Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 21-10-2011) 14-12-2011, n. 46491 Costruzioni abusive Sequestro preventivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il presente procedimento concerne il sequestro preventivo del centro commerciale XX, sito in (OMISSIS), in relazione al reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b), che si ascrive agli amministratori della società XX s.r.l., ed ai progettisti e direttori dei lavori.

Il provvedimento genetico, adottato dal G.i.p. del Tribunale di Teramo il 15.03.2010, era stato confermato dal Tribunale di Teramo in data 15.04.2010; la Suprema Corte, con sentenza del 26.01.2011, ha annullato con rinvio la richiamata ordinanza del Tribunale di Teramo;

ed il Tribunale, decidendo nuovamente sul riesame, con ordinanza in data 5.5.2011, ha rigettato il gravame, confermando il provvedimento originariamente impugnato.

Il Tribunale di Teramo, in sede di rinvio, ha considerato che agli indagati si contesta di avere eseguito opere edilizie sulla base di "titoli illegittimi" perchè contrastanti con gli strumenti urbanistici, ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b);

ciò in quanto il complesso edilizio realizzato presenta una superficie utile doppia rispetto a quella realizzabile. Il Collegio ha osservato che nelle more del presente procedimento incidentale è stato disposto il rinvio a giudizio degli indagati, ai quali si contesta, altresì, il delitto di cui all’art. 481 cod. pen., per avere formato falsi elaborati progettuali allegati alla convenzione tra comune e privato; ed il delitto di cui agli artt. 48 e 479, cod. pen., per avere indotto in errore gli organi amministrativi comunali che rilasciavano, erroneamente, il permesso di costruire n. 65/2005, in favore della Grillo Centro Affari s.r.l., ivi attestando falsamente la conformità dell’erigendo fabbricato alla vigente disciplina urbanistica.

Il Collegio ha evidenziato che la contestazione relativa al falso ideologico in certificazione ed al falso ideologico indotto consente di ritenere inesistente il titolo abilitativo concessorio; ed ha rilevato che sussiste difformità dell’opera edilizia come realizzata ed i titoli concessori che l’hanno consentita, in relazione al complesso degli strumenti urbanistici che quel permesso conformano e delimitano.

2. Avverso l’ordinanza del Tribunale di Teramo hanno proposto ricorso per cassazione A.G. e P.M., a mezzo del difensore, deducendo primieramente la violazione di legge, in relazione all’art. 627 c.p.p., comma 3, nella quale è incorso il Tribunale di Teramo nel giudicare, in sede di rinvio a seguito di annullamento disposto dalla Suprema Corte, con riguardo all’accertamento del fumus commissi delicti e del periculum in mora.

In particolare, i ricorrenti rilevano che il Tribunale ha confuso le nozioni di illegittimità ed illiceità; ha travisato i fatti emersi in sede istruttoria; ha sovrapposto la valutazione del giudice penale a quella della Pubblica Amministrazione, la quale, in via di autotutela ha disposto l’annullamento parziale del precedente permesso di costruire. Oltre a ciò, secondo gli esponenti, il Tribunale avrebbe disconosciuto i principi di tipicità e legalità degli atti amministrativi, come pure erroneamente assegnato rilevanza ai nuovi capi di imputazione. Le parti denunciano anche la violazione di legge, in tema di onere probatorio.

Nel ricorso si evidenzia che la Suprema Corte, nella fase rescindente del giudizio, aveva chiarito: – che l’accertamento del fumus del reato da parte del Tribunale del riesame, quale requisito per la conferma della misura cautelare reale, deve avere ad oggetto la individuazione di elementi concreti, che integrano la fattispecie sulla quale indaga la pubblica accusa, sia pure secondo le prospettazioni di quest’ultima, e che non può essere limitato alla enunciazione del paradigma normativo, nè alla indicazione di elementi meramente ipotetici; – che il Tribunale del riesame, nel verificare i presupposti per l’adozione di una misura cautelare reale, non può avere riguardo alla sola astratta configurabilità del reato, dovendo valutare, sia pure nell’ambito di un accertamento sommario, tutte le risultanze processuali, e quindi non solo gli elementi probatori offerti dalla pubblica accusa ma anche le confutazioni e gli elementi offerti dagli indagati che possano avere influenza sulla configurabilità e sulla sussistenza del "fumus" del reato contestato; – che la totale mancanza di motivazione, come pure la motivazione soltanto apparente, derivante dall’omessa valutazione delle deduzioni dell’istante per il riesame, integrano l’ipotesi di violazione di legge ex art. 125 cod. proc. pen., comma 3.

