Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 26-10-2011) 14-12-2011, n. 46322 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Con sentenza, resa in data 20.10.2008, la Corte di Appello di Lecce, sez. dist. di Taranto, confermava la sentenza del &UP del Tribunale di Taranto del 28.2.2006, con la quale Z.C., L. N.A., G.N., C.A. e B. V. erano stati condannati, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche dichiarate equivalenti alle contestate aggravanti, applicata la diminuente per la scelta del rito, alla pena di anni 4, mesi 2 di reclusione ciascuno per i reati di cui agli artt. 110, 605, art. 61 c.p., n. 2-4-5 (capo a) ed all’art. 609 octies, commi 1 e 3, art. 609 ter c.p., n. 2 e 4 (capo b), in danno di C.C., unificati sotto il vincolo della continuazione.

Riteneva la Corte territoriale, condividendo pienamente la motivazione della sentenza di primo grado cui rinviava, che i motivi di appello fossero infondati. La piena attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, che aveva raccontato di essere stata vittima di una violenza di gruppo da parte degli imputati, dopo essere stata costretta a rimanere nell’appartamento di Z.C. e dopo che le erano state fatte assumere sostanze stupefacenti, non era certo scalfita dal ritardo (circa cinque mesi) nella presentazione della denuncia-querela, risultando comprensibile che la medesima avesse cercato di rimuovere la grave violenza subita. La genesi della denuncia, presentata quando la C. aveva appreso di essere rimasta incinta, rivelava la sua assoluta buona fede.

Peraltro, gli imputati non avevano escluso di avere avuto rapporti sessuali con la ragazza, assumendo che la stessa era consenziente.

Le dichiarazioni accusatorie della parte offesa trovavano, poi, riscontro nella testimonianza di D.C.G., al quale la medesima, il mattino successivo, aveva rivelato la violenza subita.

Assumeva, infine, la Corte che non ricorrevano i presupposti per ritenere le già concesse circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle contestate aggravanti, essendo pienamente condivisibili le valutazioni espresse in proposito dal primo giudice.

2) Ricorrono per cassazione tutti gli imputati.

2.1) L.A. e G.N., con ricorsi separati ma dallo stesso contenuto, denunciano, a mezzo del difensore, la mancanza o illogicità della motivazione emergente dal testo della sentenza impugnata.

Nella sentenza della Corte territoriale non vi è traccia di motivazione, se non un generico rinvio alla sentenza di primo grado, in ordine alla dinamica dei fatti ed alla configurabilità dei reati contestati.

Palesemente illogica è poi la motivazione in relazione alla ritenuta attendibilità delle dichiarazioni della parte offesa. Nel mentre si ritengono non contraddittorie tali dichiarazioni, si giustifica poi la contraddittorietà delle stesse con la inconscia predisposizione a rimuovere il ricordo; a parte il fatto che tale volontà di rimozione è incompatibile con le rivelazioni fatte all’amico. La Corte territoriale non ha tenuto conto che le dichiarazioni della parte offesa non sono immuni da sospetto perchè la stessa risulta portatrice di interessi in posizione di antagonismo con quella degli imputati e che essa presenta la denuncia solo a distanza di cinque mesi dopo aver saputo di essere incinta, quando ormai non poteva più negare tale suo stato al ragazzo con il quale aveva una relazione.

Contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di merito, che fa riferimento ad una pluralità di atti di indagini che riscontrerebbero le dichiarazioni della C., vi è solo la testimonianza di D.C.G., che, peraltro, conferma solo parzialmente quelle dichiarazioni; tale testimonianza, piuttosto, doveva indurre i Giudici di appello a ritenere inattendibile la parte offesa, risultando dalla stessa, come riportato nella sentenza impugnata, la evidente intimità che legava lo Z. alla parte offesa e l’assenza degli altri imputati al momento in cui i medesimi si erano incontrati. La Corte, invece, liquida i rilievi sollevati con gli atti di appello, assumendo che non vi era un vero e proprio contrasto tra le due deposizioni. Apodittica è altresì la motivazione in relazione alla testimonianza di D.C. che confutava, palesemente, le dichiarazioni della C..

La persona offesa non poteva, pertanto, essere ritenuta attendibile, come del resto, in tal senso, si era già espresso il Tribunale del riesame.

2.2) B.V., Z.C., C.A., a loro volta, denunciano, a mezzo del difensore, la violazione di legge in relazione all’art. 192 c.p.p., nonchè il difetto e l’illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento e dagli atti istruttori utilizzati per la decisione.

Dagli atti emerge la inattendibilità della C., come già ritenuto dal Tribunale della Libertà; peraltro non vi erano state, dopo l’ordinanza del Riesame, altre attività di indagine, a parte l’incidente probatorio del 13.6.2003, che aveva piuttosto evidenziato ulteriori contraddizioni.

