Cass. civ. Sez. I, Sent., 06-07-2012, n. 11423 Accessione invertita; Amministrazione Pubblica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

B.L., con atto di citazione notificato il 18 aprile 1991 al Comune di Cellino Attanasio (TE), chiedeva la condanna di questo al risarcimento del danno per accessione invertita da occupazione di un terreno di circa mq. 2000, in Catasto alla P.ta 3127, F. 8, P.la 180, trasformato in marciapiede-belvedere e il Tribunale di Teramo condannava l’ente locale rimasto contumace, a pagare all’attore a titolo risarcitorio L. 26.760.569, con rivalutazione monetaria e interessi legali dal 1 febbraio 1992 al saldo, oltre alle spese di causa.

L’appello del comune contro tale sentenza ha dedotto che non si era consumato l’illecito per la proroga delle occupazioni legali e chiesto quindi il rigetto della domanda in via principale, in subordine domandando si liquidare il danno ai sensi della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis, affermando che in ogni caso il B. era titolare solo dei 17/90 della superficie e aveva diritto ai danni nella stessa proporzione in caso di accoglimento della domanda.

La Corte d’appello, con sentenza del 4 dicembre 1999, ha rigettato il gravame del comune, condannando l’ente locale alle spese del grado, pronunciandosi in tal modo dopo il decesso dell’appellato, cui erano subentrati in giudizio gli odierni controricorrenti.

La Corte di merito ha ritenuto non automatiche le proroghe legali ed ha negato che all’azione di risarcimento fosse applicabile la L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis, non trattandosi di aree edificabili; comunque l’ente locale, con il suo appello, aveva solo chiesto di liquidare i danni con il criterio di cui alla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis, senza censurare la misura del valore di mercato del bene e delle somme liquidate in primo grado, per cui l’impugnazione era da respingere con condanna del comune alle spese del grado.

Su ricorso del Comune di Cellino Attanasio, questa Corte con sentenza del 14 giugno 2002, rilevato che non emergeva dalla decisione la natura agricola o edificabile delle aree occupate e che quindi, in astratto, poteva anche applicarsi la L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis, in caso di accertata edificabilità urbanistica delle aree stesse, cassava la decisione perchè si accertasse se era applicabile tale norma, rinviando la causa alla Corte d’appello di Perugia.

Tale Corte, in sede di rinvio, con la sentenza di cui in epigrafe, dopo aver rilevato che la Suprema Corte aveva condizionato alla eventuale natura edificabile delle aree non emergente dalla sentenza impugnata per cassazione, la fondatezza dell’impugnazione in appello del Comune, da negare in caso di natura agricola dei terreni occupati, ha ritenuto sussistere tale carattere di questi ultimi ed ha escluso la applicabilità della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis, relativo solo ad aree urbanisticamente edificabili.

Negata l’applicabilità dei criteri di cui alla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis e rilevato che, sulla valutazione unitaria e complessiva delle aree occupate, non vi era stata censura dell’ente locale, la Corte di merito ha ritenuto coperta dal giudicato la questione della misura della proprietà dei B. effettivamente occupata e trasformata, affermando che il terreno era interamente di proprietà dell’attore in primo grado e ritenendo quindi corretta la valutazione dell’area acquisita illecitamente dall’ente locale.

In sede di rinvio si è quindi confermata la decisione del Tribunale, rigettando il gravame del comune condannato alle spese dell’appello e di cassazione e del giudizio di rinvio.

Per la cassazione della sentenza che precede notificata il 31 ottobre 2005, a cura degli eredi di B.L. deceduto nelle more, al Comune di Cellino Attanasio, quest’ultimo ha proposto ricorso di tre motivi notificato il 28 dicembre 2005, cui resistono detti eredi D., P., I., M.T. e B.A., con controricorso notificato il 4 febbraio 2006.
Motivi della decisione

1.1. Il primo motivo di ricorso denuncia violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per errori in iudicando, e disapplicazione dei criteri di liquidazione del risarcimento del danno da occupazione acquisitiva oltre che per difetto di motivazione su punto decisivo della controversia e travisamento della relazione del c.t.u..

La sentenza è errata nella parte in cui afferma la congruità della valutazione dei terreni da parte del c.t.u., che non ha fornito gli elementi per i quali è pervenuto a valutare i terreni occupati Euro 1,55 a mq., affermando di avere applicato il metodo sintetico comparativo di valutazione con un generico richiamo a "indagini effettuate in ambito omogeneo" e pervenendo in tal modo all’indicato valore al 1988.

Non vi è traccia nell’elaborato del c.t.u. ai riferimenti per i quali egli perviene all’indicato prezzo unitario di mercato; nè il tribunale nè la Corte di appello hanno indicato le ragioni per cui è corretta la valutazione operata dei terreni del B. oggetto di occupazione illecita.

La motivazione della sentenza impugnata in ordine al prezzo di mercato ritenuto congruo per liquidare il risarcimento del danno, è insufficiente ed illogica e deve, per tale ragione, essere riformata.

Ad avviso del Comune di Cellino Attanasio non è condivisibile l’affermazione della Corte d’appello che l’ente locale avrebbe implicitamente riconosciuto la congruità del valore di mercato del terreno servito per liquidare il risarcimento del danno.

L’ente locale afferma in ricorso che, già nelle conclusioni del giudizio di appello, essendo stato contumace in primo grado, esso aveva chiesto di dichiarare "errato il criterio di determinazione del risarcimento del danno e, quindi, di liquidare l’indennizzo sulla base dei criteri fissati dal D.L. n. 333 del 1992".

Con tali conclusioni, secondo l’ente locale, era da negare ogni sua acquiescenza sulla congruità della liquidazione del dovuto, avendo esso contestato la sentenza di primo grado "anche sotto il profilo del quantura debeatur".

