Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 26-10-2011) 14-12-2011, n. 46323 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Con sentenza in data 21.10.2010 la Corte di Appello di Palermo confermava la sentenza del Tribunale di Trapani, emessa il 17.7.2008, con la quale P.G., previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generi che dichiarate equivalenti alle contestate aggravanti, era stato condannato alla pena di anni 8 di reclusione per i reati di cui all’art. 81 comma 2 e art. 609 bis c.p., commi 1 e 2 già previsto dall’art. 519 comma 2, n. 3, art. 609 septies comma 4, n. 4, art. 61 c.p., n. 11 limitatamente ai fatti commessi dopo il mese di febbraio 1991 (capo a) e agli artt. 582 e 585 c.p. (capo b), in danno del figlio G., unificati detti reati sotto il vincolo della continuazione. Ricordava la Corte territoriale che il Tribunale, sulla base degli accertamenti tecnici espletati, aveva ritenuto il P. capace di stare in giudizio e capace di intendere e di volere e, quanto al merito, pienamente attendibili le dichiarazioni del minore, il quale sentito dal P.M. (il verbale era stato acquisito con il consenso delle parti) aveva affermato di essere stato ripetutamente sodomizzato dal padre (circa ogni 15 giorni all’interno del bagno dell’abitazione); tali dichiarazioni, inoltre, avevano trovato conferma nella testimonianza de relato di P.C., fratello della parte offesa, e nei referti medici da cui emergevano lesioni compatibili con gli abusi sessuali. Infine l’imputato aveva reso dichiarazioni confessorie.

Tanto premesso, disattendeva la Corte territoriale i motivi di appello in relazione allo stato mentale dell’imputato, alla natura delle lesioni di cui ai referti, alla procedibilità d’ufficio del reato di cui all’art. 609 bis c.p., alla prova della responsabilità dell’imputato.

2) Ricorre per cassazione il P., a mezzo del difensore, denunciando, con il primo motivo la violazione di legge in relazione all’art. 192 c.p.p.. La Corte territoriale avrebbe dovuto disporre, in parziale rinnovazione del dibattimento, perizia per accertare la capacità di stare in giudizio e la capacità di intendere e di volere all’epoca dei fatti; si è limitata invece a far proprie le conclusioni delle due perizie, disposte in primo grado, senza tener conto della loro opinabilttà e senza confutare i rilievi del consulente di parte dr. T., che aveva accertato che il P. difettava della capacità di astrazione, era affetto da encefalopatia degenerativa a partire dai 65 anni; nè ha tenuto conto la Corte del grave e degradato contesto familiare.

Con il secondo motivo denuncia la violazione di legge in relazione all’art. 192 c.p.p., in quanto la Corte di merito avrebbe dovuto mandare assolto l’imputato perchè il fatto non sussiste. La dr.ssa C., chirurgo che aveva operato il minore, sentita a dibattimento, aveva dichiarato che le patologie riscontrate sul paziente erano conseguenti a problemi di stipsi e di alimentazione;

nè erano mai emersi sospetti che tali patologie fossero di altra origine. La Corte territoriale, senza tener conto di tale testimonianza, si è limitata ad osservare, in modo apodittico, che i disturbi riferiti dal medico chirurgo potevano coesistere, nella determinazione delle lesioni, con gli abusi sessuali.

Con il terzo motivo denuncia la violazione di legge in relazione agli artt. 192 e 529 c.p.p., dovendo il capo a) dell’imputazione essere dichiarato improcedibile per difetto di querela, stante l’insussistenza, per le ragioni esposte nel secondo motivo, del reato connesso di lesioni. Nè, come ritiene la Corte, vi sarebbe procedibilità d’ufficio, stante il rapporto genitoriale, dal momento che nell’imputazione non vi è alcun riferimento in proposito.

Con il quarto motivo denuncia la violazione di legge in relazione all’art. 192 c.p.p., non avendo la Corte territoriale, nell’affermare la penale responsabilità dell’imputato, tenuto conto della inattendibilità della parte offesa, del fatto che le dichiarazioni di P.C. avevano come loro fonte la medesima parte offesa, che le cartelle cliniche non sono decisive in quanto le lesioni erano riconducibili a cause diverse, che le dichiarazioni confessorie furono rese dopo una lunga ed estenuante attesa presso gli uffici della p.g..

