Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 26-10-2011) 14-12-2011, n. 46325 Dibattimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Con sentenza resa in data 3.11.2000 il GUP del Tribunale di Bergamo dichiarava non doversi procedere nei confronti di C. M. in ordine al reato di ingiurie in anno di B.C. per remissione di querela ed in ordine al reato di cui agli artt. 81, 609 bis c.p. in danno della medesima B. per difetto di prova certa della tempestività della querela.
La Corte di Appello di Brescia, con sentenza del 14.6.2002, convertiti in appello i ricorsi per cassazione, proposti dal P.M. e dall’imputato in relazione al reato di cui all’art. 609 bis, e ritenuto che l’ultimo episodio di abuso sessuale si collocava in data prossima alla presentazione della querela, affermava la responsabilità del C..
La Corte di Cassazione, con sentenza del 17.11.2004, annullava però tale sentenza, rinviando ad altra sezione della Corte di Appello di Brescia..
Giudicando in sede di rinvio la Corte di Appello di Brescia, con sentenza del 2.5.2005, confermava la pronuncia di primo grado, non essendovi prova della tempestività della querela.
A seguito di ricorso del P.G. la Corte di cassazione, sez. 4, in data 24.9.2008, annullava la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame in ordine alla tempestività della querela, previa escussione quanto meno della persona offesa.
La Corte di Appello di Brescia, con sentenza in data 28.1.2011, giudicando in sede di rinvio, in riforma della sentenza del GUP del 3.11.2000, dichiarava il C. colpevole del reato di cui all’art. 609 bis ascritto al capo a) e, riconosciute le circostanze attenuanti generi che e quella del risarcimento del danno, nonchè l’attenuante di cui all’art. 609 bis c.p., u.c., applicata la diminuente per la scelta del rito, lo condannava alla pena di mesi 6 e giorni 10 di reclusione, con il beneficio della sospensione e della non menzione.
Riteneva la Corte territoriale, quanto alla condizione di procedibilità, che l’esame della querelante B. aveva consentito di accertare, senza ombra di dubbio, che l’ultimo degli episodi di cui alla contestazione (consistiti in toccamenti sul sedere o in strusciamene con le parti intime) si era verificato il 6 luglio 1999 e quindi due giorni prima della presentazione della querela.
Rigettava, poi, la Corte territoriale le eccezioni di nullità in relazione all’avviso ex art. 415 bis ed alla richiesta di rinvio a giudizio, risultando, in modo sufficientemente chiaro e preciso, indicati la condotta, il luogo ed il contesto temporale. In ogni caso, l’imputazione va precisata proprio nell’udienza preliminare (tanto che è solo il decreto che dispone il giudizio ad essere inficiato di nullità ex art. 429 c.p.p., comma 2) e l’imputato aveva, comunque, optato per il giudizio abbreviato sulla base dell’imputazione risultante dalla richiesta di rinvio a giudizio.
Quanto alle eccezioni, sollevate con la memoria depositata il 7.6.2002, esse, oltre che tardive, erano infondate. L’impugnazione del P.M. era stata infatti regolarmente notificata, con consegna dell’avviso dell’avvenuto deposito del plico presso la casa comunale alla madre, qualificatasi come addetta al servizio del destinatario, che aveva sottoscritto con firma leggibile. In relazione all’eccepito omesso avviso all’imputato contumace del deposito della sentenza del GUP, assumeva la Corte territoriale che l’impugnazione era stata proposta dal difensore e che, comunque, l’imputato, pur avendo ricevuto la notifica del decreto di citazione in appello, mai aveva avanzato istanza di rimessione in termini per impugnare.
