Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 26-10-2011) 14-12-2011, n. 46324 Reato continuato e concorso formaleViolenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Con sentenza, resa in data 12.7.2010, la Corte di Appello di Venezia, confermava la sentenza del Tribunale di Padova del 18.6.2009, con la quale S.M. era stato condannato alla pena di anni 8 di reclusione per il reato di cui all’art. 81 cpv., art. 609 bis e art. 609 ter c.p., commi 1, n. 1, u.c. ("perchè, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, costringeva la minore P.L., dall’età di anni nove e fino ai tredici anni, a subire, in plurime occasioni, abusi sessuali consistiti nel palpeggiarle-dopo essersi sdraiato di notte al suo fianco e averle scostato gli slip e sollevato il reggiseno – il seno e la zona genitale, introducendole talvolta le dita in vagina, strofinandole altresì il pene sul fondo schiena fino a giungere all’eiaculazione e tentando anche di farle assumere la posizione supina e di allargarle le gambe per penetrarla.."), nonchè alle pene accessorie ed al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile.

Ricordava la Corte territoriale che la vicenda processuale aveva tratto origine da una segnalazione all’A.G., nel febbraio 2005, da parte del Servizio di nEuropsichiatria e dei Consultorio Familiare di Cittadella. Alcuni giorni prima P.L., di anni 14, aveva confidato alle compagne di scuola media di aver subito attenzioni da parte di uno zio, fin da quando aveva nove anni. Una delle amiche, aveva accompagnato L. da una professoressa, la quale l’aveva convinta a parlarne con la madre, che, a sua volta ricevuto il racconto della figlia, si era rivolta al medico di famiglia, dr.ssa B.L., e, successivamente, su consiglio di questa, ai Servizi sociali. Tanto premesso, nel disattendere i motivi di appello, riteneva la Corte che non vi fosse alcuna necessità di disporre una perizia sulla parte offesa, ormai maggiorenne, anche perchè la valutazione delle prove acquisite compete al giudice (peraltro la persona offesa era stata sentita da assistenti sociali e psicologi e tutti avevano sostenuto che diceva la verità e che le sue dichiarazioni non erano quindi frutto di fantasticherie).

Con lunga e dettagliata motivazione la Corte di merito riteneva, quindi, la piena attendibilità della minore; per contro, assolutamente negativo era stato il comportamento processuale dell’imputato, che non si era limitato a negare gli addebiti, ma aveva aggredito moralmente la persona offesa ed i suoi familiari, per cui non appariva meritevole di alcuna attenuazione del trattamento sanzionatorio.

2) Ricorre per cassazione il S., a mezzo del difensore, denunciando, con il primo motivo, la violazione di legge in relazione all’art. 192 e art. 196 c.p.p., comma 2, per l’omesso espletamento di perizia sulla capacità della parte offesa a rendere testimonianza, nonchè la manifesta contraddittorietà, illogicità e comunque insufficienza della motivazione sui punto. Nonostante che dagli atti emergessero elementi che ponevano in dubbio siffatta capacità, quali la minore età unita ad una diagnosi di psicosi ed al contesto familiare particolare, nonchè le numerose contraddizioni del racconto reso in dibattimento, la Corte territoriale ha ritenuto che la richiesta difensiva non fosse meritevole di approfondimento. Per di più l’unico riferimento effettuato dalla Corte in proposito riguarda l’enunciazione che è compito del giudice valutare l’attendibilità della persona offesa, confondendo tra l’altro attendibilità e capacità a testimoniare.

Con il secondo motivo denuncia la insufficienza e contraddittorietà della motivazione in relazione all’attendibilità della persona offesa. La Corte territoriale, in modo assolutamente illogico, fonda l’attendibilità della P. sulla circostanza che essa non aveva mai parlato degli abusi subiti e che la vicenda era emersa perchè all’età di 14 anni li aveva raccontati ad una compagna di classe e sul fatto che il disagio ed il malessere psicologico manifestati fossero correlati all’abuso (in contrasto peraltro con quanto ritenuto dal dr. P. e con quanto dedotto dalla difesa circa l’insorgenza del cambiamento in coincidenza delle violenze poste in essere dal padre nei confronti della madre), ed infine sulla volontà della minore di non andare a casa dello zio.

