Cass. civ. Sez. I, Sent., 06-07-2012, n. 11408 Espropriazione, Indennità di espropriazione Opposizione al valore di stima dei beni espropriati

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con sentenza del 4 maggio 1999, la Corte d’Appello di Firenze accolse l’opposizione alla stima proposta da G.A. nei confronti del Comune di Bientina, determinando le indennità dovute all’attore per l’espropriazione di due fondi di sua proprietà.

2. – Sul ricorso del Comune, questa Corte, con sentenza del 1 febbraio 2002, cassò la sentenza impugnata, enunciando il principio di diritto secondo cui il regime legale di edificabilità di un terreno individualmente assoggettato dallo strumento urbanistico generale a vincolo preordinato all’espropriazione (del quale in ogni caso, pur se non sia ancora divenuto inefficace per la scadenza del termine quinquennale posto dalla L. 19 novembre 1968, n. 1187, art. 2, non può tenersi conto ai fini della determinazione della dovuta indennità di espropriazione) dev’essere individuato nella previgente disciplina urbanistica, cioè nella destinazione dettata per quel terreno nello strumento urbanistico vigente prima che fosse introdotto, allo stesso livello di strumento generale, lo specifico vincolo espropriativo.

3. – La causa è stata quindi riassunta dinanzi alla Corte d’Appello di Firenze, che con sentenza del 29 aprile 2010 ha determinato l’indennità di espropriazione in Euro 172.124,04 e quella di occupazione in misura pari agli interessi legali sul predetto importo.

A fondamento della decisione, la Corte ha rilevato che, come era emerso dalla c.t.u. espletata nel corso del giudizio, i fondi espropriati erano stati dapprima inclusi in zona sportiva e successivamente classificati come verde attrezzato, con la conseguente destinazione ad opere di urbanizzazione, oltre a far parte delle limitrofe aree edificabili costituenti zone omogenee di completamento residenziale e ad esser posti in una zona ampiamente urbanizzata.

Tanto premesso, ha ritenuto che, nonostante la destinazione a zona sportiva, i fondi fossero caratterizzati da edificabilità legale e di fatto, derivante dalla loro inclusione in zona omogenea edificabile di tipo R. di cui costituivano standard, essendo stata prevista tale destinazione al fine di consentire l’edificabilità dell’intera zona. Ha quindi determinato l’indennità di esproprio in misura pari al valore venale degl’immobili alla data del relativo decreto, ai sensi della L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 2, comma 89.

3. – Avverso la predetta sentenza il Comune propone ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, illustrati anche con memoria.

Il G. ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione

1. – Preliminarmente, si rileva che, a seguito del decesso di G. A., verificatosi il 13 luglio 2011. si sono costituiti in giudizio G.G., S.L. e G.P., in qualità di eredi del controricorrente, a mezzo di memoria depositata in Cancelleria il 23 febbraio 2012, e recante in calce la procura rilasciata al difensore. Tale atto, nel quale sono riportati l’intero svolgimento del processo ed i motivi del ricorso per cassazione, con le argomentazioni difensive dei predetti soggetti, deve ritenersi idoneo a far assumere agli stessi la qualità di parte, nonostante la mancata notificazione al ricorrente ed il conferimento della procura in forma diversa da quella notarile prescritta dall’art. 83 cod. proc. civ., comma 1.

1.1. – La sopravvenuta morte della parte, pur risultando ordinariamente ininfluente nel giudizio di cassazione, ai quale non si applica l’istituto dell’interruzione, non esclude infatti la possibilità della prosecuzione del giudizio da parte del successore a titolo universale, ai sensi dell’art. 110 cod. proc. civ.. non apparendo tale disposizione incompatibile con la disciplina del procedimento; tale prosecuzione non può peraltro aver luogo nella forma della comparsa di costituzione, non prevista per il giudizio di legittimità, nè mediante la memoria di cui all’art. 378 cod. proc. civ. avente contenuto meramente illustrativo, occorrendo invece un atto, simile al ricorso o al controricorso ma avente natura sostanziale di atto di intervento, il quale dev’essere notificato alla controparte, ai fini dell’instaurazione del contraddicono con il nuovo soggetto legittimato. Anche il deposito di memoria può considerarsi tuttavia sufficiente, alla duplice condizione, ravvisatole nel caso di specie, che la stessa presenti i requisiti prescritti per l’atto d’intervento e che la nullità derivante dall’omessa notificazione possa ritenersi sanata, ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 3, per effetto del comportamento della controparte, la quale abbia accettato il contraddicono, astenendosi dal sollevare eccezioni. La qualificazione della memoria come atto d’intervento, consentendone la riconduzione all’ambito applicativo del terzo comma dell’art. 83 cit. (nel testo. applicabile ratione temporis, anteriore alle modifiche introdotte dalla L. 18 giugno 2009, n. 69), consente poi di escludere la necessità della procura notarile, facendo apparire sufficiente il conferimento del mandato a margine o in calce all’atto (cfr. Cass. Sez. 3, 31 marzo 2011, n. 7441).