Nel "merito" riteneva la Corte provata la responsabilità dell’imputato sulla base di quanto emergente dall’atto di querela (atto pienamente utilizzabile, avendo l’imputato optato per il rito abbreviato) e delle dichiarazioni rese dalla p.o. nel giudizio di appello, che confermavano a distanza di dieci anni dai fatti e, nonostante la remissione di querela ed il risarcimento del danno, gli abusi sessuali subiti. Le dichiarazioni della parte offesa erano pienamente attendibili, mentre l’assunto difensivo risultava inconsistente (la querela sarebbe stata uno strumento di vendetta nei confronti dello stretto collaboratore del datore di lavoro per la penalizzazione di altro dipendente, con cui la p.o. aveva una tresca, sul piano retributivo).
Infine il diritto alla controprova nel rito abbreviato va riconosciuto nell’ambito della prova ammessa d’ufficio (nel caso di specie sulla condizione di procedibilità), per cui legittimamente era stata rigettata la richiesta di escussione della moglie dell’imputato e del datore di lavoro Co..
2) Ricorrono per cassazione il C. ed il suo difensore, con atti separati ma di contenuto identico.
Con il primo e secondo motivo si denuncia la mancanza e comunque la manifesta illogicità della motivazione, nonchè la violazione di legge in relazione all’art. 192 c.p.p..
La Corte territoriale, senza tener conto che le nuove dichiarazioni risultano rese a distanza di ben 12 anni dai fatti, ha ritenuto la credibilità della parte offesa senza motivare adeguatamente, mentre ha motivato in ordine alle dichiarazioni rese dall’imputato con manifesta illogicità. Eppure, come riportato dalla stessa Corte territoriale, sia le iniziali dichiarazioni, sia quelle rese nel giudizio di appello a distanza di 12 anni si connotano per assoluta genericità, al punto da non consentire l’esercizio del diritto di difesa. Peraltro tali dichiarazioni sono risultate intrinsecamente contraddittorie, avendo la B. riferito che le molestie si sarebbero verificate quando erano in corso turni di lavoro, pur risultando in modo certo la presenza di tre operai per turno. La sentenza è, altresì, manifestamente illogica quando afferma che la mancata ritrattazione a distanza di 12 anni confermerebbe l’attendibilità della p.o., risultando evidente, piuttosto, che la medesima non avrebbe di certo potuto confessare che quelle accuse non erano vere.
Con il terzo motivo si denuncia la mancanza di motivazione in ordine alle dichiarazioni della B. all’udienza del 28.1.2011, secondo cui l’imputato avrebbe abitato sopra il laboratorio e sarebbe sceso di notte per molestarla, pur risultando dalle dichiarazioni dell’imputato medesimo, al contrario, che nel 1999 egli non era ivi residente.
Con il quarto e quinto motivo si deduce la mancanza e manifesta illogicità della motivazione nonchè la violazione degli artt. 441 e 603 c.p.p., avendo la Corte territoriale rigettato la richiesta di controprova in relazione alle dichiarazioni rese da B.C. all’udienza del 28.1.2011 (era stato chiesto di sentire la moglie dell’imputato ed il datore di lavoro in ordine al luogo di abitazione).
Con il sesto motivo si denuncia la omessa e, comunque, la manifesta illogicità della motivazione, non essendo la mancata prova di ragioni di astio e di contrasti (onere non gravante sull’imputato) motivo di attendibilità della p.o., e risultando smentito dagli atti l’assunto della infondatezza delle dichiarazioni dell’imputato (la presentazione della querela fu infatti successiva alla lite con il datore di lavoro, avvenuta il giorno prima, e non essendo stata ammessa la prova contraria in ordine alla telefonata del marito della B. alla moglie dell’imputato).
Con il settimo ed ottavo motivo si denuncia la violazione di legge in relazione agli artt. 415 bis, 416, 417 lett. b), art. 185 c.p.p., artt. 521, 522 c.p.p., essendo le eccepite nullità dell’avviso ex art. 415 bis e della richiesta di rinvio a giudizio per indeterminatezza dei fatti contestati, inerenti al diritto di difesa ed all’esercizio dell’azione penale, rilevabili anche in sede di giudizio abbreviato.