Con il terzo motivo denuncia la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione all’attendibilità della parte offesa, nonostante le numerose incertezze e contraddizioni del racconto, giustificate, secondo non condivisibili massime di esperienza, e senza alcun accertamento scientifico, con la minore età e con la totale rimozione dei particolari.

Con il quarto motivo deduce la mancanza e, comunque, la illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta attendibilità della minore/nonostante tutti i non ricordo, giustificati con la difficoltà a raccontare squallidi e incresciosi episodi, e nonostante le errate dichiarazioni sulla forma della piscina, sulla visione della videocassetta pornografica. La motivazione, poi, è del tutto carente sul possibile trauma subito dalla minore a seguito della visione della videocassetta e sull’esito negativo della perquisizione presso l’abitazione dell’imputato.

Con il quinto motivo denuncia la illogicità della motivazione in ordine ai rapporti patrimoniali tesi tra le due famiglie ed alle accuse della madre della parte offesa di essere stata anche lei vittima di attenzioni sessuali da parte del cognato, nonchè in relazione alla interruzione di ogni contatto con la ULSS di Cittadella, che, come riferito dal dr. P., aveva impedito di approfondire gli aspetti psicologici della minore.

Con il sesto motivo denuncia la insufficienza, illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine alle modalità degli abusi, come descritti dalla persona offesa, avvenuti nella stessa stanza dove dormivano la zia e la cuginetta, senza che le medesime si accorgessero di nulla. Del tutto apodittica e senza alcun supporto probatorio è l’affermazione circa la consapevolezza o addirittura complicità della moglie dell’imputato.

Con il settimo motivo denuncia la contraddittorietà della motivazione in relazione al comportamento processuale dell’imputato, al quale vengono attribuiti comportamenti in contrasto con le risultanze processuali; in particolare, non è vero che il prevenuto aveva attaccato i parenti senza motivo, ipotizzando la tesi del complotto contro di lui, essendosi egli piuttosto limitato a sostenere che la minore aveva subito gli abusi ma non da lui.

Con l’ottavo motivo denuncia la violazione di legge in relazione all’art. 499 c.p.p., risultando dagli atti, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, che in dibattimento erano state rivolte alla persona offesa domande suggestive e che la difesa si era opposta.

Con il nono motivo denuncia la violazione dell’art. 533 c.p.p. e dell’art. 27 Cost., essendo stata emessa sentenza di condanna nonostante che le prove assunte non dimostrassero, al di là di ogni ragionevole dubbio, la colpevolezza dell’imputato. Con il decimo motivo, infine, denuncia la violazione di legge e l’omessa motivazione in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.

3) Il ricorso è infondato e va pertanto rigettato.

3.1) Quanto al mancato espletamento di perizia sulla capacità di testimoniare della minore, va ricordato, innanzitutto, che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, "per prova la cui mancata assunzione può costituire motivo di ricorso per cassazione , deve intendersi solo quella che, confrontata con le ragioni poste a sostegno della decisione, risulti determinante per una diversa conclusione del processo, e non anche quella insuscettibile di incidere sulla formazione del convincimento del giudice, in quanto costituente una diversa prospettazione valutativa della normale dialettica tra differenti tesi processuali" (Cass. sez. 1^ sent. n. 17284 del 15.4.2003).

Il vizio di mancata assunzione di una prova decisiva rileva, quindi, "quando la prova richiesta e non ammessa, confrontata con le argomentazioni addotte in motivazione a sostegno della decisione, risulti decisiva, cioè tale che, se esperita, avrebbe potuto determinare una diversa decisione" (cfr. Cass. sez. 4, 8.5.2007 n. 27738).