2. – Con il primo motivo d’impugnazione, il Comune di Faentina denuncia la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 383 c.p.c., comma 1 e art. 384 c.p.c., commi 1 e 2, sostenendo che la Corte d’Appello ha disatteso il principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, in quanto, nell’accertare l’edificabilità dei fondi espropriati, non ha tratto le dovute conseguenze dalla loro inclusione in zona destinata ad attrezzature sportive, prevista dal programma di fabbricazione adottato nel 1973 e definitivamente approvato nel 1976, essendosi anzi spinta arbitrariamente a prendere in considerazione anche la destinazione a verde pubblico attrezzato, introdotta successivamente all’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio e comunque inidonea a giustificare il riconoscimento delle potenzialità edificatorie dei fondi.

3. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, affermando che dalla sentenza impugnata non emergono le ragioni che hanno indotto la Corte d’Appello a riconoscere l’edificabilità dei fondi, nonostante l’originaria inclusione in zona destinata ad attrezzature sportive e la successiva destinazione a verde attrezzato, nonchè a trascurare tale destinazione per far derivare l’edificabilità dall’inclusione in zona omogenea di tipo B. 4. – Con il terzo motivo, l’Amministrazione lamenta la violazione e/o la falsa applicazione del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5-bis, convertito in L. 8 agosto 1992, n. 359, sostenendo che, nel riconoscere le potenzialità edificatorie dei fondi, la Corte d’Appello non solo ha trascurato la disciplina urbanistica vigente in epoca anteriore all’apposizione del vincolo espropriativo, ma ha conferito rilievo all’edificabilità di fatto, in contrasto con la predetta disciplina. che, pur non precludendo l’edificazione, limitava enormemente la possibilità di realizzare qualsiasi edificio.

5. – I predetti motivi, da esaminarsi congiuntamente, in considerazione dell’intima connessione delle questioni sollevate dal ricorrente, sono fondati.

Con la sentenza emessa il 1 febbraio 2002, questa Corte, preso atto che non era stata censurata la preordinazione all’espropriazione del vincolo derivante dall’inclusione del fondo espropriato in zona sportiva e ricreativa (zona F, secondo la classificazione di cui al D.M. 2 aprile 1968), disposta dal programma di fabbricazione adottato il 20 febbraio 1986, ha escluso che la sopravvenuta decadenza del vincolo, per la scadenza del quinquennio dalla sua approvazione, consentisse di fare riferimento alle misure di salvaguardia previste dalla L. 28 gennaio 1977, n. 10, art. 4, u.c., lett. a), ai fini dell’individuazione del regime di edificabilità dell’immobile, ed ha ritenuto altresì erronea l’assimilazione del fondo a quelli prossimi inclusi dal programma di fabbricazione in zona residenziale di completamento (zona B1), affermando la necessità di tener conto della destinazione prevista dallo strumento urbanistico generate vigente prima dell’introduzione del vincolo espropriativo, e demandando alla Corte d’Appello di accertare se in tale strumento l’immobile fosse incluso in una zona omogenea, con previsione perciò idonea a conformare il diritto di proprietà.

Nell’effettuazione di tale accertamento, la Corte territoriale non si è attenuta al principio di diritto enunciato dalla predetta sentenza, in quanto, pur avendo appurato che negli strumenti urbanistici succedutisi nel tempo il fondo espropriato era stato sempre destinato ad opere di urbanizzazione (essendo stato incluso dapprima in zona sportiva e successivamente in zona destinata a verde pubblico attrezzato), ne ha riconosciuto la vocazione edificatoria, sia in via legale che in via di fatto, osservando che esso faceva parte delle limitrofe aree edificabili, costituenti zone omogenee di completamento residenziale, ed era posto in una zona ampiamente urbanizzata, per la presenza di strade di collegamento con il centro cittadino e di edifici residenziali e commerciali.