La Corte territoriale non fornisce alcuna spiegazione in ordine ai rilievi sollevati con i motivi di appello, soprattutto in relazione al momento, alle modalità ed alle circostanze in cui la C. si decideva a presentare la denuncia, limitandosi a far riferimento, a giustificazione del ritardo nella presentazione, ad una volontà di rimozione.

Nè la Corte territoriale ha motivato in ordine a tutte le contraddizioni evidenziate dalla difesa. La motivazione è, poi, palesemente illogica in relazione alla valutazione della testimonianza di D.C.G., non risultando dalle stesse dichiarazioni della persona offesa che fosse stata la C. a rivelare all’amico la violenza subita; nè la Corte territoriale tiene conto delle diverse versioni fornite dalla C. in ordine alla gravidanza (in un primo tempo indicava il fidanzato dell’epoca N.T., che, sentito a s.i.t., la smentiva, assumendo di essere rimasto a Trieste da aprile fino a luglio 2002).

Evidenti, altresì, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte, sono le divergenze nelle testimonianze della C. e del D. C..

3) I ricorsi sono infondati e vanno pertanto rigettati.

3.1) Va ricordato preliminarmente che, nell’ipotesi di conferma della sentenza di primo grado, le due motivazioni si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre far riferimento per giudicare della congruità della motivazione.

Allorchè quindi le due sentenze concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella, precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo (cfr. ex multis Cass. sez. 1 n. 8868 del 26.6.2000-Sangiorgi; cfr. anche Cass. sez. un. n. 6682 dei 4.2.1992; Cass. sez. 2 n. 11220 del 13.1.1997; Cass. sez. 6 n. 23248 del 7.2.2003; Cass. sez. 6 n. 11878 del 20.1.2003). La motivazione della sentenza impugnata, quindi, va letta ed esaminata congiuntamente a quella della sentenza di primo grado.

E’ opportuno, altresì, ricordare che il sindacato demandato alla Corte di cassazione è limitato all’accertamento dell’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali.

Esula infatti dai poteri della Corte quello di una "rilettura degli elementi di fatto posti a base della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa e per il ricorrente più adeguata valutazione delle risultanze processuali (Cass. sez. un. n. 06402 del 2.7.1997).

Anche a seguito della modifica dell’art. 606 c.p.p., lett. e), con la L. n. 46 del 2006, il sindacato della Corte di Cassazione rimane di legittimità- la possibilità di desumere la mancanza, contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione anche da "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame", non attribuisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare criticamente le risultanze istruttorie, ma solo quello di valutare la correttezza dell’iter argomentativo seguito dal giudice di merito e di procedere all’annullamento quando la prova non considerata o travisata incida, scardinandola, sulla motivazione censurata (cfr. Cass. pen. sez. 6 n. 752 del 18.12.2006).

Anche di fronte alla previsione di un allargamento dell’area entro la quale deve operare, non cambia la natura del sindacato di legittimità; è solo il controllo della motivazione che, dal testo del provvedimento, si estende anche ad altri atti del processo specificamente indicati. Tale controllo, però, non può "mai comportare una rivisitazione dell’iter ricostruttivo del fatto, attraverso una nuova operazione di valutazione complessiva delle emergenze processuali, finalizzata ad individuare percorsi logici alternativi ed idonei ad inficiare il convincimento espresso dal giudice di merito" (così condivisibilmente Cass. pen. sez. 2 n. 23419/2007-Vignaroli).

Il vizio di prova "omessa" o "travisata" si verifica, quindi, quando da esso derivi una disarticolazione dell’intero ragionamento probatorio ed una illogicità della motivazione sotto il profilo della rilevanza e della decisività.

E’ onere della parte, poi, indicare espressamente nei motivi di gravame gli atti del processo da cui è desumibile il vizio. Tali atti vanno individuati specificamente (non rientrando nei compiti della Corte di legittimità la ricerca nel fascicolo processuale degli stessi), allegati o trascritti integralmente (non è consentita una indicazione "parziale" dell’atto, potendo il denunciato travisamento emergere solo dalla sua lettura integrale). Vanno quindi condivise le precedenti decisioni di questa Corte con le quali si è affermato il principio che "la condizione della specifica indicazione degli altri atti del processo … può essere soddisfatta nei modi più diversi (quali ad esempio, l’integrale riproduzione dell’atto nel testo del ricorso, l’allegazione in copia, l’individuazione precisa dell’atto nel fascicolo processuale di merito) purchè detti modi siano comunque tali da non costringere la Corte di cassazione ad una lettura totale degli atti, dandosi luogo altrimenti ad una causa di inammissibilità del ricorso, in base al combinato disposto dell’art. 581, comma 1, lett. c) e artt. 591 c.p.p." (cfr. Cass. pen. sez. 2 n. 19584 del 5.5.2006). Altra decisione ha, ancora più puntualmente specificato che è onere del ricorrente la individuazione precisa della collocazione degli atti nei fascicolo processuale, ove non siano riprodotti nel ricorso e non siano allegati in copia conforme, sia la dimostrazione che tali atti si trovassero nel fascicolo processuale al momento della decisione del giudice di merito, che infine, di indicazione puntuale della circostanza di fatto asseritamente travisata o non valutata (Cass. pen. sez. 3 n. 12014 del 22.3.2007).