Con il nono motivo si denuncia la violazione di legge in relazione all’art. 548 c.p.p. per essere stata omessa la notifica della sentenza, depositata fuori termine, all’imputato e, in relazione all’art. 584 c.p.p., per essere stata omessa la notifica all’imputato dell’impugnazione del P.M..
Entrambe le eccezioni, verificatesi dopo la sentenza di primo grado, potevano essere dedotte e rilevate entro la deliberazione della sentenza del grado successivo ai sensi dell’art. 180 c.p.p. e quindi, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, erano state tempestivamente dedotte, ai sensi dell’art. 180 c.p.p.. Nè la denunciata nullità risultava sanata dalla presentazione da parte del difensore dell’impugnazione, essendo stato il vizio denunciato prima che si svolgesse il giudizio di appello. Quanto alla notifica dell’impugnazione del P.M. essa era nulla, essendo la consegna avvenuta a mani della madre dell’imputato non convivente;
3) Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.
3.1) Vanno preliminarmente esaminate le eccezioni di nullità, in ordine alle quali, venendo denunciata la violazione di norme processuali, il giudice di legittimità è giudice anche del fatto.
3.1.1) Quanto alle eccezioni relative all’avviso ex art. 415 bis ed alla richiesta di rinvio a giudizio, a parte i rilievi della Corte territoriale in ordine al fatto che l’imputazione risultava formulata in modo sufficientemente chiaro e preciso, risultando indicati la condotta, il luogo di commissione del reato ed il contesto temporale, va ricordato che è ormai pacifico, a partire dalla sentenza a sezioni unite del 21.6.2000 n.16- Tammaro, che "il giudizio abbreviato costituisce un procedimento a "prova contratta", alla cui base è identificabile un patteggiamento negoziale sul rito, a mezzo del quale le parti accettano che la regiudicanda sia definita all’udienza preliminare alla stregua degli atti di indagine già acquisti e rinunciano a chiedere ulteriori mezzi di prova, così consentendo di attribuire agli elementi raccolti nel corso delle indagini preliminari quel valore probatorio di cui essi sono normalmente sprovvisti nel giudizio che si svolge invece nelle forme ordinarie del dibattimento. Tuttavia tale negozio processuale di tipo abdicativo può avere ad oggetto esclusivamente i poteri che rientrano nella sfera di disponibilità degli interessati, ma resta privo di negativa incidenza sul potere-dovere del giudice di essere, anche in quel giudizio speciale, garante della legalità del procedimento probatorio. Ne consegue che in esso, mentre non rilevano nè l’inutilizzabilità cosiddetta fisiologica della prova, cioè quella coessenziale ai peculiari connotati del processo accusatorio, in virtù dei quali il giudice non può utilizzare prove, pure assunte "secundum legem", ma diverse da quelle legittimamente acquisite nel dibattimento secondo l’art. 526 cod. proc. pen, con i correlati divieti di lettura di cui all’art. 514 c.p.p. (in quanto in tal caso il vizio sanzione dell’atto probatorio è neutralizzato dalla scelta negoziale delle parti, di tipo abdicativo), nè le ipotesi di inutilizzabilità "relativa" stabilite dalla legge in via esclusiva con riferimento alla fase dibattimentale, va attribuita piena rilevanza alla categoria sanzionatola dell’inutilizzabilità cosiddetta "patologica", inerente, cioè, agli atti probatori assunti "contro legem", la cui utilizzazione è vietata in modo assoluto non solo nel dibattimento, ma in tutte le altre fasi del procedimento, comprese quelle delle indagini preliminari e dell’udienza preliminare, nonchè le procedure incidentali cautelari e quelle negoziali di merito". La giurisprudenza successiva ha costantemente ribadito che "nel giudizio abbreviato sono rilevabili e deducibili solo le nullità di carattere assoluto e le inutilizzabilità cosiddette patologiche. Ne consegue che l’irritualità nell’acquisizione dell’atto probatorio è neutralizzata dalla scelta negoziale delle parti di tipo abicativo, che fa assurgere a dignità di prova gli atti di indagine compiuti senza rispetto delle forme di rito" (Cass. sez. 3 n. 29240 del 9.6.2005; conf. Cass. sez. 6 n. 14099del 30.1.2007; Cass. sez. 3 n. 39407del 26.9.2007). Che le eccepite nullità non siano di carattere assoluto non può essere revocato in dubbio (cfr. Cass. sez.2 n. 35420, che ha ritenuto di carattere relativo anche la nullità del decreto di citazione a giudizio per l’omessa notifica all’imputato dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari). Tanto che, come, con precedente decisione, ha già ritenuto questa Corte, tale omessa notifica dell’avviso di conclusione delle indagini "rimane sanata dalla presentazione da parte dell’imputato della richiesta di giudizio abbreviato" (Cass. sez. 6 n. 25153 del 4.5.2010).