Bisogna inoltre tener conto, che, trattandosi di perizia, la mancata assunzione non può essere dedotta come vizio della sentenza, stante la tradizionale considerazione della perizia quale mezzo di prova rientrante nel potere discrezionale di disposizione del giudice, come tale estranea al tipico contraddicono tra le parti in tema di diritto alla prova e giustificata solo in caso di necessità di indagini postulanti specifiche competenze tecniche. (cfr. Cass. sez. 1, 15.12.1997 n. 11538). La giurisprudenza, anche più recente, di questa Corte è quindi concorde nel ritenere che "la mancata effettuazione di un accertamento peritale non può costituire motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), in quanto la perizia non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva, trattandosi di un mezzo di prova "neutro", sottratto alla disponibilità della parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, laddove il citato art. 606, attraverso il richiamo all’art. 495 c.p.p., comma 2, si riferisce esclusivamente alle prove a discarico che abbiano carattere di decisività " (cfr.

Cass. pen. sez. 4 n. 4981 del 5.12.2003; conf. Cass. pen. sez. 4 n. 14130 del 22.1.2007).

La Corte territoriale ha ritenuto non necessario l’espletamento di una perizia, sia perchè, essendo la persona offesa ormai maggiorenne, l’accertamento avrebbe dovuto essere compiuto non tanto sulla persona quanto sugli atti, sia perchè essa non appariva in alcun modo giustificata alla luce delle risultanze processuali, sia infine perchè andava evitato ogni ulteriore trauma non strettamente ed assolutamente indispensabile. Ed è pacifico che la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale debba vincere la presunzione di completezza dell’indagine probatoria dibattimentale del giudizio di primo grado; essa quindi ha carattere eccezionale e deve essere giustificata dall’assoluta necessità dell’assunzione della nuova prova ai fini della decisione.

Non è, poi; esatto che la Corte territoriale abbia confuso capacità a testimoniare e attendibilità. Dopo aver evidenziato che "l’accertamento di uno psicologo può essere utile per verificare la credibilità da tenere distinta, però, dall’attendibilità della prova che rientra nei compiti esclusivi del giudice" (pag. 8) e che "la credibilità di un minore deve essere esaminata in senso onnicomprensivo, valutando la posizione psicologica del dichiarante rispetto al contesto delle situazioni interne ed esterne, la sua attitudine a testimoniare- che coinvolge la capacità di recepire le informazioni, ricordarle e raccordarle-, le sue condizioni emozionali in riferimento alle relazioni con il mondo esterno e dalle dinamiche familiari, nonchè i processi di rielaborazione cognitiva delle vicende vissute, processi tanto più limitati, quanto più il bambino è in tenera età" (pag. 9), ha esaminato compiutamente l’aspetto della attitudine a testimoniare soprattutto in relazione ai rilievi del dr. P. ed alla diagnosi di "psicosi" da lui fatta ("A parte il fatto che la valutazione fu semplicemente sommaria in quanto il dr. P., come detto, ha avuto con la minore solo un colloquio, un "disturbo" psicologico del genere – purtroppo non raro anche negli adulti in considerazione delle vicende familiari e sociali- nulla ha a che vedere con un’evenienza quale quella di cui si discute che richiede, invece, un grave disturbo della personalità"- pag. 16, nota 47 sent.). Anche perchè dagli atti non emergevano elementi tali da far dubitare di siffatta capacità. Lo stesso dr. P. aveva escluso che quanto raccontato da L. fosse frutto di fantasticherie e tutti gli assistenti sociali e psicologi avevano riferito dell’attitudine della ragazza a ben orientarsi nel tempo e nello spazio ed a raccontare fatti veritieri (pag. 13 e 14 sent. app. e pag. 10 sent. Trib.).