3.1.1) La Corte territoriale, con argomentazioni esenti da evidenti incongruenze o da interne contraddizioni, rinviando anche alla motivazione della sentenza di primo grado, ha ritenuto la piena attendibilità della versione fornita dalla persona offesa.

C.C..

I Giudici di merito hanno fornito, innanzitutto, una spiegazione plausibile al "ritardo" (peraltro nei termini previsti dal legislatore) nella presentazione della denuncia. Già il GUP, dopo aver evidenziato che il provvedimento del Tribunale del Riesame era stato determinato dalla ritenuta inattendibilità della persona offesa per ragioni, benchè non esplicitate chiaramente, derivanti da un suo presunto tentativo di attribuire la paternità del nascituro all’attuale fidanzato, escludeva, sulla base della stessa successione cronologica dei fatti, siffatto sospetto. La C., infatti, che inizialmente non si era accorta dello stato di gravidanza per l’assenza di sintomi, aveva deciso stante la perdurante assenza delle mestruazioni, di sottoporsi ad analisi presso un laboratorio: il test dava esito positivo e l’inizio della gravidanza era stato indicato in circa quarantacinque giorni prima. Come emergeva dalle dichiarazioni di G.V., fidanzato della C. in quel momento, era stata decisa la interruzione della gravidanza con ricorso ad un consultorio, la cui responsabile aveva, però, retrodatato l’inizio della gravidanza medesima a circa 5 mesi prima (cfr. test. G. riportata nella sentenza di primo grado). Sulla base di tali incontrovertibili emergenze assumeva GUP che la C., in assoluta buona fede, aveva ritenuto inizialmente che autore della fecondazione fosse il G. e che soltanto quando acquisì la certezza della "retrodatazione" effettuò il collegamento causale- temporale con la vicenda di cui era rimasta vittima alcuni mesi prima. Sicchè, osservava il GUP, "L’intera condotta della parte offesa obiettivamente valutata, sconfessa ogni tentativo nel senso di utilitaristiche mistificazioni e, nel contempo, evidenzia un ineccepibile rigore logico che si pone quale cornice di una assoluta sincerità". Inoltre, se la C. fosse stata animata da intenti malevoli, si sarebbe determinata ad interrompere la gravidanza in precedenza ed all’insaputa del G.. La assoluta buona fede della ragazza trovava ulteriore conferma nella circostanza che essa diede immediatamente il consenso a che la notizia sulla gravidanza e, soprattutto, sull’epoca della stessa. venisse data alla madre del G., che si trovava nei locali del consultorio, ed a distanza di dieci giorni assunse unilateralmente la decisione di interrompere la relazione in quanto si sentiva "ragazza di strada in quanto nata per strada" e destinata a condurre una vita che "sarebbe stata per strada". Il che escludeva definitivamente che la denuncia della violenza subita fosse finalizzata a "preservare e mantenere" la relazione con il G..

E’ un comportamento questo, come sottolineato anche dalla Corte territoriale, che faceva propria la motivazione della sentenza di primo grado, che rivelava, piuttosto, assoluta spontaneità e linearità. Era, invero, proprio la genesi della denuncia, occasionata dalla "scoperta" della data effettiva di inizio della gravidanza, a rendere evidente che la persona offesa non era mossa da alcun intento persecutorio nei confronti degli imputati o di rivalsa.

Si era determinata, infatti, a presentare la denuncia soltanto quando aveva scoperto che la gravidanza era il frutto della grave violenza subita.

La genesi stessa della denuncia, quindi, da un lato escludeva che essa fosse stata inventata per una sorta di "giustificazione" nei confronti del G. e, dall’altro, che vi fossero intenti ritorsivi, calunniatori o patrimoniali di qualsiasi genere. Il GUP si preoccupava anche di fornire una spiegazione alla ritrattazione della iniziale denuncia di violenza sessuale, con il falso coinvolgimento di tale N.T., che palesemente, essendo la relazione con lo stesso terminata già nell’aprile 2002, non poteva essere (per ragioni temporali) l’autore della gravidanza. Risultava evidente, infatti, che quella ritrattazione era "conseguenza delle reiterate minacce subite dalla sua autrice e dalla madre, nonchè dalla legittima volontà di non rendere di dominio pubblico particolari evenienze".

