.2003 alla controinteressata per ampliamento di un fabbricato esistente alla via Ugo Foscolo in Comune di Tufino, conosciuta il 19.5.2004;
– di ogni altro atto preordinato, connesso e consequenziale ed in particolare del parere USL del 28.4.1999 e dei pareri della C.E. 3.2.2000 verbale n. 3 e 23.2.2000 verbale n. 6;
– dell’art. 14 delle NN.TT.A. allegate al vigente P.R.G. del Comune di Tufino;
2) e, per quanto utile e necessario, in OPPOSIZIONE DI TERZO, per la dichiarazione di inefficacia, inopponibilità ed annullamento della sentenza inter alios acta del TAR Campania n. 4838/2002, di accoglimento del ricorso R.G. n. 4084/2000 promosso dalla controinteressata contro il Comune di Tufino avverso il diniego di concessione edilizia relativo all’ampliamento di un immobile per uso commerciale.
La sentenza è stata gravata in via principale dall’originaria controinteressata, che contrasta le argomentazioni del giudice di primo grado.
Il Comune di Tufino non si è costituito in giudizio.
Si è invece costituito, per resistere al gravame, il ricorrente in primo grado, che ripropone altresì tutti i motivi implicitamente dichiarati assorbiti dal Giudice di prime cure, esperendo inoltre appello incidentale avverso le statuizioni della stessa sentenza reiettive di alcuni dei motivi proposti con il ricorso introduttivo.
La causa è stata chiamata e trattenuta in decisione alla udienza pubblica del 7 dicembre 2010.

Motivi della decisione

1. – L’appello principale è infondato.
2. – Quanto, anzitutto, alle eccezioni in rito disattese dal Giudice di primo grado e riproposte con l’atto di appello, esse si appalesano tutte infondate.
Ed invero:
1) ad avviso di un consolidato e condivisibile orientamento giurisprudenziale la legittimazione a ricorrere avverso i provvedimenti in materia urbanistica ed edilizia richiede una situazione di stabile collegamento con la zona interessata dall’attività pianificatoria o costruttiva, che evidenzii una specifica lesione di posizioni giuridiche soggettive differenziate atta a distinguere la sfera del ricorrente rispetto alla collettività indistinta (cfr., ex multis, Cons Stato, sez. V, 19 settembre 2008, n. 4528 e 2 marzo 2010, n. 1189).
Quanto in particolare alla materia edilizia, è pacifico che la possibilità riconosciuta a "chiunque" di ricorrere avverso le concessioni edilizie, anche in sanatoria, ex art. 31, comma 9, della legge 17 agosto 1942 n. 1150, come modificato dall’art. 10 della legge 6 agosto 1967, n. 765, non configura un nuovo tipo di azione popolare, ma va intesa nel senso di consentire l’impugnativa solo a chi si trovi in una situazione di stabile collegamento con la zona (residenza, possesso o detenzione di immobili, od altro titolo di collegamento con l’ambito territoriale interessato).
Applicando tali coordinate ermeneutiche al caso di specie, merita condivisione l’assunto del Primo Giudice in ordine alla sussistenza, in capo all’odierno appellato, di una posizione differenziata, che fonda la sua legittimazione ad impugnare la concessione ad aedificandum rilasciata alla controinteressata. Non è infatti contestato il possesso, da parte dell’originario ricorrente, di un titolo di collegamento (titolo di proprietà di un edificio limitrofo) con le aree interessate alla esecuzione dei lavori assentiti con la concessione stessa; d’altra parte, la proposizione dell’iniziativa giudiziaria di tipo oppositivo de qua è accompagnata, a differenza di quanto ritenuto dall’appellante principale, dalla prospettazione di un pregiudizio diretto ed immediato alla sua sfera giuridica (sulla cui sussistenza effettiva nulla la stessa ha in concreto obiettato) per effetto dell’adozione dell’atto gravato (v. la incisione, dedotta col ricorso originario, per effetto dei lavori assentiti, sul godimento dell’immobile di proprietà del ricorrente, suffragata coerentemente dalle osservazioni, di cui alla perizia stragiudiziale allegata al gravame introduttivo). Né il veduto, pacifico, orientamento giurisprudenziale (secondo cui, come s’è detto, la legittimazione ad impugnare una concessione edilizia deve essere riconosciuta al proprietario di un immobile sito nella zona interessata alla costruzione, o comunque a chi si trovi in una situazione di stabile collegamento con la zona stessa, senza che sia necessario dimostrare la sussistenza di un ulteriore interesse qualificato alla tutela giurisdizionale) può ritenersi suscettibile di revisione sol per effetto dell’intervenuta