Cass. civ. Sez. I, Sent., 06-07-2012, n. 11406 Decreto di espropriazione Indennità di espropriazione Opposizione al valore di stima dei beni espropriati

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – P.M.M., in qualità di tutrice dell’interdetto A.S., convenne in giudizio il Comune di Messina e la Società Cooperativa XX proponendo opposizione alla stima dell’indennità dovuta per l’espropriazione di un fondo riportato in Catasto al foglio 88, particelle 8. 687 e 895, del quale il Comune aveva disposto l’occupazione e l’assegnazione alla Cooperativa.
1.1. – Con sentenza del 4 febbraio 2002, la Corte d’Appello di Messina dichiarò inammissibile la domanda, rilevando che il procedimento di espropriazione non si era ancora concluso, onde la stima non poteva considerarsi definitiva.
2. – Sul ricorso proposto da A.C., in qualità di erede di A.S., nel frattempo deceduto, questa Corte, con sentenza de 15 luglio 2005, cassò la sentenza impugnata, osservando che la Corte d’Appello non aveva tenuto conto dell’avvenuta produzione del decreto di espropriazione, emesso il 13 aprile 1998, la cui emanazione prima della decisione escludeva l’inammissibilità dell’opposizione, trattandosi di condizione dell’azione, che può sopravvenire anche nel corso del giudizio.
3. – La causa è stata quindi riassunta dinanzi alla Corte d’Appello di Messina, che con sentenza del 30 maggio 2010 ha confermato l’inammissibilità della domanda, dichiarando compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità, e condannando l’attore al pagamento di quelle del giudizio di rinvio.
A fondamento della decisione, ha premesso che nella comparsa conclusionale depositata nella precedente fase di merito l’opponente aveva precisato di aver separatamente proposto domanda di risarcimento dei danni per occupazione acquisitiva, tuttora pendente, in quanto nel corso del procedimento espropriativo l’ubicazione dell’area interessata dall’intervento era stata variata, con la conseguente occupazione di altri fondi, non seguita dall’emissione del decreto di espropriazione. Ciò posto, e rilevato che il decreto cui aveva fatto riferimento questa Corte richiamava gli atti prodromici indicati dall’attore nella comparsa conclusionale, ha ritenuto che esso riguardasse quest’ultima espropriazione, ed ha pertanto ribadito che la stima impugnata non poteva considerarsi definitiva, non essendosi ancora concluso il procedimento al quale si riferiva.
3. – Avverso la predetta sentenza l’ A. propone ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, illustrati anche con memoria.
Il Comune resiste con controricorso. La Cooperativa non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia l’omessa e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso l’attinenza del decreto prodotto al procedimento espropriativo cui si riferiva l’opposizione alla stima, senza considerare che le deliberazioni citate nella comparsa conclusionale depositata nella precedente fase di merito, con cui l’Amministrazione aveva parzialmente modificato la localizzazione dell’area interessata dall’intervento, non avevano riguardato il fondo di sua proprietà, ma quelli di altri soggetti.
2. – Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 383 e 384 cod. proc. civ., sostenendo che la Corte d’Appello ha violato il giudicato implicito formatosi a seguito della sentenza di cassazione, la cui efficacia vincolante, non circoscritta alla regola giuridica enunciata, ma estesa alle premesse logico-giuridiche della decisione, imponeva al giudice di rinvio di limitarsi a prendere atto dell’avvenuta produzione de decreto di esproprio, rideterminando l’indennità di espropriazione in base al valore di mercato.
3. – Le predette censure, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto la comune problematica inerente all’ampiezza dell’efficacia vincolante spiegata dalla sentenza di cassazione nel giudizio di rinvio, sono fondate.
In proposito, occorre richiamare l’indirizzo consolidato della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, nel giudizio di rinvio conseguente alla cassazione della sentenza impugnata per violazione di norme di diritto, la pronuncia di questa Corte spiega efficacia vincolante con riguardo non solo al principio affermato, ma anche ai relativi presupposti di fatto, con la conseguenza che il giudice del rinvio deve uniformarsi non soltanto alla regula iuris enunciata, ma anche alle premesse logico-giuridiche della decisione adottata, attenendosi agli accertamenti già compresi nell’ambito di tale enunciazione, senza poter estendere la propria indagine a questioni che, pur se non esaminate nel giudizio di legittimità, costituiscono il presupposto stesso della pronuncia di annullamento, formando oggetto di giudicato implicito interno, in quanto il riesame delle predette questioni verrebbe a porre nel nulla o a limitare gli effetti della sentenza di cassazione, in contrasto col principio di intangibilità (cfr. Cass., Sez. lav.. 23 luglio 2010, n. 17353; 15 dicembre 2009, n. 26241).