3.1.2) In ordine all’eccezione di nullità della notifica dell’impugnazione del P.M. correttamente ha ritenuto la Corte territoriale che essa (a prescindere dalla tempestività della proposizione) fosse infondata. Risulta, invero, dagli atti che il plico, non essendo stato possibile procedere alla consegna nel luogo di residenza del C. (via (OMISSIS)) fu depositato presso la Casa Comunale e che dell’avvenuto deposito fu dato avviso a mezzo raccomandata, la quale venne consegnata, sempre nel luogo di residenza sopraindicato del C., a mani di G.A., indicata come mamma "al servizio del destinatario".
Irrilevante è che la consegnatario fosse o meno anagraficamente convivente con il destinatario e che non sia stato indicato il rapporto di convivenza. Invero, "In materia di prima notificazione all’imputato non detenuto, ai fini dell’applicazione dell’art. 157 c.p.p., debbono considerarsi conviventi dell’imputato non soltanto le persone che anagraficamente facciano parte della sua famiglia, ma anche quelle che, per altri motivi, si trovino al momento della notificazione nella casa di abitazione, del medesimo, purchè le stesse, per le generalità e le qualifiche declinate all’ufficiale giudiziario, rappresentino a quest’ultimo una situazione di convivenza, sia pure di carattere meramente temporaneo, perchè in questo caso l’ufficiale giudiziario, ha il ragionevole affidamento che l’atto perverrà al destinatario" (ex plurimis Cass. pen. Sez. 1^, 22.12.1998 n. 13542).
E "l’omessa indicazione nella relata di notifica della temporanea convivenza del consegnatario non costituisce causa di nullità del decreto di citazione a giudizio, quando tale temporanea convivenza sia desumibile da una relazione di parentela, e sempre che la notifica sia stata eseguita nel domicilio dell’interessato" (Cass. pen. sez. 5^, 26.4.1993 n. 3911).
3.1.3) Quanto all’omesso avviso del deposito della sentenza di primo grado, va ricordato che "Il diritto all’impugnazione dell’imputato ha natura unitaria e fa capo esclusivamente all’interessato, anche se al difensore è attribuita facoltà di esercitarlo; ne consegue che l’omissione dell’avviso di deposito della sentenza di secondo grado è sanata- ai sensi dell’art. 183 cod. proc. pen., lett. b) – se l’imputato proponga personalmente ricorso per cassazione o se a tanto provveda altro difensore nel frattempo nominato" (cfr.ex multis Cass. pen. Sez. 5 n. 25007 del 18.5.2001; conf. Cass. sez. 2 n. 48302 del 15.10.2004; sez. 1 n. 2613 del 20.12.2004; sez. 1^ n. 43665 del 18.10.2007); ovvero se "i motivi di impugnazione siano stati tempestivamente presentati dal difensore e riguardino il provvedimento effettivamente impugnato ed il suo contenuto motivazionale" (Cass. sez. 1 n. 10410 del 24.2.2010).