abrogazione del citato art. 31 ad opera dell’art. 136 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e della mancata riproduzione delle disposizioni del relativo comma 9 negli articoli 8, 12 e 15 dello stesso D.P.R., atteso che la sussistenza in capo al ricorrente in primo grado dell’interesse e della legittimazione a ricorrere, individuabili in forza del criterio della vicinitas appena sopra precisato, trova adeguato fondamento nel principio fondamentale, accolto nel nostro ordinamento, secondo cui la possibilità di agire in giudizio è riconosciuta (e consentita) a colui che vanti un interesse personale qualificato in quanto titolare di una situazione giuridica, appunto, qualificata, di interesse cioè differenziato rispetto agli altri soggetti (che, per quanto riguarda specificamente la posizione di terzi rispetto al rilascio di titoli ad aedificandum, la giurisprudenza ha individuato facendo riferimento al rapporto con l’erigendo immobile in relazione alla ubicazione di questo), sì che, come correttamente qui dedotto dall’appellato, "l’abrogazione della citata norma non implica un sostanziale mutamento nella identificazione dei soggetti legittimati né l’eliminazione della stessa legittimazione";
2) siffatta posizione qualificata costituisce poi titolo idoneo a sorreggere il ricorso di primo grado anche quanto al rimedio della opposizione di terzo con lo stesso esperita avverso la precedente sentenza dello stesso T.A.R. 11 settembre 2002, n. 4838, di accoglimento del ricorso R.G. n. 4084/2000 promosso dalla controinteressata contro il Comune di Tufino avverso il diniego di concessione edilizia relativo all’ampliamento di un immobile per uso commerciale. Invero va condivisa in proposito l’affermazione, recata dalla sentenza impugnata, secondo cui "atteso che l’opponente non si atteggia come un quivis de populo rispetto alla concessione edilizia… per gli stessi motivi… che radicano il suo interesse alla impugnativa della concessione edilizia, riveste sul piano processuale la posizione di legittimato alla proposizione della opposizione di terzo ordinaria". Se, infatti, la legittimazione a proporre l’opposizione di terzo nei confronti di una sentenza del giudice amministrativo resa tra altri soggetti va riconosciuta, tra gli altri, ai terzi titolari di una situazione giuridica autonoma ed incompatibile rispetto a quella riferibile alla parte risultata vittoriosa per effetto della sentenza oggetto di opposizione (Cons. Stato, Sez. V, 29 dicembre 2009, n. 8944; Cons. St., VI, 15 luglio 2010, n. 4578), queste condizioni si riscontrano nel caso in esame, poiché: la sentenza opposta ha statuito l’illegittimità del precedente diniego pronunciato dal Comune in ordine al rilascio di concessione edilizia per gli stessi lavori di cui qui si tratta; essa, pur non avendo (come correttamente dedotto sul punto dall’appellante principale) affermato il suo diritto ad ottenere la richiesta concessione, ha tuttavia individuato (come del resto la stessa appellante principale riconosce) "le modalità attraverso cui l’intervento sarebbe ammissibile dalle norme urbanistiche" (pag. 11 app.), o, come meglio precisato dal T.A.R. nella sentenza impugnata, "la possibilità di rilascio di un titolo edilizio che indiscutibilmente alterava, per ampiezza di volumi e superfici consentite, il rapporto preesistente tra costruzioni limitrofe,", al cui mantenimento, aggiunge il Collegio, l’opponente aveva (ed ha), in virtù della situazione di stabile collegamento di cui s’è detto, un qualificato interesse; sotto questo profilo, la concessione edilizia successivamente rilasciata (oggetto del petitum di annullamento formulato con lo stesso ricorso e che, come s’è visto, il ricorrente era sicuramente legittimato ad impugnare) rappresenta l’atto conclusivo del procedimento posto in essere dal Comune in esecuzione della sentenza opposta, trattandosi di rinnovazione del procedimento attivato a suo tempo dall’interessato con la richiesta di concessione, con l’eliminazione dei vizii in precedenza ravvisati; pertanto è riconoscibile in capo all’opponente la titolarità di un diritto autonomo, la cui tutela è incompatibile con la situazione giuridica risultante dalla sentenza n. 4838/2002 pronunciata dal T.A.R. tra altre parti e che funge dunque da presupposto della sua legittimazione ad impugnare la sentenza stessa con lo strumento dell’opposizione di terzo, di cui al primo comma dell’art. 404 c.p.c.;