Il percorso argomentativo dei giudici di merito sul punto si conclude, in modo coerente e logico, nel ritenere l’assoluta irrilevanza del lasso temporale intercorso tra i fatti e la denuncia, dal momento che se non si fosse verificato lo stato di gravidanza la violenza subita non sarebbe mai venuta a conoscenza delle Autorità, "sia per il timore di rappresaglie e sia per la volontà (rectius:

illusione) di cancellare il drammatico momento vissuto" (cfr. sent.

GUP).

La genesi assolutamente casuale e spontanea della denuncia in una ad una narrazione costante e non contraddittoria dei fatti ed all’assenza palese di intenti calunniatori o di rivalsa depongono, quindi, secondo i Giudici di merito, per la piena attendibilità delle dichiarazioni della parte offesa.

E, ad inficiare tale attendibilità, non concorrono certamente incongruenze o contraddizioni su aspetti di contorno o su questioni marginali; nè la mancata indicazione della data esatta del fatto. A tale ultimo proposito evidenziava il GUP che non poteva attribuirsi alcuna valenza a siffatta mancata indicazione, essendo incontestabile, anche alla luce degli assunti difensivi, "la circostanza dell’accesso , in un sabato estivo, della parte offesa in quell’appartamento e la di lei permanenza in un contesto che vedeva presenti tutti gli odierni imputati".

Sotto tale profilo debbono ritenersi ininfluenti i rilievi in ordine alle presunte contraddizioni tra la testimonianza della C. e quelle del D.C. in particolare in ordine alla presenza o meno del solo Z. all’incontro con la ragazza. Come altrettanto irrilevanti sono le dedotte divergenze con la testimonianza di D.C.. A parte il fatto che i Giudici di merito forniscono spiegazioni non illogiche a "piccole discrasie nella narrazione" (pag. 5 sent. app.), rimane il dato incontrovertibile delle dichiarazioni del D.C. il quale confermava che, la mattina seguente, la C. "aveva manifestato con rabbia la volontà di uccidere i cinque imputati perchè la sera precedente, mentre era in compagnia di Z., era stata costretta a subire violenza sessuale da parte dei cinque giovani, alcuni dei quali sopraggiunti in seguito" (cfr. pag. 5 sent. App. e pag. 4 sent. GUP).

Nell’immediatezza, e quindi in epoca non sospetta, la C. rivelava al D.C. la violenza di gruppo subita e la conferma della circostanza da parte del D.C. medesimo costituisce indiscutibile riscontro esterno alle dichiarazioni accusatorie della p.o..

I ricorrenti, attraverso una formale denuncia di contraddittorietà ed illogicità della motivazione, propongonoj sostanzialmente, una diversa lettura delle risultanze istruttorie, peraltro con il richiamo "parcellizzato" (riportando singoli passi delle dichiarazioni) di dette risultanze.

3.1.2) Quanto alla configurabilità dei reati contestati il GUP aveva già rilevato che sussisteva indubitabilmente il reato di sequestro di persona, essendosi la privazione della libertà personale protratta per un tempo apprezzabile e comunque oltre il tempo necessario a commettere il reato di violenza, nonchè tale ultimo reato stante la partecipazione alla violenza medesima, con ruolo attivo di tutti e cinque gli imputati (la C. aveva infatti riferito che tutti contribuirono a denudarla, a bloccarle gli arti inferiori e superiori e poi, a turno, consumarono un rapporto sessuale (pag. 4 e 10 sent. Trib.).

E secondo la giurisprudenza di questa Corte per la configurabilità della violenza sessuale di gruppo, è necessario e sufficiente "la simultanea, effettiva presenza dei correi nel luogo e nel momento della consumazione del reato, in un rapporto causale inequivocabile" (Cass. sez. 1^ n. 15619 del 14.3.2010). Infatti, "In tema di reati sessuali, a seguito dell’avvenuta introduzione del reato di violenza sessuale di gruppo di cui all’art. 609 octies cod. pen., il concorso eventuale di persone nel reato di violenza sessuale è divenuto configurabile solo nelle forme dell’istigazione, del consiglio, dell’aiuto o dell’agevolazione da parte di chi non partecipi materialmente all’esecuzione del reato stesso" (cfr. Cass. pen. sez. 3 n. 42111 del 12.10.2007).
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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