Ha rilevato, inoltre, ineccepibilmente, la Corte territoriale che il C., pur essendo venuto a conoscenza (quanto meno dal momento in cui gli fu notificato il decreto di citazione per il giudizio di appello) della sentenza emessa nei suoi confronti dal GUP, mai aveva formulato istanza di rimessione in termini, dimostrando così di non volere esercitare il diritto di impugnazione, evidentemente già esercitato dal difensore.
3.1.4) Va infine esaminata l’eccezione, di cui al quarto e quinto motivo di ricorso, in relazione al mancato accoglimento da parte della Corte territoriale della richiesta di contro prova.
Non c’è dubbio che l’art. 441 c.p.p., comma 5 introduca nel rito abbreviato un meccanismo analogo a quello previsto dall’art. 507 c.p.p. per il dibattimento a tutela dei valori costituzionali di legalità che presiedono all’esercizio dell’azione penale. In relazione specificamente all’art. 507 c.p.p., anche alla luce della sentenza della Corte Costituzionale ((Corte Cost. 26 marzo 1993 n. 111, Azzari) e della nuova formulazione dell’art. 111 Cost., la giurisprudenza di questa Corte, dopo alcune contrastanti decisioni, è ormai consolidata nel ritenere che il giudice possa esercitare il potere di disporre d’ufficio l’assunzione di nuovi mezzi prova, previsto dall’art. 507 c.p.p, anche con riferimento a quelle prove che le parti avrebbero potuto richiedere e non hanno richiesto, rimanendo comunque impregiudicata la facoltà della parti di richiedere l’ammissione di nuovi mezzi di prova ai sensi dell’art. 495 c.p.p., comma 2 (Cass. sez. un. n. 41281 del 17.10.2006). Tale decisione ribadiva il principio già enunciato dalle stesse sezioni unite con la sentenza n. 11227 del 6.11.1992, secondo cui l’esercizio del potere previsto dall’art. 507 c.p.p. poteva essere esercitato anche con riferimento alle prove che le parti avrebbero potuto richiedere e che alla ammissione della prova ex art. 507 c.p.p. il "giudice non potrebbe non far seguire l’ammissione anche delle eventuali prove contrarie".
E difatti questa Corte, applicando tali principi al rito abbreviato, da un lato, ha ritenuto che "il potere integrativo istruttorio del giudice previsto dall’art. 441 cod. proc. pen., comma 5 è esercitabile anche nel momento stesso in cui viene disposto il giudizio abbreviato, difettando una qualunque previsione in senso contrario e considerato che, sulla base degli atti, il giudice può sin dal primo momento valutare la necessità di acquisire ulteriori elementi necessari alla decisione" (Cass. sez. 6 n. 36236 del 7.7.2004, Mascarucci) e, dall’altro, ha affermato che all’imputato "che abbia richiesto il rito speciale senza integrazioni probatorie deve riconoscersi, nel caso in cui il giudice assuma d’ufficio nuovi elementi necessari alla decisione, il diritto alla controprova … secondo una ragionevole analogia con l’interpretazione giurisprudenziale dell’art. 507 c.p.p." (Cfr. Cass. sez. 5 n. 11954 dell’8.2.2005, Marino; cass. sez. 5 n. 19388 del 9.5.2006).
3.1.4.1) Il diritto alla contro prova non ha però carattere "assoluto", dovendo comunque esercitarsi secondo i limiti ed i criteri, indicati dal codice di rito per lo stesso diritto alla prova (art. 190 c.p.p.), e tenendo conto delle peculiari caratteristiche del giudizio abbreviato.
Il giudice è tenuto infatti ad escludere le prove vietate dalla legge e quelle che manifestamente sono superflue o irrilevanti (art. 190 c.p.p., comma 1).
Tali principi sono stati reiteratamente ribaditi dalla giurisprudenza di questa Corte secondo cui "il diritto all’ammissione della prova indicata a discarico sui fatti costituenti oggetto della prova a carico, che l’art. 495 cod. proc. pen., comma 2, riconosce all’imputato incontra limiti precisi nell’ordinamento processuale, secondo il disposto degli artt.188, 189, 190 cod. proc. pen. e, pertanto, deve armonizzarsi con il potere-dovere, attribuito al giudice del dibattimento, di valutare la liceità e la rilevanza della prova richiesta, ancorchè definita decisiva dalla parte, onde escludere quelle vietate dalla legge e quelle manifestamente superflue o irrilevanti (cfr. Cass. pen. sez. 2 n. 2350 del 21.12.2004).