Ritengono le parti che il Tribunale di Teramo, anzichè uniformarsi ai richiamati principi, abbia perseverato nell’errore, riferendosi a fatti meramente ipotetici; e, con riguardo al requisito del periculum, che abbia richiamato circostanze insussistenti, indimostrate ovvero irrilevanti sul piano della cautela.

Osservano gli esponenti che nel caso non sussistono esigenze cautelari; che il complesso di cui si tratta è completato; e che l’amministrazione comunale, con provvedimento in data 24.10.2010, ha proceduto all’annullamento parziale del permesso di costruire n. 65/2005, esercitando i poteri ad essa spettanti in materia di repressione dell’abusivismo edilizio.

Ritengono, inoltre, che l’eventuale illegittimità del procedimento amministrativo propedeutico alla realizzazione dell’intervento edilizio rileva unicamente in sede amministrativa.

Nel ricorso si assume che nell’ambito della valutazione afferente al fumus risulti ininfluente l’avvenuta integrazione dei capi di imputazione in sede di rinvio a giudizio. E ritengono che il Tribunale abbia omesso di fare riferimento agli elementi concreti sui quali si fondano le nuove ipotesi accusatone di falso ideologico in certificazione e di induzione in errore degli organi comunali. Le parti osservano che il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. b), sanziona l’esecuzione di lavori in assenza di permesso; e rilevano che nel caso di specie le opere erano state assentite, con il permesso di costruire n. 65/2005, previa variante urbanistica approvata con deliberazione n. 80/2003, che aveva modificato, in aumento, la superficie edificabile.

I ricorrenti considerano che gli esiti del procedimento amministrativo – intervenuto rilascio della concessione edilizia, a seguito dell’approvazione del progetto di lottizzazione e di stipula dell’apposita convenzione – escludono la sussistenza di alcun profilo di colpevolezza a carico degli indagati; e ritengono che le tavole progettuali, ove risultava indicata le reale entità delle superfici delle opere da realizzare, non siano state adeguatamente esaminate degli organi della amministrazione locale.

Gli esponenti rilevano poi che risultano irrilevanti le considerazioni svolte dal Tribunale in sede di rinvio, circa l’illegittimità del piano particolareggiato, del piano di lottizzazione, come pure alla intervenuta sospensione e reiezione delle denunzia di inizio attività; e considerano che il complesso immobiliare è stato realizzato in conformità ai titoli rilasciati dall’Ente locale.

Con riguardo al periculum le parti considerano non rilevante l’assenza del certificato di agibilità, diversamente da quanto sostenuto dal Tribunale; e rilevano che se del caso l’evenienza neutralizza le esigenze cautelari, escludendo la alienabilità dell’immobile. Osservano del pari la non incidenza della mancanza di collaudo e contestano l’asserita insostenibilità del carico urbanistico, evenienza solo presunta dal Tribunale. Osservano gli esponenti che erroneamente il Tribunale ha ritenuto sussistente un rapporto identitario tra la ditta Pierantozzi esecutrice dei lavori e l’amministratore della società Grillo Centro Affai srl, P. M.. Le parti rilevano che il Tribunale ha pure strumentalizzato le dichiarazioni rese dal coindagato D.F. E., circa la richiesta, rivolta dai proprietari ai tecnici, di raddoppiare la superficie utile nelle tavole progettuali.

Infine, le parti considerano che il Tribunale, in sede di rinvio, abbia disatteso lo schema di motivazione indicato nella sentenza di annullamento; rilevano che il medesimo Tribunale ha omesso di considerare che il Comune interessato aveva approvato una variante urbanistica che permetteva di modificare l’originario piano particolareggiato; e ribadiscono che le planimetrie ed i progetti descrivono fedelmente il complesso da realizzare.
Motivi della decisione

3. Il ricorso è infondato, per le ragioni di seguito esposte.

3.1. Giova primieramente rilevare che la giurisprudenza di questa Suprema Corte ha chiarito che in tema di riesame delle misure cautelari reali, nella nozione di violazione di legge per cui soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell’art. 325 cod. proc. pen., comma 1 rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di una motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma non l’illogicità manifesta, che può denunciarsi in sede di legittimità soltanto tramite lo specifico ed autonomo motivo di ricorso di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 7472 del 21/01/2009, Rv. 242916).

Nel caso di specie, di converso, il ricorso che occupa involge in realtà il tema della conferenza della motivazione dell’ordinanza impugnata, tanto da porsi ai limiti della inammissibilità.