3.2) In relazione alla denunciata violazione dell’art. 499 c.p.p. di cui all’ottavo motivo di ricorso, va premesso che il mancato rispetto delle norme che regolano l’esame testimoniale, quando non attenga a divieti posti dalla legge, determina una mera irregolarità e non una nullità o inutilizzabilità, non risolvendosi nella violazione del diritto di difesa e non potendo quindi essere ricondotta in alcuna delle previsioni di cui agli artt.178 e 179 c.p.p..

Le dichiarazioni testimoniali, assunte non secondo le previsioni di cui agli artt.498 e 499 c.p.p., ma con modalità diverse, in mancanza di una norma specifica che ne sanzioni la nullità sono quindi valide e pienamente utilizzabili ai fini della decisione (cfr. ex multis Cass. pen. sez. 1, 11.6.1992 n. 6922; Cass. pen. sez. 5 n. 36061 del 19.6.2007).

E’ necessario però che sia assicurato il diritto della difesa di interloquire, ponendo domande al teste, in modo che venga salvaguardato il principio del contraddittorio. Quanto alle domande suggestive, "il divieto di porre domande suggestive riguarda l’esame condotto dalla parte che ha un interesse comune al testimone e non invece il controesame o l’esame condotto direttamente dal giudice per il quale non vi è il rischio di un precedente accordo tra testimone ed esaminante" (cfr. Cass. pen. sez. 3 n. 4721 del 12.12.2007), l’eccezione andava proposta direttamente al giudice davanti al quale si forma la prova; "nei successivi gradi di giudizio, invece, può essere oggetto di valutazione solo la motivazione con cui il giudice abbia accolto o rigettato l’eccezione e, pertanto, non può essere eccepita per la prima volta con i motivi di impugnazione, l’inutilizzabilità dell’atto assunto in violazione dell’art. 499 c.p.p." (Cass. sez. 1^ n. 22204 del 31.5.2005).

La Corte territoriale, con motivazione ineccepibile in fatto ed in diritto, nel richiamare la giurisprudenza di questa Corte sopra ricordata e nel disattendere i rilievi difensivi, ha rilevato che dalla completa lettura della trascrizione emergeva che l’esame era stato condotto in un clima di assoluta serenità, senza che venisse sollevato alcun rilievo da parte dei difensori (pag. 18 sent.).

Con il ricorso, in modo assolutamente generico ed in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, si ribadisce ancora una volta che furono proposte domande suggestive nonostante l’opposizione della difesa e che l’assunto contrario della Corte territoriale è smentito dai verbali di causa (senza neppure richiamare le pagine di detti verbali che dovrebbero suffragare la tesi difensiva).