E con riferimento specifico al diritto alla contro prova nel giudizio abbreviato è stato affermato che "..all’imputato che abbia richiesto il rito speciale senza integrazioni probatorie deve riconoscersi, nel caso in cui il giudice assuma di ufficio nuovi elementi necessari alla decisione, il diritto alla controprova (in motivazione la Corte ha precisato che tale diritto non comprende anche quello alla escussione orale di una prova già documentata, attese le ragioni di economia processuale proprie del rito speciale e la rinuncia effettuata dall’imputato alla formazione della prova nel contraddittorio " (Cass. pen. sez. 5 n. 11954 dell’8.2.2005).
3.1.4.2) Tanto premesso, risulta dagli atti che, con la sentenza di annullamento del 24.9.2008, la sezione 4 di questa Corte richiedeva di accertare se la querela fosse stata tempestivamente presentata, previa escussione quanto meno della persona offesa e, "all’esito di ogni altra indagine istruttoria che al medesimo scopo ritenesse necessario di esperire in via supplementare, procedere ad un nuovo esame dei mezzi di impugnazione.". Oggetto del giudizio di rinvio era quindi l’accertamento preliminare della condizione di procedibilità, attraverso l’espletamento anche di indagini istruttorie, e, all’esito, il riesame degli appelli.
In tali limiti si manteneva la Corte territoriale, nel disporre l’esame della persona offesa, per come espressamente enunciato dal Presidente del Collegio ("Ci interessa la periodizzazione di questi episodi, cioè la collocazione nei tempo di questi episodi.."), salvo a chiedere precisazioni sul contenuto degli atti posti in essere dall’imputato, peraltro già risultanti da quanto esposto in sede di querela.
Nel richiedere di esercitare il diritto alla contro prova la difesa affermava testualmente: "… sia (recte: sin) da ora chiedo l’ammissione a controprova come testi su circostanze che possono essere rilevanti in riferimento a quanto dedotto oggi dalla teste o comunque reso necessario dalla sua ammissione come teste di D. Z. di (OMISSIS), che è la moglie dell’imputato, in riferimento a una circostanza in di cui ancora oggi si è parlato, e cioè la telefonata del 6-7 luglio; e Gi.
C., datore di lavoro all’epoca di entrambi, di (OMISSIS)" (cfr. pag. 12 verb. trascr.).
Risulta palesemente la genericità della richiesta in relazione al teste Co., non venendo neppure indicate le circostanze su cui il predetto avrebbe dovuto deporre. Per Z.D. si faceva, invece, riferimento alla telefonata del 6-7 luglio (circostanza già emergente dagli atti ed in particolare dal verbale di denuncia- querela dell’8.7.1999); e su tale circostanza il C., chiedendo il giudizio abbreviato incondizionato, aveva ritenuto che non fosse necessario alcun "approfondimento".
Ma a ben vedere la richiesta di essere ammesso alla controprova veniva soltanto enunciata, tanto che al P.M., che chiedeva di interloquire sulla richiesta, il Presidente replicava "Facciamo alla fine …". balla trascrizione (che termina con le dichiarazioni dell’imputato) ed anche dai verbale di udienza, redatto dal cancelliere, non risulta che la richiesta sia stata riproposta o che la Corte sia stata sollecitata a pronunciarsi prima che si ritirasse in camera di consiglio. Deve ritenersi, quindi, che vi sia stata implicita rinuncia da parte della difesa.
