Cass. civ. Sez. I, Sent., 06-07-2012, n. 11415 Adozione, Dichiarazione di adottabilità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso del 26.2.2011 M.S. proponeva impugnazione avverso la sentenza del 13.1.2011, con la quale il Tribunale per i Minorenni di Trento aveva dichiarato la nullità del procedimento all’esito del quale era stata dichiarata l’adottabilità della figlia minore M.M.F.Z., e contemporaneamente aveva dichiarato nuovamente l’adottabilità della stessa.

Nel giudizio culminato con la sentenza di cui era stato dichiarato il detto annullamento si erano costituiti i coniugi A.P. e K.R., ai quali la minore era stata affidata in applicazione dell’istituto della "Kafalah" e che si erano opposti all’apertura del procedimento di adottabilità, rinnovando altresì la sollecitazione all’accoglimento della loro originaria richiesta di adozione.

La detta istanza era stata tuttavia disattesa dal Tribunale per i Minorenni, con statuizione che veniva poi ulteriormente confermata in sede di gravame.

Successivamente M.S., proponendo opposizione di terzo e denunciando vizi del procedimento, aveva chiesto la revoca dello stato di adottabilità della minore, rilievi condivisi dal tribunale che tuttavia, dichiarata la nullità del procedimento, aveva poi confermato nel merito la precedente statuizione.

Anche tale decisione veniva però impugnata e quindi ulteriormente confermata dalla Corte di Appello sezione per i minorenni di Trento, che sui diversi punti sottoposti al suo esame segnatamente rilevava:

a) come l’annullamento della sentenza da parte del giudice investito dell’opposizione di terzo non richiedesse l’apertura di un nuovo procedimento e come viceversa fosse legittima una nuova pronuncia sostitutiva della prima; b) come nel merito fosse emerso che la M. avesse voluto cedere agli A. la propria figlia in via definitiva e che solo in un secondo momento avesse affiancato la posizione di questi ultimi per far valere i propri diritti di madre, e ciò benchè la minore fosse inserita in una nuova famiglia con affidamento preadottivo ed il soddisfacimento del suo interesse deponesse nel senso che dovesse essere evitato un suo allontanamento dal nuovo nucleo familiare.

Avverso la decisione M.S. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso la minore M.M.F.Z..

La controversia veniva quindi decisa all’esito dell’udienza pubblica del 21.5.2012.
Motivi della decisione

Con i motivi di impugnazione la ricorrente ha rispettivamente denunciato: 1) violazione dell’art. 101 c.p.c., artt. 24, 111, 29, 30 Cost., art. 2909 c.c., L. n. 184 del 1983, artt. 1, 8, 10 e vizio di motivazione, atteso che: l’annullamento del procedimento di adottabilità avrebbe reso inutilizzabili gli accertamenti svolti in tale fase; la relativa statuizione sarebbe passata in giudicato e non sarebbe dunque più contestabile; l’accertamento dello stato di adottabilità andrebbe riferito al momento conclusivo del procedimento, e non a quello della presentazione del ricorso; il rappresentato giudizio della Corte circa le pretese intenzioni della ricorrente in ordine alla collocazione della figlia sarebbe espressione di valutazioni personali del giudicante; pur se ipoteticamente fondato il detto giudizio, lo stesso sarebbe viziato per l’omessa considerazione del diritto del minore ad essere allevato dai genitori; l’eventuale migliore sistemazione del minore presso la famiglia affidataria rispetto a quella di origine sarebbe comunque irrilevante; l’avvenuto ricorso all’istituto della "kafalah" escluderebbe in radice l’astratta configurabilità dello stato di abbandono della minore;

2) violazione dell’art. 18 del Codice della famiglia della Repubblica democratica popolare di Algeria e dell’art. 20 Conv. New York, per il fatto che secondo la legge algerina l’affidamento della minore poteva avvenire solo in favore di appartenente alla religione musulmana e comunque, nella scelta della protezione sostitutiva da assicurare al minore, il giudice dovrebbe tener debito conto anche della religione del fanciullo, circostanza che renderebbe controindicato l’affidamento a famiglia di religione diversa da quella musulmana, quale sarebbe quella designata nella specie.

Con i primi due profili di censura rappresentati nel primo motivo di impugnazione la ricorrente ha sostanzialmente lamentato che la dichiarata nullità del procedimento di adottabilità della minore avrebbe precluso l’esame degli accertamenti svolti in tale sede.

Il rilievo non può essere condiviso.

Ed infatti, premesso che nella specie la M. ha proposto opposizione di terzo in ragione del pregiudizio subito per effetto della sua mancata partecipazione al precedente giudizio instaurato per la dichiarazione di adottabilità di M.F.Z., si osserva che, come questa Corte ha già avuto modo di precisare, nel caso di opposizione di terzo del litisconsorte pretermesso le fasi rescindente e rescissoria si svolgono davanti allo stesso giudice, che con una sola decisione emette pronuncia sostitutiva (C. 83/4896) e la detta decisione ben può essere basata anche su prove raccolte nel precedente giudizio, ove siano tali da integrare gli estremi necessari a dare dimostrazione dei fatti controversi (C. 00/5126, C. 71/2059).

Alla stregua dunque dei sopra richiamati principi è da ritenere che correttamente il Tribunale per i Minori (presso il quale il giudizio era stato riassunto a seguito di declaratoria di incompetenza della Corte di Appello), superata la fase rescindente, abbia giudicato in sede rescissoria sulla domanda della M. ed abbia quindi utilizzato, per la finalità indicata, gli elementi probatori precedentemente acquisiti.