3) né la contestuale proposizione, col ricorso di primo grado, di tale azione unitamente a quella di annullamento della concessione edilizia poi rilasciata dal Comune all’ésito di detta rinnovazione può ritenersi, come pretende l’appellante principale, inammissibile, giacché devono ritenersi giuridicamente e logicamente cumulabili le domande, che, come appunto accade nel caso di specie, presentano identità di oggetto e di contenuto e sono vòlte alla tutela dello stesso interesse (il principio, già immanente nell’ordinamento, è stato poi tradotto in norma positiva dall’art. 32 c.p.a.). Si evita così, peraltro, un possibile contrasto sia di giudicati che di accertamenti;
4) nella fattispecie, infine, a differenza di quanto dedotto dall’appellante principale, il ricorso di primo grado non risulta tardivo. Lo stesso, infatti, è stato ritualmente proposto nel términe di sessanta giorni previsto dall’art. 21, comma 1, della legge n. 1034/1971, decorrente dalla piena conoscenza dell’atto impugnato, che l’interessato afferma di aver acquisito a séguito dell’accesso agli atti conseguito in data 19 maggio 2004. Invero, come evidenziato da tempo da questo Consiglio (v. sez. V, 17 gennaio 1994, n. 29), la prova della piena conoscenza di una concessione edilizia assentita a terzi incombe sulla parte, che eccepisca la tardività dell’impugnazione. A tal fine, in caso di mancanza di univoci elementi probatòrii che depongano per una conoscenza acquisita in un preciso, diverso, momento storico, il términe per ricorrere decorre dall’ultimazione dei lavori. Nel caso di specie l’appellante principale, nell’eccepire la tardività dell’impugnativa, non ha fornito prova alcuna in ordine alla piena conoscenza della gravata concessione edilizia n. 21/2003 assentita alla confinante, da parte dell’originario ricorrente, in un momento storico tale da poter fare considerare tardivo, alla stregua del citato art. 21, il ricorso introduttivo. In particolare, non viene affatto provato che l’odierno appellato abbia avuto conoscenza della comunicazione di inizio dei lavori di cui alla concessione (anche a voler ammettere che la stessa potesse valere a rivelare in modo certo ed inequivoco le essenziali caratteristiche dell’opera) in data anteriore a quella del 19 maggio 2004, né che i lavori fossero, anteriormente a detta data, ad uno stato di avanzamento tale da consentire all’originario ricorrente di percepire la eventuale non conformità del titolo autorizzatòrio alla disciplina urbanistica di settore, sicché, in mancanza di in equivoci elementi probatòrii, il términe non può che decorrere dalla predetta data del 19 maggio 2004. Nemmeno, poi, può diversamente arguirsi dalla affermata (dall’appellante principale) rituale esposizione del cartello di cantiere (il quale recava l’oggetto della concessione "ampliamento dell’esistente"), giacché, in disparte ancora una volta la questione dell’idoneità di siffatta indicazione a rendere il controinteressato edotto della lesività della concessione e del suo contrasto con le norme urbanistiche sotto i profili poi dedotti in giudizio, non v’è alcuna prova in atti che il cartello stesso sia stato effettivamente apposto in loco in data anteriore al 19 maggio 2004. In conclusione sul punto, non essendo stata rigorosamente provata con elementi oggettivi dall’appellante principale una data di conoscenza del provvedimento impugnato diversa da quella ragionevolmente esposta dal controinteressato, l’eccezione di tardività del ricorso di primo grado riproposta con l’appello principale va respinta, in quanto, si ripete, non v’è prova certa (non potendo sul punto farsi ricorso a mere presunzioni) che il ricorrente originario abbia avuto la "piena conoscenza" dell’atto impugnato prima della data da lui indicata (19 maggio 2004).
3. – Si può passare ora all’esame del mérito dell’appello principale, che attiene in sostanza alla individuazione della disciplina urbanistica applicabile all’area sulla quale ricade l’intervento in questione ed alla successiva verifica della conformità o meno del titolo edilizio, della cui legittimità qui si discute, alla disciplina medesima, che la sentenza impugnata ha compiuto con ésito negativo.
Parte appellante sostiene che "l’intervento insiste in zona A cui si applica l’art. 14 delle NTA che al comma 2 consente inequivocabilmente il completamento e l’ampliamento verticale ed orizzontale" (pag. 8 mem.), per l’appunto assentiti con la contestata concessione edilizia.