Anche nell’appello in sede di rinvio l’ente locale aveva chiesto di nominare un nuovo c.t.u. per rideterminare il dovuto "sul presupposto che l’operazione di calcolo eseguita in primo grado non corrisponda a quella prescritta per le zone agricole" e chiedendo l’annullamento della sentenza del Tribunale di Teramo e la rinnovazione delle operazioni di consulenza per accertare il valore venale delle aree occupate.

1.2. Con il secondo motivo di ricorso, denunciando violazione delle stesse norme indicate nel primo motivo, si lamenta dal Comune di Cellino Attanasio che l’incarico al c.t.u. era stato quello di descrivere l’area occupata per effetto del decreto autorizzatorio del 26 marzo 1988, emergendo quindi che si erano trasformati mq. 1.100 e 1.700, come indicato invece nel piano di esproprio, per cui doveva corrispondersi a titolo risarcitorio, con un valore unitario di Euro 1,55 a mq. (circa L. 3000), la somma complessiva di L. 3.300.000 ovvero di L. 5.100.000 in rapporto alle dimensioni dei terreni che precedono e non quella di Euro 8.946,06, che copre il valore della intera proprietà del B. di mq. 24.870.

Il comune giustifica il ritardo con cui ha prospettato la questione solo con il presente secondo ricorso, per il fatto che il Tribunale di Teramo ha liquidato il dovuto in base alla differenza di valore dei suoli B. prima e dopo l’accessione invertita in analogia con quanto previsto per l’ipotesi di espropriazione parziale.

1.3. Il terzo motivo di ricorso censura la violazione dell’art. 91 c.p.c. in rapporto all’art. 360 dello stesso codice di rito, perchè il giudice del rinvio ha condannato l’ente locale alle spese anche del giudizio di cassazione in cui esso era stato vincitore, avendo rilevato il giudice di legittimità l’esigenza di applicare l’art. 5bis, sia pure condizionatamente al caso della natura edificabile delle aree occupate, anche se in sede di rinvio si è accertata la natura agricola delle stesse e la connessa irrilevanza dell’articolo da ultimo citato.

2. I primi due motivi di ricorso sono inammissibili e il terzo è infondato.

2.1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile per la parte in cui denuncia errori di fatto invece che di diritto e chiede nuove valutazione di merito in sede di legittimità o pone questioni nuove, già risolte e coperte dal giudicato.

Da esso stesso emerge che, per la prima volta in questa sede, l’ente locale censura la determinazione del valore venale delle aree acquisite con la costruzione del marciapiede-belvedere su un terreno non edificabile dei B., per cui è corretta la determinazione operata del risarcimento del danno con il valore venale delle aree acquisite e il deprezzamento subito da quelle rimaste ai B. per detta trasformazione parziale.

2.2. Si chiede a questa Corte di rilevare che la sentenza della Corte d’appello, in sede di rinvio, erroneamente rileva che la esattezza e congruità della valutazione delle aree occupate non era stata censurata in precedenza dall’ente locale che, con il richiamo a censure che non contestano il prezzo unitario e la perdita complessiva subita dai B., conferma tale assunto e la novità della deduzione con la presente impugnazione da dichiarare sul punto quindi preclusa.

Tale inammissibilità assorbe la dedotta insufficiente o omessa indicazione dei titoli di comparazione per la determinazione del valore di mercato dell’area, avendo il comune in precedenza censurato solo il "criterio di determinazione del risarcimento del danno", chiedendo di applicare il criterio previsto all’epoca per le aree edificabili dalla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis, essendo i terreni, come l’ente locale non poteva non sapere, in zona agricola.

Entro tali limiti si è in passato impugnata la sentenza anche per la liquidazione del risarcimento, senza però contestare le conclusioni del consulente tecnico di ufficio sul valore di mercato a mq. e su quello complessivo dei terreni acquisiti.

Per la prima volta, con il ricorso in questa sede, si deduce che la valutazione operata sarebbe molto superiore a quella reale, perchè avrebbe riguardato l’intera area dei B., di mq. 24.870 e non i mq. 1.100 o 1.700 effettivamente acquisiti con l’opera realizzata, come emerge incontestatamente dalla sentenza del tribunale di Teramo sul punto confermata da quella della Corte de L’Aquila, con rilievo di giudicato.

In ogni caso il Comune con il primo motivo di ricorso denuncia errori di fatto mai dedotti in precedenza e della cui sussistenza può dubitarsi in ragione del criterio applicato per liquidare le perdite subite, che si fonda sui principi di cui alla L. n. 2359 del 1865, art. 40, determinando il danno da risarcire nella differenza tra il valore del terreno, prima e dopo l’opera che lo ha occupato e trasformato, come dedotto dallo stesso ente locale che dichiara di essersi ingannato in precedenza nella questione, anche a causa di tale metodo di accertamento del pregiudizio.

2.3. Il terzo motivo di ricorso è infondato, apparendo chiaro, che la disciplina delle spese si fonda sull’esito finale del giudizio e che, comunque, nel caso, la pretesa vittoria in cassazione del Comune di Cellino Attanasio era condizionata alla natura edificabile dell’area, che tale sì è accertato non era in base agli strumenti urbanistici che l’ente locale non poteva non conoscere.

3. In conclusione, il ricorso deve quindi rigettarsi e, per la soccombenza, il ricorrente dovrà rimborsare le spese del presente giudizio di cassazione ai controricorrenti nella misura di cui in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 2.700,00 (duemilasettecento), di cui Euro 2.500,00 (duemilacinquecento) per onorari ed Euro 200,00 (duecento) per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 6 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2012

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