3) Il ricorso è manifestamente infondato.

3.1) La Corte territoriale ha correttamente ed adeguatamente motivato in ordine alle ragioni che l’hanno indotta ad escludere che il P. fosse incapace di stare in giudizio ed incapace di intendere o di volere all’epoca dei fatti per cui è processo.

Ha ricordato la Corte che entrambi i periti, nominati nel corso del giudizio di primo grado, non avevano rilevato la presenza di concrete e specifiche patologie, riconducibili a cause organiche.

La Corte territoriale ha, altresì, rilevato che la presenza di un semplice stato di ritardo mentale era assolutamente inidoneo a sorreggere l’ipotesi difensiva della incapacità (anche parziale), anche perchè non risultavano nei confronti dell’imputato ricoveri in strutture ospedaliere o altri accertamenti medici che potessero convalidare l’ipotesi difensiva medesima.

Infine, a fronte dell’accertato stato di ritardo mentale lieve, militava l’indiscutibile dato di fatto dell’inserimento dell’imputato, per lunghi anni, in un contesto familiare e sociale, anche se povero e modesto.

La Corte quindi non si è limitata a recepire acriticamente le conclusioni dei periti, avendo, con argomentazioni puntuali e precise, spiegato le ragioni per cui esse andavano condivise, disattendendo quindi, implicitamente quelle del consulente della difesa (peraltro già disattese dai primi giudici e riproposte genericamente con i motivi di appello).

3.2) Quanto al reato di cui al capo b), la Corte territoriale ha ritenuto che la prova dello stesso emergesse dalle dichiarazioni della parte offesa e dalla confessione resa dall’imputato, che collegavano le patologie, che avevano determinato il ricovero nel 2003, ai prolungati abusi sessuali. Si è fatta carico la Corte di esaminare anche la testimonianza del medico chirurgo e con motivazione adeguata e non affetta da palesi illogicità, ha ritenuto che potevano anche sussistere cause concorrenti (individuate dal teste in difficoltà gastrointestinali), le quali non escludevano le riferibilità delle patologie medesime "alle ripetute pratiche di sodomia". 3.3) In ordine alla procedibilità d’ufficio, a prescindere dal fatto che sussistendo il rato concorrente di cui agli art. 582, 585, il delitto di cui all’art. 609 bis c.p. era procedibile d’ufficio a norma dell’art. 609 septies c.p., comma 4, n. 4, ha correttamente rilevato la Corte territoriale che vi era procedibilità d’ufficio anche ai sensi dell’art. 609 septies c.p., comma 4, n. 2. Irrilevante è il mancato richiamo di tale norma, risultando espressamente contestato nell’imputazione il rapporto di parentela (padre-figlio) che determinava l’applicazione della norma stessa e quindi la procedibilità d’ufficio.

3.4) Infine, quanto al merito, la Corte rinviando anche alla sentenza di primo grado, ha, con motivazione esaustiva e logica, esaminato il materiale probatorio, ritenendo che da esso emergesse la prova piena della responsabilità dell’imputato.

Le dichiarazioni accusatorie della persona offesa erano, invero, pienamente attendibili, non potendo esse essere sminuite per il solo fatto della dedotta indole violenta del P.G. e per essere stato il predetto autore di fatti analoghi. Peraltro, ha evidenziato la Corte che tali dichiarazioni accusatorie trovavano conferma in numerosi elementi esterni. Oltre le dichiarazioni "de relato" di P.C. ed i referti medici, a riscontro vi era l’ampia confessione resa dall’imputato che non poteva certo essere inficiata dalla stanchezza e dallo scoramento del momento in cui la rese. Ha osservato, in proposito, la Corte che le dichiarazioni confessorie iniziali furono reiterate e rese alla presenza del difensore e che l’imputato medesimo non le aveva mai ritrattate.

Con il ricorso vengono riproposte le medesime doglianze che si risolvono, sostanzialmente, in una diversa, e non consentita in questa sede, rilettura delle risultanze processuali.

3.5) Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma che pare congruo determinare in Euro 1.000,00 ai sensi dell’art. 616 c.p.p..
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento alla cassa delle ammende della somma di Euro 1.000,00.

Così deciso in Roma, il 26 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2011
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