Cass. civ. Sez. I, Sent., 06-07-2012, n. 11405 Disconoscimento di paternità Decorrenza del termine di prescrizione

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Svolgimento del processo

1 -Con atto di citazione notificato in data 7 febbraio 2005 D. S.A.P. conveniva in giudizio la moglie M. V.G. – nei cui confronti pendeva giudizio di separazione personale, nonchè il figlio A., nato il (OMISSIS) e rappresentato dal curatore speciale, promuovendo azione di disconoscimento della paternità, per aver scoperto che la moglie aveva commesso adulterio, ragion per cui era convinto di non essere il padre biologico del predetto minore.

La M., costituitasi, eccepiva la decadenza dall’azione, ai sensi dell’art. 244 c.c., per essersi il D.S. rivolto a un’agenzia di investigazioni già anni prima, e,comunque, per non aver fornito la prova dell’adulterio.

1.1 – Il Tribunale di Vicenza, con sentenza in data 18 aprile 2008, accoglieva la domanda di disconoscimento.

1.2 – La Corte di appello di Venezia, con la sentenza indicata in epigrafe, rigettava l’appello proposto dalla M., la quale aveva ribadito l’eccezione di decadenza, sostenendo, sulla base degli atti relativi alla separazione personale e dell’incarico dato a un’ agenzia investigativa nell’anno 2002, che il marito da anni aveva avuto la certezza della propria relazione con tale Se..

L’appellante aveva altresì riproposto una serie di rilievi, inerenti all’utilizzabilità dei test biologici fatti eseguire dal D. S., all’attendibilità della teste B. e, infine, alla valutabilità del rifiuto di sottoporre il minore a prelievo ematico.

La Corte territoriale riteneva che il D.S. avesse conseguito la certezza dell’adulterio solo attraverso l’esito degli esami biologici da lui fatti eseguire, osservando che il dato relativo a un precedente incarico a un’agenzia investigativa, senza che si conoscesse l’esito della relativa indagine, non comportava il convincimento dell’acquisizione della consapevolezza in merito all’adulterio stesso.

Veniva richiamata la decisione n. 266 del 2006 della Corte costituzionale, con la quale era stata dichiarata l’illegittimità dell’art. 235 c.c., comma 1, n. 3, nella parte in cui, ai fini dell’azione di disconoscimento della paternità, subordina le prove biologiche alla previa dimostrazione dell’adulterio della moglie.

Si ribadivano i principi in tema di valore probatorio del rifiuto di sottoporsi a prelievi ematici, confermandosi le valutazioni di attendibilità compiute dal tribunale in merito alle deposizioni testimoniali acquisite.

Per la cassazione di tale decisione la M. propone ricorso, affidato ad unico e articolato motivo, illustrato da memoria, cui il D.S. resiste con controricorso.
Motivi della decisione

2 – Preliminarmente va rilevato che l’omessa notifica al Procuratore Generale presso la Corte di appello di Venezia non assume rilievo, dovendosi applicare il principio secondo cui, nei casi di intervento obbligatorio del P.M., l’omessa notifica del ricorso per cassazione al P.G. presso la Corte d’appello non è causa di inammissibilità allorquando il provvedimento impugnato abbia accolto le richieste del P.G.; infatti, la notifica del ricorso è finalizzata a consentire l’esercizio dell’impugnazione e, siccome l’interesse ad impugnare – in ragione del quale avrebbe dovuto farsi luogo ad integrazione del contraddittorio – è costituito dalla soccombenza, l’omissione non comporta alcuna conseguenza nei confronti di tale organo, la cui domanda è stata interamente accolta dalla Corte territoriale, mentre il controllo sulla legittimità della decisione di quest’ultima è assicurato dall’intervento del P.G. presso la Corte di cassazione (Cass., 5 marzo 2008, n. 5953).

2.1 – Con unico e articolato motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 244 e 235 c.c., nonchè degli artt. 2697 e 2696 c.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione, rispettivamente, all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, svolgendosi rilievi critici in merito al rigetto dell’eccezione di decadenza dall’azione di disconoscimento, per aver il D.S. appreso in epoca anteriore, rispetto a quella individuata dai giudici del merito, l’adulterio della moglie.

3 – Il ricorso è infondato.

Con prospettazioni al limite dell’inammissibilità la ricorrente, mediante i vizi denunciati, tenta di proporre una diversa lettura, a lei più favorevole, delle risultanze processuali, la cui valutazione, effettuata dalla corte territoriale con adeguato rigore, risulta motivata in maniera coerente e logica.

Con deduzioni meramente assertive si ribadisce la tesi secondo cui il D.S. sarebbe venuto a conoscenza dell’adulterio per aver scoperto una fotografia del figlio A. tenuto in braccio da un uomo a cavallo, e per essersi rivolto a un investigatore, allo scopo di verificare il sospetto di infedeltà della moglie.

La Corte di appello, richiamato il principio secondo cui solo dalla conoscenza certa dell’adulterio decorre il termine per l’esercizio dell’azione di disconoscimento, ha posto in evidenza l’inconsistenza delle circostanze allegate dalla M., in maniera del tutto condivisibile, ove si consideri la scarsa significanza della menzionata fotografia e l’affidamento dell’incarico a un’agenzia investigativa (senza che se ne conosca il relativo esito), e, soprattutto, in assenza di qualsiasi riferimento di natura cronologica.

Sulla base degli elementi acquisiti la corte distrettuale ha correttamente ricollegato la certezza dell’adulterio all’acquisizione dei dati genetici da parte del ricorrente, non perchè essi, da soli, possono costituire la relativa prova, ma perchè, con riferimento alla ricostruzione della vicenda, si è ritenuto, senza che le circostanze allegate nel ricorso possano scalfirne la validità, che la certezza dell’adulterio era stata acquisita entro il termine previsto dall’art. 244 c.c..

Quanto alla prova del presupposto in esame, il caso è emblematico della validità, sul piano logico giuridico, della decisione della Corte Costituzionale n. 266 del 206, i cui principi sono stati correttamente applicati nella sentenza impugnata.

8 – Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, ricorrendo giusti motivi, avuto riguardo alla delicatezza della vicenda, per l’integrale compensazione delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa interamente le spese processuali inerenti al presente giudizio di legittimità.

Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati in sentenza.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 23 febbraio 2012.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2012
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