Cass. civ. Sez. I, Sent., 06-07-2012, n. 11413 Ammortamento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

A seguito dell’opposizione al decreto di ammortamento di due titoli al portatore (certificati di deposito bancario) proposta da M. R. nei confronti di T.A. che ne aveva denunciato lo smarrimento, veniva instaurato il giudizio di primo grado nel quale la M. affermava di essere legittimo possessore dei titoli e di non dovere fornire altra prova, aggiungendo che il rapporto ad essi sotteso doveva individuarsi in prestazioni assistenziali eseguite in favore della propria zia. La parte opposta, invece deduceva l’illegittimità della predetta detenzione, contestava l’esistenza di un rapporto causale sottostante e aggiungeva che una consegna spontanea dei titoli doveva ritenersi una donazione invalida per difetto dell’atto pubblico. Nelle more, a causa del decesso di T.A., si costituiva l’erede M.C.. Il giudice di primo grado accoglieva l’opposizione e dichiarava l’inefficacia del decreto di ammortamento, non ritenendo provata dalla parte convenuta l’illegittimità del possesso dei titoli, in applicazione della presunzione di buona fede nella detenzione di cose mobili previsto nell’art. 1147 cod. civ.. La corte d’Appello, sollecitata dall’impugnazione di M.C. riteneva, al contrario, illegittima la detenzione dei titoli da parte di M.R. e la condannava alla restituzione dei medesimi, sostenendo che le complessive circostanze processuali portassero ad escludere la buona fede dell’accipiens. In particolare, veniva considerata decisivo che la parte opponente avesse riconosciuto, nei propri scritti difensivi, di aver accompagnato la T. a denunciare la scomparsa dei titoli, pur avendone la disponibilità, e di aver dedotto come giustificazione, di non aver compreso di quali titoli si denunciava la scomparsa. Tale spiegazione veniva ritenuta inverosimile dal giudice di secondo grado in quanto un controllo a fini identificativi sarebbe stato del tutto agevole ed avrebbe costituito un comportamento prevedibile, attesa la consapevolezza del possesso di titoli di analoga natura. La sentenza di secondo grado veniva impugnata per revocazione ex art. 395, n. 4, davanti alla Corte d’appello, sul rilievo che fosse affetta da errore di fatto revocatorio, consistente nella supposizione, non corrispondente al vero, del riconoscimento, da parte della M. (desumibile dagli scritti difensivi), della circostanza di fatto sulla base della quale era stata esclusa la buona fede. Sosteneva, al riguardo, l’attrice in revocazione, di non aver mai riconosciuto tale circostanza ma, al contrario, di aver sempre sostenuto che i titoli oggetto della denuncia intervenuta in sua presenza, non erano quelli in contestazione, ma altri certificati per i quali la T. aveva diffidato M.C. alla riconsegna.

La Corte d’appello rigettava la domanda evidenziando che oggetto di denuncia era un’errata valutazione ed interpretazione delle risultanze processuali e non un errore percettivo relativo all’esistenza od inesistenza di un fatto. L’oggetto del ricorso consisteva in realtà in un’attività valutativa di situazioni processuali percepite nella loro oggettività e in una presunta anomalia del procedimento logico di interpretazione delle dichiarazioni di parte, ovvero in un errore di giudizio.

Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per Cassazione M. R. affidandosi a quattro motivi. Ha resistito con controricorso M.C.. La parte ricorrente ha, altresì depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..
Motivi della decisione

Deve essere preliminarmente respinta l’eccezione d’improcedibilità del ricorso per omesso deposito della richiesta di trasmissione del fascicolo d’ufficio, ai sensi dell’art. 369 cod. proc. civ., u.c., dal momento che tale istanza vistata dalla Cancelleria della Corte d’Appello in data 12/6/2009 è stata rinvenuta nel fascicolo della parte ricorrente. Peraltro, come costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 12681 del 2001; S.U. 7869 del 2001; 5108 del 2011), la dedotta improcedibilità può essere dichiarata soltanto se l’esame del fascicolo si riveli indispensabile ai fini della decisione.

I quattro motivi di ricorso contengono censure inammissibili in quanto rivolte a riproporre in sede di giudizio di legittimità la prospettazione dei medesimi errori revocatori già rigettati dal giudice della revocazione. Nei primi tre motivi, qualificati come vizi della motivazione ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, la parte ricorrente denuncia l’omesso complessivo esame dei propri scritti difensivi da parte del giudice del merito e del giudice della revocazione ed, in particolare, il travisamento del contenuto della comparsa di costituzione e risposta in appello, sulla base della quale è stata esclusa la sua buona fede. In particolare, oltre a contestare la lettura e l’interpretazione del contenuto della predetta comparsa (primo motivo) se ne deduce l’erronea valutazione se posta in correlazione con altri scritti difensivi e con alcuni documenti prodotti (secondo e terzo motivo). Si tratta, conseguentemente, della denuncia di vizi di natura revocatoria, in quanto diretti a ribadire l’errore, qualificato come percettivo, nel riconoscimento della circostanza decisiva (la mancanza di buona fede e l’inapplicabilità dell’art. 1147 cod. civ.) ai fini del rigetto, nel merito, da parte della Corte d’Appello, dell’opposizione al decreto di ammortamento dei titoli in contestazione. Al di là delle enunciazioni formali, nessuna specifica censura viene rivolta al procedimento logico argomentativo della sentenza impugnata ma, al contrario, se ne censura la sostanziale conferma della valutazione degli scritti difensivi, contenuta nella sentenza di secondo grado relativa al merito e si denunciano le medesime incongruità attribuite a quest’ultima pronuncia. Il quarto motivo, formalmente prospettato ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, come violazione dell’art. 395 cod. proc. civ., n. 4, censura la dichiarazione d’inammissibilità dell’azione di revocazione, della Corte d’Appello, per aver ritenuto come valutativo od interpretativo l’errore denunciato come percettivo. Anche in questo motivo si richiede, in sede di giudizio di legittimità, il riesame dei fatti del procedimento di merito al fine di verificare l’esistenza di un vizio revocatorio, negato in sede di giudizio di revocazione. Secondo l’orientamento costante di questa Corte, i vizi revocatori non possono essere denunciati nel giudizio di cassazione (Cass. n. 2463 del 2008) e l’ìmpugnabilità in cassazione della sentenza pronunciata in sede di revocazione ai sensi dell’art. 403 cod. proc. civ., comma 2, non è di per sè idonea a trasformare un errore revocatorio in un errore di diritto (Cass. 10066 del 2010) atteso che i vizi revocatori possono essere fatti valere, sussistendone i presupposti, solo con lo specifico strumento della revocazione.

All’inammissibilità del ricorso consegue l’applicazione del principio della soccombenza in ordine alle spese di lite del giudizio di legittimità.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in complessivi Euro 2700,00 di cui Euro 2500,00 per onorari oltre agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 11 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2012

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