La ricorrente afferma, ancora, che "nel concetto di completamento ed ampliamento rientrano gli interventi oggetto dell’atto concessorio annullato" (pag. 15 app.).
Il Collegio non condivide le osservazioni dell’appellante principale.
Sul punto va premesso ch’è incontestato tra le parti che l’area di intervento interessata dalla contestata concessione ricade nella Zona di interesse storico ambientale (A), per la quale l’art. 14, commi da 2 a 4, delle norme tecniche di attuazione del vigente P.R.G. del Comune di Tufino dispongono che, fino all’adozione dei piani di recupero di cui alla legge 457/1978, si applicano le prescrizioni del piano di recupero redatto ai sensi dell’articolo 28 legge 219/81; e ad integrazione di dette prescrizioni, il comma 3 precisa che sono consentiti il completamento e l’ampliamento verticale e orizzontale delle unità immobiliare esistenti, a condizione dell’allineamento dei fronti stradali agli elementi parietali esistenti e comunque che il numero massimo dei piani non sia superiore a tre (piano terra più due in elevazione).
Il comma quarto consente altresì la realizzazione di opere di risanamento conservativo e manutenzione ordinaria e straordinaria.
L’immobile oggetto dell’intervento in questione, dunque, pur altrettanto incontestatamente non incluso nella perimetrazione del Piano di Recupero di cui il Comune è dotato ex art. 28 legge 219/1981, è soggetto, a differenza di quanto sul punto ritiene l’appellante principale, alle disposizioni del Piano di Recupero stesso (che il P.R.G. ha recepito, elevandole al rango della normativa tecnicoattuativa del P.R.G. medesimo, nel contempo estendendone l’àmbito di applicazione anche alle aree ricadenti nella zona "A" non incluse nella perimetrazione del P.d.R.), oltre che alla disciplina integrativa recata dal richiamato art. 14, comma 3.
3.1 – Ciò posto, la lettura coordinata delle norme del P.d.R. (cui fa rinvio il comma 2 dell’art. 14 cit. per tutta la zona "A") con la disposizione di cui al comma 3 dello stesso art. 14 (al quale l’intervento edilizio di cui si tratta sembrerebbe ad una prima analisi conforme, dal momento ch’esso riguarda l’ampliamento di un fabbricato già esistente nei limiti consentiti dalla norma dei tre piani fuori terra) consente di dare una interpretazione della disposizione di cui al terzo comma, con la quale invece l’intervento in questione si pone in evidente contrasto.
Valga invero notare che il P.R.G., nel sussumere al rango di normativa tecnicoattuativa del Piano stesso, per la zona di cui si tratta, le prescrizioni dettate dal P.d.R. ex art. 28 legge n. 219/1981, ha inteso con tutta evidenza rendere applicabile per la zona stessa (che non a caso la rubrica dell’art. 14 denomina "zona di interesse storicoambientale") la ratio di conservazione e di recupero propria di siffatta tipologia di piani attuativi, come agevolmente desumibile dalla lett. c) del comma 2 dell’art. 28 cit. (laddove si demanda ai piani stessi la disciplina della "ricostruzione in sito degli edifici demoliti e da demolire", della "ristrutturazione di quelli gravemente danneggiati" e della "sistemazione delle aree di sedime di edifici demoliti o da demolire che non possono essere ricostruiti in sito") e dalle stesse disposizioni del P.d.R. di cui in concreto qui si tratta (v. art. 5, ove si parla di "interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente"; art. 6, punto 1), ove si dettano le modalità di redazione dei "progetti di recupero, riparazione, ricostruzione o adeguamento antisismico"; art. 8, ove "gli interventi del Piano di Recupero" sono limitati alle tipologie della manutenzione ordinaria, manutenzione straordinaria, risanamento conservativo, ristrutturazione edlizia, restauro; art. 8, punto 4), relativo agli intereventi di ristrutturazione, che vengono ivi intesi come "opere… volte esclusivamente al ripristino di valori originari", da realizzarsi mediante una serie di interventi ammissibili di seguito espressamente elencati).
Tanto premesso, la disposizione di cui al veduto comma 3 dell’art. 14 va letta alla luce del regime di salvaguardia voluto dal pianificatore generale per la zona "A" e della ratio di tutela dell’esistente, che ad esso presiede.