3.3) In relazione agli altri rilievi di cui al ricorso, è opportuno ricordare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr.ex multis Cass. Pen. sez. 1^ n. 42369/2006) "alla luce della nuova formulazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e), novellato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve essere volto a verificare che la motivazione della pronunzia: a) sia "effettiva" e non meramente apparente, ossia realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia "manifestamente illogica", in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente contraddittoria, ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso per Cassazione) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico (Sez. 6^, 15 marzo 2006, ric. Casula). Non è, dunque, sufficiente che gli atti del processo invocati dal ricorrente siano semplicemente "contrastanti" con particolari accertamenti e valutazioni del giudicante o con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti e delle responsabilità nè che siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più persuasiva di quella fatta propria dal giudicante. Ogni giudizio, infatti, implica l’analisi di un complesso di elementi di segno non univoco e l’individuazione, nel loro ambito, di quei dati che – per essere obiettivamente più significativi, coerenti tra loro e convergenti verso un’unica spiegazione – sono in grado di superare obiezioni e dati di segno contrario, di fondare il convincimento del giudice e di consentirne la rappresentazione, in termini chiari e comprensibili, ad un pubblico composto da lettori razionali del provvedimento. E, invece, necessario che gli atti del processo richiamati dal ricorrente per sostenere l’esistenza di un vizio della motivazione siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione sia in grado di disarticolare l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione (Sez. 6^, 15 marzo 2006, ric. Casula). Il giudice di legittimità è, pertanto, chiamato a svolgere un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva, non manifestamente illogica e internamente coerente, a seguito delle deduzioni del ricorrente concernenti "atti del processo". Tale controllo, per sua natura, è destinato a tradursi – anche a fronte di una pluralità di deduzioni connesse a diversi "atti del processo" e di una correlata pluralità di motivi di ricorso -in una valutazione, di carattere necessariamente unitario e globale, sulla reale "esistenza" della motivazione e sulla permanenza della "resistenza" logica del ragionamento del giudice. Al giudice di legittimità resta, infatti, preclusa, in sede di controllo sulla motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice di merito, perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito (a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza) rispetti sempre uno standard di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione. Può quindi affermarsi che, anche a seguito delle modifiche dell’art. 606 comma 1, lett. e) ad opera della L. n. 46 del 2006, art. 8 "mentre non è consentito dedurre il travisamento del fatto, stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, è, invece, consentito dedurre il vizio di travisamento della prova, che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, considerato che in tal caso, non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano" (cfr. Cass. sez. 5 n. 39048 del 25.9.2007).

Il vizio di prova "omessa" o "travisata" si verifica, quindi, quando da esso derivi una disarticolazione dell’intero ragionamento probatorio ed una illogicità della motivazione sotto il profilo della rilevanza e della decisività. 3.3.1) Valutata in quest’ottica la motivazione della sentenza impugnata si sottrae alle censure che le sono state mosse.

I Giudici di merito, innanzitutto, con motivazione pertinente ed immune da vizi logici, hanno dato conto ampiamente, confutando anche i rilievi difensivi, delle ragioni che l’inducevano a ritenere pienamente attendibili le dichiarazioni della persona offesa.

Il riferimento alla genesi dei disvelamenti è fatto non per farne derivare automaticamente l’attendibilità della minore, ma per sottolineare il carattere assolutamente spontaneo degli stessi e per escludere che L. possa essere stata indotta o influenzata dall’esterno a raccontare cose non vere. Il racconto delle vicende viene fatto, per la prima volta e senza alcuna sollecitazione, a persone estranee all’ambiente familiare, per cui è da escludere ogni sospetto di etero direzione (pag. 10 e 16 sent. app.).

Il Tribunale aveva già significativamente evidenziato, in proposito, che qualche settimana prima delle rivelazioni le insegnati avevano tenuto una lezione sui numeri utili da contattare in caso di pericolo, per cui in quella occasione la ragazza aveva maturato la consapevolezza della ingiustizia dell’aggressione alla sfera sessuale subita e della possibilità di chiedere aiuto per porvi termine (pa.

11 sent. Trib.). Altrettanto significativo, come sottolineato dai giudici di merito, è che proprio in coincidenza temporale con gli abusi subiti, la ragazza, come emergeva da precise risultanze processuali, aveva iniziato a manifestare segnali di disturbo e difficoltà di relazione e scolastiche (pag. 11 sent.). Il ricorrente, in modo assertivo e senza alcuna indicazione specifica delle emergenze probatorie, lamenta una mancanza di motivazione in ordine alla riferibilità di tali disturbi e disagi ai contrasti tra i genitori ed alle violenze esercitate dal padre nei confronti della madre. A parte il fatto che la Corte esclude, comunque, una tale eventualità, ricordando che "L’appellante, però, dimentica che la ragazza ha riferito quanto accadutole 5 anni dopo, in un momento lontano ed indipendente da quel fatto" (pag. 11 sent. nota n. 19).