5.1. – Tale affermazione si pone in contrasto con il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui nell’accertamento dell’edificabilità o meno di un’area, ai fini della determinazione dell’indennità di espropriazione, la natura dei suoli limitrofi non assume una rilevanza decisiva, tale da consentire di prescindere dalla destinazione urbanistica del fondo, quale risulta dalle specifiche previsioni degli strumenti di pianificazione vigenti al momento dell’apposizione del vincolo espropriativo, dovendosi adottare quale criterio principale di valutazione la nozione di edificabilità legale, rispetto alla quale l’edificabilità di fatto, intesa come effettiva attitudine del fondo ad essere concretamente sfruttato per finalità edilizie, svolge un ruolo meramente suppletivo e complementare, essendo utilizzabile, in particolare, in assenza di pianificazione urbanistica o nell’apprezzamento delle caratteristiche morfologiche dell’area legalmente edificabile ai fini della determinazione del suo valore (cfr. Cass. Sez. 1, 22 agosto 2011. n. 17442; 11 febbraio 2005, n. 2871; 21 maggio 2002, n. 7429).

Sotto tale profilo, può affermarsi che la Corte territoriale è caduta nel medesimo errore in cui era incorsa nella sentenza cassata, la quale, come rilevato da questa Corte, aveva fatto consistere il regime di edificabilità legale del fondo espropriato nell’indice di densità fondiaria previsto dal programma di fabbricazione per i fondi limitrofi, inclusi nella zona omogenea B1, desumendo pertanto empiricamente il predetto regime da un mero rapporto di fisica prossimità ad una determinata zona omogenea, invece di individuarlo sulla base della disciplina urbanistica anteriore all’apposizione del vincolo espropriativo.

5.2. – Ha precisato la sentenza impugnata che la destinazione prevista dagli strumenti urbanistici, pur comportando l’impossibilità di sfruttamento del fondo a fini di edilizia residenziale, non ne escludeva l’edificabilità, derivante dall’inclusione in zona omogenea edificabile di tipo B, di cui esso costituiva standard, essendo stato inserito nel programma di fabbricazione al fine di consentire l’edificabilità dell’intera zona. Il senso di tale precisazione, apparentemente volta ad escludere la rilevanza della destinazione ad uso collettivo in ragione della sua incidenza su un’area determinata a servizio della zona urbanistica omogenea cui appartiene, avente diversa destinazione generale, è reso tuttavia oscuro dal riferimento della sentenza alla disciplina vigente alla data del 14 gennaio 1995, individuata dalla Corte d’Appello quale epoca di apposizione del vincolo preordinato all’esproprio, in contrasto con la sentenza di cassazione, la quale, avendo ritenuto incensurata l’affermazione contenuta nella sentenza cassata, secondo cui l’apposizione del predetto vincolo aveva avuto luogo per effetto dell’adozione del programma di fabbricazione, avvenuta il 20 febbraio 1986, aveva demandato alla Corte territoriale l’accertamento della disciplina vigente anteriormente a quest’ultima data.

Non è dato poi comprendere in qual modo la vocazione edificatoria del fondo possa essere desunta dal riferimento agli standard urbanistici previsti dal D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, i quali valgono soltanto a definire i rapporti massimi tra gli spazi destinati agli insediamenti residenziali e gli spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi, nonchè le quantità minime di spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi da osservare in rapporto agli insediamenti residenziali nelle singole zone territoriali omogenee ed i relativi rapporti massimi, laddove il parametro per stabilire l’edificabilità o meno di un terreno e costituito dalla sua destinazione legale, come individuata dagli strumenti urbanistici generali. Come ha recentemente chiarito questa Corte, infatti, le disposizioni del D.M. n. 1444 cit. attribuiscono agli strumenti di pianificazione urbanistica un ruolo chiave nella conformazione del contenuto del diritto di proprietà, conferendo rilevanza primaria alla ripartizione dell’intero territorio in zone omogenee, con la determinazione dei caratteri da osservare in ciascuna zona (densità, modalità delle costruzioni, distacchi, intensità estensiva e volumetrica, e simili), mediante la quale le Amministrazioni svolgono la funzione di dare ordine ed armonia allo sviluppo dei centri abitati, nonchè di disciplinare l’edilizia urbana nei suoi molteplici aspetti, fra i quali rientra anzitutto l’individuazione e l’apposizione di vincoli non destinati alla singola espropriazione, bensì relativi al regime giuridico di tutti i beni aventi una determinata localizzazione o ricomprasi nell’ambito di una determinata zona del piano regolatore generale o del programma di fabbricazione (cfr. Cass. Sez. 1, 15 luglio 2011, n. 15682). In quest’ottica, l’assegnazione di certi spazi a standards all’interno di una determinata zona omogenea può incidere sull’accertamento del valore di un fondo incluso nella stessa, quale elemento di valutazione delle concrete possibilità di sfruttamento edilizio dell’immobile, ma non consente certo di affermarne la vocazione edificatoria in contrasto con la destinazione risultante dalla sua classificazione urbanistica.