Fra le varie possibili interpretazioni del citato comma 3 va dunque preferita una esegesi adeguata al quadro normativo complessivo, nel quale esso si colloca.
Esso, invero, ad integrazione (e non, si badi, in déroga) alla sussunta normativa di P.d.R., ammette interventi di "completamento ed ampliamento verticale ed orizzontale delle unità immobiliari esistenti", che non possono considerarsi consentiti, come pretenderebbe l’appellante principale e come in concreto ritenuto dal Comune in sede di rilascio della contestata concessione edilizia, senz’alcun limite di superficie e di volume (invero non previsti espressamente dalla disposizione stessa), ma che piuttosto, ritiene il Collegio, vanno ad aggiungersi (in quanto compatibili, nel quadro delle diverse tipologie di interventi edilizii come s’è visto consentiti dal P.d.R., con la sola ristrutturazione edlizia, che non viene di per sé in astratto snaturata, secondo la giurisprudenza, dalla circostanza che da essa possa derivare un ampliamento od un completamento dell’edificio) alla elencazione tassativa, recata dal veduto art. 8, punto 4), delle opere ricomprese nel concetto di "ristrutturazione" realizzabili nelle aree ad esso assoggettate; opere, tutte, che soggiacciono poi alla prescrizione finale, dettata allo stesso punto 4) e coerente con le vedute finalità e con l’impostazione del P.d.R., secondo cui "la sostituzione di parti o di tutta l’unità minima di intervento deve avvenire in misura tale che le superfici utili non siano superiori a quelle preesistenti ed i volumi contenuti nella sagoma altimetrica e nell’impianto planimetrico preesistente".
In proposito va notato che la riconducibilità alla tipologia della ristrutturazione edilizia delle opere ammesse nella zona de qua dal terzo comma dell’art. 14 anzidetto deriva dalla stessa nozione di ristrutturazione edilizia, intendendosi per tale, nel quadro normativo applicabile nella fattispecie, "gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare a un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente…", inclusa anche la integrale demolizione e ricostruzione del fabbricato purché senza modifiche di volumetria, area di sedime e sagoma, sì che agli interventi stessi deve ritenersi sicuramente applicabile il limite, di cui al veduto ultimo comma del punto 4) dell’art. 8 del P.d.R., che il progetto edilizio in questione palesemente non rispetta, atteso che con esso la superficie ed il volume dell’esistente vengono rispettivamente più che triplicati e quadruplicati rispetto alla situazione del fabbricato esistente come risultante dal relativo, precedente, titolo abilitativo in sanatoria.
Né rileva, ai fini del presente giudizio, stabilire se, per effetto del combinato disposto dei commi 3 e 4 del più volte citato art. 14, siano altresì assentibili nella zona stessa gli altri interventi di ristrutturazione contemplati dal citato punto 4), atteso che gli stessi esulano dalla fattispecie ulteriore di interventi ammissibili prevista dal veduto comma 3 dell’art. 14 (alla quale è ristretta la presente controversia), sicuramente consentiti, ma con i veduti limiti, cui l’intervento in argomento, pur riconducibile a detta categoria, non risponde.
4. – In conclusione, l’intervento stesso risulta assentito in virtù di una interpretazione dell’art. 14, comma 3, cit., posta a base della concessione edilizia oggetto del presente giudizio ed ancor prima fatta propria dalla sentenza opposta, errata, sì che l’appello principale va respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata, che ha accolto l’opposizione di terzo proposta avverso la sentenza dello stesso T.A.R. n. 4838/2002 ed il ricorso per l’annullamento della concessione edilizia n. 21/2003 rilasciata dal Comune di Tufino.
La reiezione dell’appello principale comporta l’improcedibilità per carenza di interesse dell’appello incidentale proprio proposto dall’appellato originario ricorrente.
5. – La complessità delle questioni trattate e l’obiettiva incertezza del quadro normativo di riferimento inducono il Collegio a compensare integralmente tra le parti le spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe:
– respinge l’appello principale;
– dichiara improcedibile per carenza di interesse l’appello incidentale;
– per l’effetto conferma, nei sensi di cui in motivazione, la sentenza impugnata.
Spese del grado compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, addì 7 dicembre 2010, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quarta – riunito in Camera di consiglio con l’intervento dei seguenti Magistrati:
Gaetano Trotta, Presidente
Anna Leoni, Consigliere
Salvatore Cacace, Consigliere, Estensore
Sergio De Felice, Consigliere
Raffaele Greco, Consigliere

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *