Cass. civ. Sez. I, Sent., 06-07-2012, n. 11414 Filiazione naturale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 21.4.2009 il Tribunale per i Minorenni di Palermo, accogliendo la domanda di A.L., dichiarava che il minore A.G.M. era figlio naturale di P.A., poneva a carico del padre l’obbligo di corrispondere alla A. l’assegno mensile di Euro 700 annualmente rivalutabili per il relativo mantenimento, lo condannava al pagamento di Euro 40.000, a titolo di rimborso delle spese sostenute fino ad allora dalla madre per il sostentamento del detto minore, dichiarava infine inammissibili le domande rispettivamente volte all’attribuzione del cognome paterno, all’affidamento del bambino, alla regolamentazione del diritto di visita.

La decisione, impugnata in via principale dal P. e in via incidentale dalla A., veniva parzialmente riformata dalla Corte di Appello, che più precisamente riduceva l’importo mensile dell’assegno a Euro 500 e quello relativo al rimborso delle anticipazioni corrisposte per il mantenimento del minore a Euro 29.700. In particolare la Corte territoriale rilevava: che appariva inattendibile il reddito dichiarato al fisco dalla A. (Euro 5.593 per il 2006, Euro 7.800 per il 2007), tenuto conto dell’incidenza mensile del canone di locazione (Euro 150) e della rata di mutuo (Euro 500) posti a suo carico; che, trattandosi di obbligo restitutorio, occorreva stabilire l’entità della somma di cui l’ A. avrebbe potuto disporre per il mantenimento del minore, essendo madre di altri due figli; che, stante la difficoltà di documentare le spese ordinarie e la mancata allegazione di esborsi straordinari, soccorreva a tale scopo il criterio equitativo, sulla base del quale le spese mensili potevano essere ragionevolmente quantificate in Euro 400 per il primo quinquennio ed in Euro 600 per i successivi quattro anni e undici mesi, essendo notorio l’aumento delle spese con il trascorrere del tempo; che quanto all’assegno mensile in favore del minore – da determinare in modo da poter soddisfare il suo diritto di mantenere il tenore di vita consentito dai proventi e dalle disponibilità dei genitori -, l’entità dei redditi del P. negli anni 2006 e 2007 (quali risultanti dalle relative dichiarazioni), la consistenza delle sue partecipazioni azionarie e la circostanza di essere padre di altri due figli inducevano a fissarlo nella misura di Euro 500 mensili; che l’esito del giudizio, infine, giustificava una parziale compensazione delle spese processuali.

Avverso la decisione P. proponeva ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui resisteva la A. con controricorso contenente anche ricorso incidentale articolato in due motivi, cui ha poi fatto seguito memoria, a sua volta contrastato dal P. con controricorso.

La controversia veniva quindi decisa all’esito dell’udienza pubblica del 21.5.2012.
Motivi della decisione

Con il ricorso principale P. ha rispettivamente denunciato:

1) nullità della sentenza per contraddittorietà. La Corte di appello, infatti, dopo aver riscontrato l’inattendibilità delle dichiarazioni della A. in ordine alle proprie capacità economiche, facendo riferimento alla domanda di rimborso ha quantificato in Euro 400, per il primo quinquennio, e in Euro 600, per i successivi quattro anni, le spese da lei sostenute per il minore, ripartendo la somma versata al 50% fra i due genitori.

Viceversa, facendo riferimento alla domanda di contribuzione per il futuro, la stessa Corte ha posto a carico di esso ricorrente l’assegno mensile di Euro 500, così implicitamente riconoscendo un obbligo contributivo della madre per il mantenimento del minore limitato alla misura di Euro 100 mensili.

L’avvenuto riconoscimento di un reddito della madre pari a quello del padre per quanto riguarda la domanda di rimborso della A. si porrebbe dunque in contraddizione con la statuizione relativa all’obbligo di mantenimento del minore per il futuro, in relazione al quale la ripartizione della somma mensile ritenuta a tal fine necessaria (Euro 600) sarebbe stata ripartita con la previsione dell’onere di Euro 500 per il padre e di Euro 100 per la madre;

2) nullità della sentenza per violazione dell’art. 114 c.p.c., art. 2697 c.c., sotto il duplice aspetto che la A. non avrebbe dato dimostrazione del proprio assunto, mentre non sarebbero ravvisabili i presupposti per dare corso al giudizio di equità;

3) violazione degli artt. 155 e 2697 c.c., con riferimento alla determinazione dell’assegno di mantenimento del minore. Non si sarebbe infatti tenuto conto dell’entità del reddito che la A. aveva dichiarato di percepire mensilmente (Euro 600), oltre che della evidente sproporzione emergente fra il detto importo e la somma posta a suo carico per il mantenimento in questione.

Con il ricorso incidentale A. ha dal canto suo denunciato: 1) violazione degli artt. 155 e 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., con riferimento alla quantificazione dell’assegno di mantenimento, che a suo dire avrebbe dovuto essere determinato in misura assolutamente superiore;

2) violazione degli artt. 115 e 166 c.p.c., in relazione al giudizio della Corte di Appello circa l’inattendibilità del reddito da lei dichiarato, giudizio che viceversa sarebbe errato e pertanto da modificare sul punto.