5.3. – In linea più generale, la sentenza impugnata non chiarisce se la destinazione del fondo alla realizzazione d’impianti sportivi, prevista dallo strumento urbanistico vigente anteriormente al 20 febbraio 1986, in quanto riconducibile all’inclusione in un’apposita zona, distinta da quella comprendente i fondi limitrofi, rispondesse alla logica conformativa tipica della ripartizione del territorio comunale in zone omogenee, che esclude l’edificabilità delle aree aventi destinazione ad usi pubblicistici, ovvero costituisse una previsione a carattere particolare, funzionale ai servizi necessari ad una porzione circoscritta del territorio. La regola per cui all’interno delle zone omogenee classificate come edificabili dallo strumento urbanistico la determinazione dell’indennità di espropriazione non deve tener conto del vincolo preordinato all’esproprio apposto sulle singole aree destinate a servizi pubblici, sicchè esse vengono indennizzate secondo la potenzialità edificatoria delle aree limitrofe, espressa dall’indice territoriale (che scomputa sull’intera zona le superfici destinate a servizi), non è infatti applicabile alle zone integralmente vincolate a utilizzi meramente pubblicistici (verde pubblico, attrezzature pubbliche, etc.). interessate da un vincolo di destinazione che, precludendo ai privati ogni tipo di trasformazione riconducibile alla nozione tecnica di edificazione, impone di escludere l’edificabilità delle aree in esse comprese (cfr. Cass., Sez. 1, 14 giugno 2007, n. 13917;

13 luglio 2004, n. 12966).

5.4. – E’ pur vero che, secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, la destinazione di singole parti del territorio a determinati usi nell’ambito del piano regolatore, pur restando estranea alla vicenda espropriativi, e quindi ininfluente sulla qualificazione dell’area, anche quando preluda alla sua acquisizione pubblica, in ragione della natura conformativa del vincolo derivante dal collegamento con le scelte generali relative all’uso del territorio, può assumere invece portata e contenuto direttamente ablatori nell’ipotesi in cui comporti limitazioni particolari, incidenti su beni determinati, in funzione non già di una destinazione generale di zona, ma della localizzazione lenticolare di un’opera pubblica, con la conseguente possibilità di ravvisare, in tale ipotesi, un vincolo preordinato all’esproprio, e la necessità di fare riferimento, nella valutandone dell’area, alle potenzialità edificatorie delle aree limitrofe, al cui servizio la destinazione pubblicistica è concepita (cfr. Cass., Sez. 1, 29 dicembre 2011, n. 29857; 2 aprile 2007, n. 8218; 4 aprile 2006, n. 7892; 1 aprile 2005, n. 6914).

L’applicazione di tale principio avrebbe tuttavia richiesto una specifica individuazione dell’opera alla cui realizzazione era destinata l’area espropriata e della sua relazione con le esigenze di sviluppo delle aree circostanti, completamente assente nella sentenza impugnata, la quale, a conforto dell’affermazione secondo cui la destinazione del fondo era stata prevista dal programma di fabbricazione per consentire l’edificabilità dell’intera zona, si è limitata a richiamare la relazione del c.t.u., in cui la nozione di edificabilità veniva genericamente ricollegata all’astratta idoneità dell’esclusiva destinazione del fondo a costituire elemento fondamentale per consentire l’edificabilità del comprensorio.

6. – La sentenza impugnata va pertanto cassata, con il conseguente rinvio della causa alla Corte d’Appello di Firenze, che provvedere, in diversa composizione, anche alla liquidazione delle spese relative al giudizio di legittimità.
P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Firenze, anche per la liquidazione delle spese processuali.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 28 febbraio 2012.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2012

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