E’ poi appena il caso di rilevare che, se è vero che in sede di riesame dei provvedimenti che dispongono misure cautelari reali, al giudice sono preclusi sia l’accertamento del merito dell’azione penale sia il sindacato sulla concreta fondatezza dell’accusa, è pure vero che il giudice deve operare un attento controllo sulla base fattuale del singolo caso concreto, secondo il parametro del fumus (così Cass., Sez. 1, 11 maggio 2007 n. 21736, Citarella, Rv. 236474, che richiama Corte Costituzionale, ord. n. 153 del 2007), tenendo conto (Cass., Sez. 4, 29 gennaio 2007, n. 10979, Veronese, Rv.

236193) delle concrete risultanze processuali e della effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti. Per l’applicazione delle misure cautelari reali è sufficiente e necessaria, cioè, la sussistenza del fumus commissi delicti, ovvero una verifica delle risultanze processuali che consenta di ricondurre alla figura astratta del reato contestato la fattispecie concreta e renda plausibile un giudizio prognostico negativo per l’indagato (Cass. Sez. 1, sentenza n. 1415 del 16.12.2003, dep. 20.01.2004, Rv.

226640).

3.2 Orbene, a tali coordinate interpretative sembra essersi attenuto il Tribunale di Teramo, nella fase rescissoria del giudizio, in osservanza dei principi di diritto affermati da questa Suprema Corte, con la sentenza in data 26.01.2011. La Suprema Corte, con la richiamata sentenza, aveva rilevato quanto segue: "Orbene, nel caso in esame non è dato comprendere sulla base di quali elementi il Tribunale del riesame ha ritenuto configurabile il fumus del reato per il quale è stata disposta la misura cautelare, in quanto la individuazione degli elementi concreti, che dovrebbero integrare la fattispecie per la quale si procede, viene rinviata all’esito delle ulteriori indagini ed alla conseguente formulazione dell’accusa;

accusa che invece deve essere individuata in termini concreti per giustificare la misura cautelare.

Il Tribunale doveva inoltre valutare compiutamente le deduzioni difensive dei ricorrenti ed a maggior ragione le risultanze dell’elaborato peritale del C.T. del P.M. di cui non si da affatto conto, se non in termini generici ritenuti conferenti con l’ipotesi accusatoria.

Anche con riferimento alla individuazione delle esigenze cautelari l’ordinanza risulta vaga, venendo riferita la stessa argomentazione sia ai fabbricati già costruiti che a quelli ancora da costruire, mentre è ben diversa la valutazione del periculum in mora nell’ipotesi in cui si tratti di immobile già ultimato, nel qual caso occorre valutare le ulteriori conseguenze derivanti dall’uso dello stesso, e, cioè, la concreta incidenza sul carico urbanistico derivante da detto uso, e nel secondo la necessità di impedire la prosecuzione dell’attività ritenuta illecita. L’ordinanza impugnata deve essere, pertanto, annullata con rinvio per un nuovo esame che tenga conto dei principi di diritto e dei rilievi che precedono".

Nel procedere alla ricostruzione del procedimento che ha condotto al rilascio del permesso di costruire n. 65/2005, il Tribunale del riesame ha, invero, evidenziato che anche la variante al piano particolareggiato era stata approvata – con Delib. n. 80 del 2003 – sul presupposto che la stessa variante non comportasse alcuna deroga agli standard urbanistici previsti dal piano regolatore generale. Il Collegio ha poi rilevato che l’intero terreno, sul quale ricadono le opere, misura mq, 41.015; e che, sulla base della indicazione contenuta nel progetto relativa alla "Superficie lorda di pavimento del progetto", voce che contiene un dato quasi doppio rispetto a quello massimo assentibile, il permesso di costruire risulta contrastante con le norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale (art. 35).

Il Tribunale del riesame ha considerato che nei progetti sopra richiamati non sono state indicate le superfici utili di tutti i piani, ma solo quella del piano terra; e che in tal modo si è ottenuta una ampia eccedenza di superfici utili, pure nel rispetto della volumetria massima consentita; ed ha osservato che lo stesso Architetto M., responsabile Area 3^, con nota del 10.08.2009 aveva osservato che nel progetto in oggetto vi era una incongruenza nel calcolo delle superfici utili.

3.2.1 Come si vede, il Tribunale del riesame ha compiuto un analitico esame degli elementi concreti sui quali si fondano le accuse elevate agli esponenti. E giova, al riguardo, evidenziare che questa Suprema Corte ha chiarito che la modifica dell’addebito cautelare, intervenuta nelle more del procedimento di riesame, non impedisce al Tribunale di confermare la misura coercitiva, in riferimento alla nuova ipotesi accusatoria; ciò in quanto, nella fase delle indagini preliminari, la contestazione è sempre in evoluzione, per cui il pubblico ministero può legittimamente integrare le imputazioni ed il provvedimento cautelare, conseguentemente, deve essere adeguato alle intervenute vicende dell’accusa. Con specifico riferimento al procedimento di riesame, la Corte regolatrice ha quindi chiarito che il Tribunale può anche confermare il provvedimento cautelare impugnato per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione originaria (Cass. Sezione 2, sentenza n. 35356, del 26.05.2010, dep. 30.09.2010, Rv. 248399).