A tale orientamento non si è attenuta la sentenza impugnata, la quale, pur prendendo atto della cassazione della precedente pronuncia di merito, alla luce dell’avvenuta produzione del decreto di espropriazione emesso nel corso del giudizio, ha sostanzialmente ritenuto che il principio di diritto enunciato da questa Corte, secondo cui l’emanazione del predetto decreto prima della decisione della causa esclude l’inammissibilità dell’opposizione alla stima, trattandosi di condizione dell’azione che può sopravvenire anche nel corso del giudizio, non le imponesse di dare per assodata la sussistenza di tale condizione, ma rendesse necessario l’accertamento della sua verificazione, trattandosi di un’indagine in fatto preclusa al Giudice di legittimità. Ha pertanto proceduto alla verifica del contenuto del provvedimento prodotto, pervenendo all’esclusione della sua riferibilità al procedimento espropriativo nell’ambito del quale era stata proposta l’opposizione alla stima, sulla base del richiamo, contenuto in motivazione, ad atti prodromici inerenti ad una procedura ablatoria diversa e successiva.
Tale conclusione si pone in contrasto con le premesse di fatto del principio enunciato dalla sentenza di cassazione, la quale, nell’escludere l’inammissibilità dell’opposizione alla stima per effetto dell’avvenuta emissione del decreto di espropriazione, presupponeva logicamente la riferibilità di quest’ultimo al procedimento ablatorio dal quale traeva origine la domanda. Il decreto di espropriazione segna infatti la conclusione del relativo procedimento, determinando il trasferimento della proprietà dell’immobile in favore dell’espropriante e facendo sorgere il diritto dell’espropriato all’indennità, la cui determinazione costituisce oggetto del giudizio di opposizione alla stima; è per tale motivo che la sua emanazione si configura non già come presupposto processuale, alla cui sussistenza è subordinata la possibilità di pervenire ad una decisione di merito, ma come condizione dell’azione, la cui mancanza impedisce l’accoglimento della domanda, escludendo la configurabilità del diritto che ne costituisce il fondamento (cfr. ex plurimis Cass., Sez. 1^, 3 marzo 2006, n. 4703; 20 giugno 2000. n. 8388; 6 febbraio 1993, n. 1504).
Non essendo ipotizzatale, sotto il profilo logico-giuridico, l’insorgenza del diritto all’indennità per effetto dell’emissione di un qualsiasi provvedimento ablalorio, deve ritenersi che solo l’emanazione del decreto conclusivo del procedimento al quale si riferisce l’opposizione apra la strada all’accoglimento della domanda.
La cassazione della sentenza che aveva dichiarato l’inammissibilità dell’opposizione, nonostante la sopravvenienza del decreto di esproprio, comportava dunque la formazione di un giudicato implicito in ordine alla riferibilità di tale provvedimento al procedimento ablatorio dal quale traeva origine la domanda; tale riferibilità, che non risulta peraltro sia stata mai contestata in precedenza, non a-vrebbe potuto essere rimessa in discussione nel giudizio di rinvio, nè avrebbe potuto costituire oggetto di ulteriori accertamenti da parte della Corte d’Appello, tenuta esclusivamente a prendere atto della sussistenza della condizione prescritta per l’accoglimento della domanda. E’ solo nell’ipotesi di cassazione per vizio di motivazione, infatti, che il giudice di rinvio, pur essendo tenuto a giustificare il proprio convincimento in conformità dello schema logico esplicitamente o implicitamente emergente dalla sentenza di annullamento, evitando di fondare la decisione sugli stessi elementi del provvedimento annullato e provvedendo ad eliminare le contraddizioni e sopperire ai difetti argomentativi riscontrati, conserva, sia pure nell’ambito dello specifico capo di annullamento, tutte le facoltà di indagine e di valutazione della prova che gli competevano originariamente, e può quindi procedere ad una nova valutazione dei fatti già acquisiti al processo e degli altri la cui acquisizione si renda necessaria in relazione alle direttive impartite da questa Corte (cfr. Cass., Sez. lav., 3 luglio 2009. n. 15692; Cass., Sez. 3^, 22 aprile 2009, n. 9617; 6 marzo 2004, n. 6208).
4. – L’accoglimento dei primi due motivi d’impugnazione, comportando la caducazione della sentenza impugnata, anche nella parte concernente la pronuncia sulle spese processuali, rende superfluo l’esame del terzo motivo, con cui il ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 91 cod. proc. civ., e segg., nonchè l’insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, sostenendo che il regolamento delle spese non è frazionabile in relazione alle varie fasi del giudizio, ma va riferito unitariamente all’esito finale della lite.
5. – La sentenza impugnata va pertanto cassata, con il conseguente rinvio della causa alla Corte d’Appello di Messina, che provvederà, in diversa composizione, anche alla liquidazione delle spese relative al giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso, dichiara assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Messina, anche per la liquidazione delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 28 febbraio 2012.
Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2012

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