Ritiene il Collegio che siano infondati entrambi i ricorsi.

Quanto a quello principale si osserva innanzitutto che è insussistente la contraddizione denunciata con il primo motivo.

Ed infatti la Corte di Appello, dopo aver rilevato che nell’atto di impugnazione erano state proposte due distinte censure – e più precisamente una prima, avente ad oggetto la decisione concernente la richiesta "di rimborso pro quota delle spese di mantenimento del minore per il periodo intercorrente dalla nascita e fino alla sentenza", ed una seconda attinente alla determinazione della somma mensile dovuta per il mantenimento del bambino -, ha poi correttamente osservato che le stesse risultavano riferibili a due distinte domande formulate dalla A., individuabili rispettivamente nella richiesta: a) di rimborso di quanto già speso per il sostentamento del figlio; b) di determinazione del contributo dovuto dal padre per il relativo mantenimento, e quindi in proiezione futura.

Da quanto sinora esposto discende dunque che del tutto diversi sono i presupposti valutativi delle due domande, rilevando per la domanda di rimborso esclusivamente l’entità delle spese sostenute e, per quella di determinazione dell’assegno di mantenimento, soltanto ciò che a tal fine sarebbe stato nell’attualità e nel futuro necessario. Ne consegue ulteriormente che, anche ove ipoteticamente configurabile una diversità dei parametri valutativi adottati nella decisione delle due domande proposte dalla A., non sarebbe configurabile alcuna contraddizione, atteso il differente oggetto delle pretese formulate.

Per di più è utile precisare come la Corte di Appello, dopo aver affermato che il reddito dichiarato dalla A. al fisco non poteva essere ritenuto attendibile, ha poi coerentemente valutato, con giudizio di merito basato sugli elementi acquisiti nel corso del processo, che questa abbia potuto spendere in passato somme tali da giustificare la restituzione della somma indicata.

Pure sotto questo riflesso, pertanto, emerge l’inconsistenza della censura prospettata.

E’ privo di pregio anche il secondo motivo di censura, essenzialmente incentrato sulla violazione "del principio dell’onere della prova e sull’errato ricorso al giudizio di equità". In proposito è invero sufficiente considerare l’improprietà del richiamo all’art. 114 c.p.c., che riguarda la pronuncia secondo equità a richiesta di parte, mentre nel caso in esame la Corte di Appello si è limitata a procedere alla valutazione equitativa del danno facendo corretta applicazione dell’art. 1226 c.c., fattispecie i cui presupposti risultano del tutto diversi rispetto a quelli evocati dal citato art. 114 (C. 07/17492, C. 05/22895, C. 00/2148, C. 95/8554, C. 95/1799).

Ad identiche conclusioni deve infine pervenirsi per quanto concerne il terzo motivo, con il quale il P. ha denunciato l’errata determinazione dell’assegno di mantenimento.

Sul punto la Corte territoriale ha preliminarmente ed esattamente rilevato che ciascuno dei genitori ha un dovere autonomo, e concorrente con quello dell’altro, di provvedere al mantenimento della prole in ragione delle proprie sostanze (C. 06/18242, C. 05/6197, C. 02/3974).

Sulla base di tale condivisibile premessa ha poi provveduto alla conseguente quantificazione, determinando il contributo dovuto dal padre nella misura indicata.

Il relativo giudizio, come detto, è stato oggetto di censura da parte del P., ma le doglianze risultano del tutto inconsistenti, essendo incentrate su un generico richiamo all’inadeguata lettura della documentazione acquisita nel corso dell’istruttoria – dalla quale sarebbe emersa una capacità contributiva della A. superiore a quella valutata – ed essendo sostanzialmente attinenti al non condiviso merito della decisione adottata, piuttosto che calibrate sull’indicazione di aspetti oggettivi dai quali poter eventualmente desumere i profili di erroneità riscontrati.

I medesimi rilievi possono essere svolti per quanto concerne il primo motivo dei ricorso incidentale, con il quale la A. ha lamentato l’inadeguatezza dell’assegno di mantenimento per il minore, che a suo dire avrebbe dovuto essere determinato in misura superiore rispetto a quanto riconosciuto. Anche in relazione a tale ultimo proposito va infatti osservato che la statuizione della Corte di Appello, motivata in modo sufficiente e con argomentazioni non viziate sul piano logico, è stata contrastata con una non coincidente interpretazione della documentazione acquisita, e pertanto senza l’allegazione di specifici profili di erroneità riscontrabili nella decisione impugnata.

Quanto infine al secondo motivo di impugnazione della A., relativo all’affermata inattendibilità del reddito da lei dichiarato, lo stesso è inammissibile per difetto di interesse, atteso che da tale premessa la Corte di Appello non ha fatto discendere conseguenze sfavorevoli per la ricorrente, nè quest’ultima ha indicato – al di là della pretesa erroneità in sè della decisione sul punto – gli effetti che dall’asserita errata statuizione sarebbero derivati.

Conclusivamente entrambi i ricorsi devono essere rigettati, circostanza che induce alla compensazione delle spese processuali del giudizio di legittimità, tenuto conto della soccombenza reciproca delle parti.
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e compensa le spese del giudizio di legittimità.

In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri dati identificativi ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, il 21 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2012

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