Anche per i mezzi di prova già ammessi, la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto, invero, che "non produce alcuna nullità la mancata assunzione dei mezzi di prova già ammessi, quando non sia stata manifestata alcuna riserva alla chiusura dell’istruzione dibattimentale da parte di chi li aveva richiesti (dovendosi ritenere che vi abbia rinunciato implicitamente), nè opposizione delle altre parti processuali (cfr. Cass. sez. 1 n. 9628 del 3.7.1998- Dose e, di recente, Cass. sez. 3 n. 9135 del 24.1.2008- Fontolan). "Non è causa di nullità alcuna il mancato svolgimento dell’esame dell’imputato che ne abbia fatto preventiva richiesta e che non si sia opposto alla chiusura dell’istruzione dibattimentale senza che si procedesse all’incombente" (Cass. sez. 6 n. 1081 dell’11.12.2009).
Il diritto alla prova, previsto dall’art. 190 c.p.p., nel vigente sistema processuale, caratterizzato dalla dialettica e dall’impulso delle parti, implica, infatti, anche il principio di disponibilità della prova medesima. In presenza, pertanto, di un comportamento concludente di rinuncia alla prova non è configurabile alcuna nullità. 3.2) Gli altri motivi, attinenti all’affermazione di responsabilità, sono inammissibili, in quanto ripropongono, attraverso una rivisitazione delle risultanze probatorie, censure in fatto già esaminate e disattese dalla Corte territoriale.
Tali censure non tengono conto, invero, che il controllo demandato alla Corte di legittimità va esercitato sulla coordinazione delle proposizioni e dei passaggi attraverso i quali si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, senza alcuna possibilità di rivalutare in una diversa ottica, gli argomenti di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento o di verificare se i risultati dell’interpretazione delle prove siano effettivamente corrispondenti alle acquisizioni probatorie risultanti dagli atti del processo. Anche a seguito della modifica dell’art. 606 c.p.p., lett. e), con la L. n. 46 del 2006, il sindacato della Corte di Cassazione rimane di legittimità: la possibilità di desumere la mancanza, contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione anche da "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame", non attribuisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare criticamente le risultanze istruttorie, ma solo quello di valutare la correttezza dell’iter argomentativo seguito dal giudice di merito e di procedere all’annullamento quando la prova non considerata o travisata incida, scardinandola, sulla motivazione censurata (cfr. Cass. pen. sez. 6 n. 752 del 18.12.2006).
3.2.1) La Corte territoriale, con motivazione adeguata e coerente logicamente, ha ritenuto la piena attendibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa in sede di denuncia querela, confermate, tra l’altro, nonostante la remissione di querela (senza smentire le precedenti accuse e senza esporsi ad una denuncia per calunnia, la B. avrebbe potuto affermare di non ricordare bene, per il tempo trascorso, o mantenere "un atteggiamento meno convinto per descrivere i comportamenti." – pag. 9 sent.). Tali dichiarazioni risultavano infatti precise, misurate, prive di incongruenze e di animosità verso l’imputato. Ha esaminato, in particolare, la Corte di merito i rilievi difensivi in ordine ad una sorta di "impossibilità" dei toccamenti e degli strusciamenti per la presenza di altri lavoratori, sottolineando che, secondo le stesse dichiarazioni dell’imputato, vi erano turni di lavoro in cui soltanto tre persone, erano presenti nel capannone (uno dei quali peraltro adibito a mansioni di sorveglianza sul funzionamento dell’impianto) e che, comunque, la B. mai aveva affermato che le "molestie" avvenivano quando non c’era nessuno nello stabilimento "avendo la donna dichiarato che l’imputato semplicemente approfittava del fatto che la presenza degli addetti fosse diradata il che, come ha ammesso l’uomo, in effetti si verificava sovente". Ed in tale motivazione non è ravvisabile alcuna incongruenza o palese illogicità La Corte territoriale si è fatta carico, infine, di esaminare la tesi difensiva dell’imputato (della querela come strumento di vendetta), ritenendo, con motivazione altrettanto puntuale e logica, che essa fosse assolutamente inconsistente (pag. 10 sent.).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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