Ha, poi, la Corte territoriale esaminato tutte le deduzioni difensive (in ordine alle ragioni per cui la minore doveva ritenersi, al contrario, inattendibile). E, con motivazione adeguata e coerente logicamente, ha ritenuto pienamente giustificati i "non ricordo" o le contraddizioni su aspetti secondari della vicenda (pag. 18, 19 e 25 sent.) o su erronee descrizioni in particolare della pisci netta (pag. 23) o sulla videocassetta (pag. 21, 22).

Anche in relazione alle vicende patrimoniali ed ai dissidi familiari la motivazione della sentenza impugnata non risulta affetta da palesi illogicità (pag. 27 sent.). Quanto alle modalità degli abusi, la Corte di merito, dopo aver ritenuto non esauriente la tesi sostenuta in proposito dal Tribunale, ha ipotizzato, in modo non certo apodittico e senza alcun supporto probatorio, una sorta di "consapevolezza" o "complicità". Ha invero evidenziato che il comportamento della donna e le sue affermazioni nei confronti della madre di L. (sua sorella P.I.) sono spiegabili solo con "un suo coinvolgimento nella vicenda" (pag. 26 sent.).

Infine, anche in ordine al comportamento processuale dell’imputato, la motivazione risulta coerente logicamente ed aderente alle risultanze processuali. La Corte territoriale, dopo aver ricordato il diritto dell’imputato a negare le proprie responsabilità, ha sottolineato che il S. non si era limitato a tanto, ma aveva riferito una serie di falsità ed aveva addirittura accreditato la tesi del complotto contro di lui dei parenti della moglie, affermando "…è stata consigliata da qualcuno …. oppure glielo avranno messo in testa" (pag. 30 sent.).

3.4) In relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, secondo giurisprudenza consolidata di questa Corte, ai fini del riconoscimento di dette attenuanti, non è necessaria una analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, essendo sufficiente la indicazione degli elementi ritenuti decisivi e rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri.

Non è necessario, quindi, scendere alla valutazione di ogni singola deduzione difensiva, dovendosi, invece, ritenere sufficiente che il giudice indichi, nell’ambito del potere discrezionale riconosciutogli dalla legge, gli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti. Il preminente e decisivo rilievo accordato all’elemento considerato implica infatti il superamento di eventuali altri elementi, suscettibili di opposta e diversa significazione, i quali restano implicitamente disattesi e superati. Sicchè anche in sede di impugnazione il giudice di secondo grado può trascurare le deduzioni specificamente esposte nei motivi di gravame quando abbia individuato, tra gli elementi di cui all’art. 133 c.p., quelli di rilevanza decisiva ai fini della connotazione negativa della personalità dell’imputato e le deduzioni dell’appellante siano palesemente estranee o destituite di fondamento (cfr. Cass. pen. sez. 1 n. 6200 del 3.3.1992; Cass. sez. 6 n. 34364 del 16.6.2010). L’obbligo della motivazione non è certamente disatteso quando non siano state prese in considerazione tutte le prospettazioni difensive, a condizione però che in una vaiutazione complessiva il giudice abbia dato la prevalenza a considerazioni di maggior rilievo, disattendendo implicitamente le altre. E la motivazione, fondata sulle sole ragioni preponderanti della decisione non può, purchè congrua e non contraddittoria, essere sindacata in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (cfr. Cass. pen. sez. 6 n. 7707 del 4.12.2003).

La Corte territoriale ha ritenuto che la estrema gravità dei fatti, come emerge dalla complessiva motivazione della sentenza impugnata, ed il comportamento processuale teso, come si è visto, "ad accreditare una ragazzina fuori di testa o di un complotto dei parenti", fossero ostativi al riconoscimento dell’invocato beneficio.

Ha quindi ritenuto assolutamente prevalenti tali elementi "negativi" non bilanciati certo da mere asserzioni non dimostrate(pag. 30 sent).

3.5) Il ricorso va pertanto rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre alla rifusione delle spese in favore della parte civile, liquidate in complessivi Euro 2.000,00, oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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