La ricorrente ha tuttavia sostenuto l’erroneità della decisione oggetto di esame, in ragione del fatto che la nullità sarebbe stata dichiarata dal tribunale (e quindi confermata dalla Corte di Appello) con riferimento all’intero procedimento, circostanza questa che avrebbe dato luogo all’affermata preclusione.

La prospettazione non può essere condivisa, atteso che gli effetti riconducibili alla detta declaratoria non sono quelli indicati dalla ricorrente.

Ed invero il parametro valutativo adottabile al fine di stabilire l’utilizzabilità o meno degli atti posti a base della contestata decisione va individuato in ragione della corretta applicazione delle norme di rito che regolano il procedimento in corso e cioè, per quanto interessa in questa sede, quelle vigenti per il giudizio davanti al Tribunale per i Minorenni.

Nella specie, viceversa, la ricorrente non solo non ha formulato alcuna riserva sotto il profilo indicato, ma non ha neppure indicato quali sarebbero gli atti di cui si assume l’illegittima considerazione (apparentemente identificabili, secondo quanto ricavabile dalla lettura della sentenza e dei due atti di parte, in relazioni dei servizi sociali e di consulente tecnico), sicchè la doglianza risulta viziata anche sul piano dell’autosufficienza.

Per di più la censura appare carente pure sotto altro aspetto, vale a dire per il fatto che la ricorrente non ha operato alcun riferimento a vizi attinenti alle modalità di formazione della prova.

Più precisamente la M. aveva fondatamente denunciato la nullità della prima sentenza emessa dal tribunale per i Minori (poi confermata in sede di gravame) per la sua mancata partecipazione al giudizio nonostante la sua qualità di litisconsorte necessario.

La denuncia dunque relativa alla inopponibilità a sè degli elementi probatori precedentemente acquisiti avrebbe dovuto trovare fondamento, da un punto di vista prettamente sostanziale, sulla lesività dell’atto derivante dal mancato esercizio del diritto di difesa, nel senso che l’atto si sarebbe formato in modo diverso, ovvero ne sarebbe stata contrastata l’allegazione ove si fosse trattato di acquisizione di atto già definito, se il litisconsorte necessario avesse avuto modo di partecipare al giudizio.

Nulla ha invece dedotto la M. al riguardo e pertanto anche sotto questo riflesso, come detto, la doglianza non può trovare accoglimento. La ricorrente si è inoltre doluta della decisione oggetto di esame pure per altro verso, vale a dire per l’operato riferimento, da parte della Corte di Appello, alla situazione in punto di fatto esaminata dalla sentenza annullata, anzichè a quella esistente al momento della successiva decisione.

Il rilievo non è tuttavia condivisibile.

Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, infatti, la Corte di Appello non ha ancorato la propria valutazione al periodo risalente al primo giudizio, ma ha piuttosto ritenuto che i dati emersi in occasione dell’azione intrapresa dai coniugi A. (e segnatamente l’introduzione clandestina in Italia della minore insieme ad altro bambino, il tentativo dei detti coniugi di ottenerne l’adozione e il tardivo ricorso all’istituto della kafalah, di cui era stata invocata l’attuazione quando i minori erano stati già introdotti clandestinamente in Italia) comprovassero l’intenzione della ricorrente di cedere la figlia in via definitiva.

Secondo la ragione posta a base della decisione della Corte di Appello, dunque, tale conclamata situazione di abbandono non sarebbe stata superata dal successivo pentimento manifestato dalla ricorrente, giudizio formulato con riferimento alla situazione accertata al momento dell’adottanda decisione e da cui pertanto discende, conseguentemente, l’inconsistenza della censura oggetto di esame.

Le ulteriori argomentazioni svolte nella trattazione del primo motivo di impugnazione risultano ugualmente prive di pregio. Si tratta infatti di difforme valutazione degli elementi probatori acquisiti, che attengono a profili di merito non sindacabili in questa sede di legittimità, atteso che la decisione della Corte di Appello è sufficientemente motivata ed è immune da vizi logici.

Per di più la censura appare comunque inadeguata per la sua genericità, considerato che con la stessa la ricorrente si è limitata a sostenere la genuina intenzione della madre di ripristinare il legame con la figlia e a criticare l’affermazione della Corte territoriale, secondo cui la minore subirebbe un disastro psicologico se distaccata dagli affidatari.

E’ infine inammissibile il secondo motivo di impugnazione, con il quale la ricorrente ha denunciato la mancata applicazione della legge algerina in tema di affidamento, nonchè la controindicazione derivante dall’avvenuta effettuazione della scelta sostitutiva di protezione della stessa minore in favore di famiglia di religione non musulmana, trattandosi di domanda nuova rispetto a quella concernente la dichiarazione dello stato di adottabilità della minore, per di più in parte ancorata a disciplina normativa non più vigente (artt. 20, 21 disposizioni sulla legge in generale abrogati dalla L. n. 218 del 1995, art. 73).

Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato, con compensazione delle spese processuali del giudizio di legittimità, tenuto contro della circostanza che la controversia è riconducibile all’applicazione di istituto inesistente nel nostro ordinamento e vigente nella Repubblica democratica Popolare di Algeria.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità.

In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, il 21 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2012

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