Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 27-10-2011) 14-12-2011, n. 46326 Imposta valore aggiunto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte d’appello di Brescia, con sentenza del 10 maggio del 2010,in parziale riforma di quella pronunciata il 7 marzo del 2007 dal giudice dell’udienza preliminare presso il tribunale della medesima città, appellata da G.I., Q.G. e R. G., assolveva il R. dai reati a lui ascritti per non avere commesso il fatto ed, esclusa l’aggravante di cui all’art. 112 c.p., comma 1, riduceva ad anni due e mesi quattro di reclusione la pena inflitta a G. e ad anni due e mesi due di reclusione quella irrogata al Q..
I predetti erano stati ritenuti responsabili dei seguenti reati:
a) del delitto di cui all’art. 110 c.p. e D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, per avere, in concorso tra loro e con altri correi giudicati separatamente, il G. quale amministratore della "XXX" ed il Q., quale commercialista ed amministratore di fatto della suddetta società,esposto nella dichiarazione dei redditi relativa al 2003 elementi passivi fittizi avvalendosi delle fatture, analiticamente indicate nel capo d’imputazione, emesse per operazioni inesistenti. Fatto commesso nel mese di (OMISSIS);
b) del delitto di cui agli art. 110 c.p. e D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8, per avere, nella qualità anzidetta,al fine di consentire ad altri l’evasione delle imposte, emesso le fatture indicate nel capo d’imputazione per operazioni inesistenti. Fatti commessi nel (OMISSIS).
La prova si fondava su alcune intercettazioni telefoniche anche se captate in epoca successiva alla perpetrazione dei fatti. Da tali intercettazioni , secondo i giudici del merito, si desumeva non solo la responsabilità del G., quale amministratore di diritto, ma anche la compartecipazione del Q., come consulente ed amministratore di fatto.
Ricorre per cassazione il difensore del solo Q. deducendo insufficienza,contraddittorietà ed illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta compartecipazione del proprio assistito, giacchè non si era dimostrata nè la qualità di consulente del Q. nè tanto meno quella di amministratore di fatto. Si sostiene nel ricorso che il Q. si sarebbe limitato a predisporre la domanda di condono e quindi sarebbe intervenuto in epoca successiva alla perpetrazione dei reati e che la Corte avrebbe del tutto ignorato il contenuto della telefonata n 1239 del 16 aprile del 2004, intercorsa tra il G. e R.G.. Da tale telefonata, secondo il difensore, si sarebbe dovuto desumere che il Q. non era consulente o amministratore di fatto della società rappresentata dal G..
Il 24 ottobre del corrente anno il difensore ha chiesto il rinvio del procedimento a carico del proprio assistito per il concomitante impegno in difesa di B.O. davanti al giudice dell’udienza preliminare presso il tribunale di Mantova.
Il procuratore generale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Motivi della decisione

Preliminarmente va respinta l’istanza di rinvio del processo avanzata dal difensore per un concomitante impegno professionale per due ragioni. In primo luogo per la mancata segnalazione dell’impossibilità di nominare un sostituto in questo processo.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte (Cass. n 25754 del 2008; n 43062 del 2007; n 174 del 2006; n 48530 del 2003), in tema di impedimento del difensore a comparire per concomitante impegno professionale, costituisce preciso onere del difensore medesimo motivare in ordine all’impossibilità di nominare un sostituto. In secondo luogo perchè la concomitanza poteva essere evitata. Invero dalla stessa documentazione allegata all’istanza di rinvio emerge che il procedimento a carico di B.O. era stato già trattato davanti al giudice dell’udienza preliminare presso il tribunale di Mantova il 4 ottobre del corrente anno. Nel corso di tale udienza erano stati sentiti i periti. All’esito dell’esame dei periti, il giudice ha rinviato il processo per la discussione al 27 ottobre successivo. Orbene dal verbale allegato all’istanza di rinvio dallo stesso difensore non risulta che questi abbia fatto presente a quel giudice di essere già impegnato in altro procedimento per il giorno 27, benchè allora avesse già ricevuto la notificazione a comparire per quello stesso giorno davanti a questa Corte quale difensore del Q.. Per evitare il concomitante impegno il difensore avrebbe quindi potuto chiedere in quel processo che la discussione fosse fissata in un giorno diverso. Siffatta richiesta dalla documentazione prodotta non risulta avanzata.
Ciò premesso, il ricorso è inammissibile perchè sotto l’apparente deduzione di un vizio di legittimità, in realtà si censura l’apprezzamento delle prove da parte dei giudici del merito, le cui motivazioni non presentano alcun errore giuridico o incoerenza.
In proposito la Corte ha precisato che la prova non emergeva solo da due intercettazioni telefoniche, ma da un compendio di telefonate indicate nelle parte narrativa della decisione impugnata e non specificamente contestate dal ricorrente. Da tali telefonate, secondo i giudici del merito, emergeva il coinvolgimento del prevenuto nella vicenda anche se le telefonate sono state intercettate in un momento successivo alla commissione degli illeciti. Inoltre la compartecipazione del Q. è stata desunta in maniera inequivocabile dal fatto che si era occupato anche della redazione del bilancio dove erano stati esposti i dati falsi, come sottolineato dal tribunale. Di conseguenza era ben consapevole dell’inesistenza delle operazioni indicate nelle fatture.
Non è vero che i giudici del merito hanno ignorato la telefonata n 1239 del 2004 richiamata nel ricorso. Anzi dal contenuto di tale conversazione hanno tratto ulteriore elemento a sostegno della compartecipazione del ricorrente. In proposito hanno sottolineato che, proprio dalla sorpresa palesata dai due interlocutori di fronte alla richiesta del Q. di essere pagato per la predisposizione della domanda di condono, si desumeva l’adesione del commercialista al programma criminoso. Invero, secondo i giudici del merito, se il Q. fosse rimasto estraneo ai reati, i due interlocutori non avrebbero avuto motivo di stupirsi per la richiesta di pagamento avanzata dal professionista , in quanto la pretesa di essere pagato per l’attività professionale svolta,avanzata da un professionista estraneo alla vicenda, sarebbe stata più che ragionevole. La meraviglia palesata nella conversazione telefonica per la richiesta di pagamento si giustifica, secondo i giudici del merito,proprio perchè il Q. non era estraneo al reato.
Siffatta valutazione della Corte,espressa peraltro al solo fine di contestare l’assunto del difensore che intendeva desumere da tale telefonata l’estraneità al fatto del proprio assistito, non può considerarsi manifestamente illogica.
L’inammissibilità del ricorso impedisce di dichiarare la prescrizione relativamente alle sole fatture emesse nel 2002, maturata dopo la decisione impugnata o eventualmente anche prima,ma non rilevata dal giudice o dedotta dalla parte, secondo l’orientamento espresso dalle Sezioni unite di questa corte con le sentenze del 22 novembre 2000, De Luca e del 22 marzo del 2005, Bracale.
Dall’inammissibilità del ricorso discende l’obbligo di pagare le spese processuali e di versare una somma , che stimasi equo determinare in Euro 1000,00, in favore della Cassa delle Ammende, non sussistendo alcuna ipotesi di carenza di colpa del ricorrente nella determinazione della causa d’inammissibilità secondo l’orientamento espresso dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 186 del 2000.

P.Q.M.

LA CORTE Letto l’art. 616 c.p.p..
RESPINGE L’istanza di rinvio, DICHIARA Inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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