Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 27-10-2011) 14-12-2011, n. 46330 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte d’appello di Napoli,con sentenza del 12 ottobre del 2009, confermava quella pronunciata il 13 dicembre del 2007 dal tribunale di Avellino, con cui C.D. era stato condannato alla pena ritenuta di giustizia,quale responsabile del delitto di cui all’art. 81 c.p., L. n. 74 del 2000, art. 2, per avere, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso,avvalendosi di fatture per operazioni inesistenti, emesse negli anni 2000 e 2001,analiticamente indicate nel capo d’imputazione,indicato nelle dichiarazioni dei redditi, presentate per le annualità anzidette, elementi passivi fittizi.

Fatti commessi nel (OMISSIS) accertati il (OMISSIS).

Ricorre per cassazione l’imputato per mezzo del proprio difensore deducendo:

1) mancanza e illogicità della motivazione sull’affermazione di responsabilità essendosi la Corte limitata a richiamare la sentenza di primo grado; assume che la prova è estremamente lacunosa anche per la mancata acquisizione delle fatture contestate;

2) la violazione della norma incriminatrice perchè, per la mancata acquisizione delle fatture, sarebbe carente la prova dell’inesistenza delle operazioni; e quindi della configurabilità del reato contestato; tutt’al più potrebbe essere configurabile l’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 3;

3) omessa motivazione sulla richiesta di concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile per la manifesta infondatezza dei motivi I primi due motivi,essendo strettamente connessi, vanno esaminati congiuntamente. Essi sono manifestamente in fondati. Premesso che il giudice dell’impugnazione non è tenuto a riesaminare una questione già respinta dal giudice di primo grado e riproposta con l’impugnazione senza l’indicazione dei vizi del ragionamento del giudice censurato, si rileva che la corte ha comunque ribadito le ragioni per le quali le fatture si dovevano considerare emesse per operazioni inesistenti. In proposito ha sottolineato che la società "Quadrifoglio s.r.l." come accertato dalla Guardia di Finanza, non era operativa e non aveva i mezzi per fornire la merce indicata nelle fatture. D’altra parte il prevenuto non ha prodotto i documenti di trasporto relativi alla merce indicata nelle cinque fatture rinvenute nella sua azienda o indicato le caratteristiche dei mezzi che avevano effettuato il trasporto.

Non è configurabile nella fattispecie il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 3, in luogo di quello contestato giacchè l’ipotesi criminosa di cui all’art. 3, per l’esplicita previsione di una clausola di riserva, trova applicazione quando non è configurabile la dichiarazione fraudolenta di cui all’art. 2, e si differenzia da tale ipotesi per il riferimento all’uso di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento attraverso una falsa rappresentazione contabile,la quale falsa rappresentazione deve essere attuata con strumenti diversi dalla produzione di fatture per operazioni inesistenti.

L’eventuale mancata allegazione agli atti del fascicolo del dibattimento delle fatture contestate non rende lacunosa la prova in quanto esse sono state analiticamente indicate, non solo nel capo d’imputazione, ma persino nella sentenza di primo grado.

Manifestamente infondato è anche il terzo motivo perchè le circostanze attenuanti generiche sono state negate con riferimento all’importo delle cinque fatture,delle quali tre erano state emesse per importi superiori a lire dodicimilioni, mentre le altre due erano state emesse rispettivamente per gli importi di L. 6.375.000 e 3375.000.

Dall’inammissibilità del ricorso discende l’obbligo di pagare le spese processuali e di versare una somma, che stimasi equo determinare in Euro 1000,00, in favore della Cassa delle Ammende, non sussistendo alcuna ipotesi di carenza di colpa del ricorrente nella determinazione della causa d’inammissibilità secondo l’orientamento espresso dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 186 del 2000.
P.Q.M.

LA CORTE Letto l’art. 616 c.p.p., dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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