3.3 Tanto chiarito, deve poi rilevarsi che la concreta valutazione effettuata dal Tribunale di Teramo, nell’apprezzamento del fumus, rispetto ai reati in addebito, risulta pienamente legittima. Al riguardo, occorre considerare che la giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito l’ambito di configurabilità dei reati edilizi, pur in presenza di un titolo abilitativo. Le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione hanno, infatti, affermato che la contravvenzione di lottizzazione abusiva si configura come reato a consumazione alternativa, potendo realizzarsi sia quanto manchi un provvedimento di autorizzazione "sia quando quest’ultimo sussista ma contrasti con le prescrizioni degli strumenti urbanisitici, in quanto grava sui soggetti che predispongono un piano di lottizzazione, sui titolari di concessione, sui committenti e costruttori l’obbligo di controllare la conformità dell’intera lottizzazione e delle singole opere alla normativa urbanistica e alle previsioni di pianificazione" (Cass. Sez. U, sentenza n. 5115 del 28.11.2001, dep. 8.02.2002, Rv.

220708; si veda anche, Cass. Sez. U sentenza n. 11635 del 12.11.1993, dep. 21.12.1993, Rv. 195359).

Pertanto, del tutto legittimamente, il Tribunale del Riesame, nel valutare il requisito del fumus, ha proceduto ad esaminare la conformità delle opere rispetto alla normativa urbanistica generale.

E, in tale ambito valutativo, ha considerato che il piano attuativo non può derogare rispetto ai limiti massimi previsti nel piano regolatore generale, atteso che tali varianti andrebbero approvate con la stessa procedura prevista dal piano originario, L. n. 1440 del 1942, ex art. 10, dunque nelle forme della variante al piano regolatore generale, che richiede l’approvazione da parte della Regione. Il Collegio ha, inoltre, evidenziato che non è consentito al piano particolareggiato di dettare disposizioni derogatorie, atteso che la L.R. n. 18 del 1983, art. 20, comma 8, non prevede che le variazioni possano riguardare i parametri urbanistici, che vengono in rilievo nel caso di specie.

3.4 Del pari legittime risultano le osservazioni concernenti il periculum; in argomento, il Tribunale ha osservato che il sequestro preventivo di cose pertinenti al reato può essere adottato anche nel caso di ipotesi criminosa già perfezionatasi; ed ha rilevato che, nel caso che occupa, il sequestro è stato limitato alla superficie eccedente di pavimento, per la quale non sono stati rilasciati i certificati di agibilità. Il Collegio ha pure considerato che il sequestro previene il verificarsi dell’illecito amministrativo, di cui all’art. 221 T.U. leggi sanitarie, ove è previsto il divieto di abitare edifici sforniti del certificato di agibilità.

Oltre a ciò, il Tribunale ha evidenziato che l’intero complesso non risulta ancora ultimato; che non è mai stato effettuato il relativo collaudato; e che il carico urbanistico derivante dall’utilizzo dei locali commerciali abusivamente realizzati, pari al doppio di quello ammissibile, risulta insopportabile per la realtà territoriale di cui si tratta. Occorre poi evidenziare che la Suprema Corte ha chiarito che il pericolo concreto, posto a base del sequestro preventivo di un manufatto abusivo, non viene meno per l’intervento dell’ordine di sospensione dei lavori impartito dalla pubblica amministrazione; ciò in quanto tale provvedimento non costituisce atto idoneo a far cessare le esigenze alle quali è finalizzata la cautela reale, in quanto è revocabile dalla stessa amministrazione, è caratterizzato da efficacia provvisoria e temporalmente determinata (Cass. Sezione 3, sentenza n. 1340 del 20.03.1996, dep. 22.04.1996, Rv. 204760).

Il Tribunale ha pure osservato che il sequestro è stato adottato per soddisfare le finalità special preventive di cui all’art. 321 c.p.p., comma 1, e non in funzione della successiva confisca del bene, di talchè risulta irrilevante che il manufatto insista anche su terreni di proprietà di terzi. Sul punto, è appena il caso di evidenziare che le considerazioni svolte dal Tribunale, in ordine al ruolo svolto dai proprietari delle aree, rispetto ai fatti che occupano, si qualificano come argomenti di chiusura, rispetto ad un conferente percorso argomentativo, ex se idoneo a giustificare la sussistenza del periculum.

4. Al rigetto del ricorso segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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